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Mario, leggi qui. http://www.uomini3000.it/401.htm
CITAZIONE Martin van Creveld
GERUSALEMME - Un insolito miscuglio di attestati militari e libri sulle donne distingue il piccolo studio quadrato di Martin van Creveld, 56 anni, olandese di nascita ed israeliano per scelta da oltre trent'anni. Docente di Storia militare all'Università di Gerusalemme ed esperto di strategia di fama internazionale, van Creveld dalla sua casa di Mevasseret Zion, guida una solitaria battaglia contro il suo nemico giurato: le donne. E´uno dei pochi temi che in queste settimane riesce a distogliere Israele assediata dal terrorismo dei kamikaze palestinesi. Con alle spalle i diplomi ricevuti a Quantico, in Virginia, dalla Scuola del Corpo dei Marines e sulla scrivania una bandiera del Sol Levante dipinta a mano, van Creveld svela i motivi della sua crociata contro le donne, illustrando il contenuto del prossimo libro (uscirà in francese) dal titolo chiaro e provocatorio: Il Sesso Privilegiato.
Professore come si sente ad essere definito il nemico pubblico del sesso femminile?
«Sono il più grande maschilista di Israele. Le mie tesi danno fastidio, perché sfidano tabù radicati in tutto l'Occidente. Hanno provato ad accusarmi di molestie sessuali, a spiarmi con microfoni durante le mie lezioni. Ma non hanno trovato niente, solo le mie idee».
Perché un esperto di strategia militare come lei ha dichiarato guerra alle donne?
«Sono uno studioso di Storia militare dall'inizio degli anni Settanta. E´una materia che ha poco a che fare con le donne: Clausewitz nelle 863 pagine della sua "bibbia" non le menziona mai. Dieci anni fa iniziai a interrogarmi su questo. Mi chiesi come era possibile discutere della guerra senza tener presente metà dell´umanità».
Che rapporto c'è fra le donne e la guerra?
«Le donne non hanno mai avuto un ruolo nelle guerre: dopo secoli di assenza dagli eserciti, negli ultimi decenni le italiane o le americane hanno cominciato ad arruolarsi. Solo quando si passa dalla guerra convenzionale alla guerriglia, sia nel caso della Seconda Guerra Mondiale che delle kamikaze palestinesi, il loro numero cresce sensibilmente. Per la guerra le donne non esistono. Nessuno nella tradizione militare si è mai posto tali domande, io l'ho fatto. Ho iniziato a studiare, fare ricerche, ho scritto Uomini e Donne in Guerra. La risposta all'assenza delle donne dalla guerra mi è venuta dallo studio del rapporto fra sessi, di cui parlerà il mio libro, "Il sesso privilegiato"».
Perché considera le donne il sesso privilegiato?
«Le donne sono più deboli nel fisico e nella capacità di competere e, al contrario di quanto afferma la propaganda femminista, l'intero meccanismo della nostra società è un tentativo di compensarle per la loro debolezza: se dovessero cimentarsi con gli uomini infatti soccomberebbero e l'umanità avrebbe fine». ….
Teoria a parte, può fare degli esempi concreti di privilegi femminili nella società?
«Gli esempi sono infiniti. Tanto per cominciare, dalle donne si esige meno che dagli uomini. Lo stesso comportamento che porta alla punizione per un bimbo diventa abbraccio di consolazione per una bambina. Il matrimonio è una forma di protezione per le donne, perché geneticamente una lei può avere solo un numero limitato di figli, mentre lui può avere molti figli da più donne. Sul lavoro la musica non cambia: dall'inizio della Storia, l'uomo ha lavorato più duramente e intensamente delle donne, per il motivo che se si richiedono ad una donna i ritmi di un uomo, va incontro ad un collasso. Poiché le donne non lavorano quanto gli uomini, l'intera società può essere letta come un sistema di trasferimento di risorse dagli uomini alle donne. Il novanta per cento di quanto accumulato dagli uomini viene speso dalle donne, basta guardarsi in casa per averne la prova. Altro esempio, la beneficenza: se guardiamo la Storia di Paesi come l'Italia e la Francia, ci accorgiamo che è sempre stato più facile per le donne anziché per gli uomini ricevere della beneficenza. Specialmente se chiedono le elemosina con i figli. Lo stesso è vero per lo Stato Sociale dei nostri tempi: gli uomini pagano le tasse, le donne ricevono i benefici. Per natura le donne sono il sesso debole, dunque l'intera storia dell'umanità è un tentativo di compensarle. Le donne hanno sempre ricevuto più aiuti economici degli uomini, perché altrimenti sarebbero morte di fame e l'umanità sarebbe scomparsa. Le donne sono trattate con favore anche dalla giustizia: per un reato simile, l'uomo riceve una pena maggiore della donna; ad ogni stadio del processo giudiziario, gli uomini sono penalizzati. Il numero delle donne in prigione è inferiore a quello degli uomini, non perché commettono meno reati, ma perché ricevono pene più lievi».
Torniamo al rapporto con la guerra. Perché Clausewitz ignorò le donne?
«Clausewitz riteneva la guerra un'arte razionale e dunque non c'è spazio per le donne, che sono emotive ed intuitive».
Ma madri, figlie e mogli pagano comunque un prezzo alto quando si entra in guerra...
«Una singola donna che aspetta a casa il marito, o che bada ai suoi figli è più importante in guerra di mille segretarie in uniforme. Le donne sono molto importanti nelle guerre, ma non combatteranno mai come gli uomini».
Se fosse una donna non si sentirebbe umiliato dalle sue teorie?
«Sì, ma non sono una donna, dunque la questione non mi tocca. In guerra gli uomini muoiono per far vivere le donne. A volte mi piacerebbe avvenisse il contrario. Se fossero andate in Afganistan, sarebbero morte tutte. L'unico Paese nella Storia che ha imposto la coscrizione per le donne è Israele, ma neanche qui combattono, creano solo grane».
A questo punto non resta che chiederle perché le donne vivono più a lungo...
«I medici dicono che è a causa degli estrogeni, ma fino a due secoli fa gli uomini vivevano di più. Non sono gli estrogeni, ma la civilizzazione ad aver modificato l'equilibrio. Il cambiamento è iniziato con la rivoluzione industriale, quando gli uomini hanno cominciato a fare i lavori pesanti all'aperto. E´stato un fenomeno progressivo. In Europa, l'ultimo Paese dove la vita delle donne ha superato quella degli uomini è stato l'Irlanda, nel 1850. In Paesi come India ed Egitto, il sorpasso è avvenuto negli ultimi 50 anni. Oggi restano dieci Paesi dove gli uomini vivono ancora di più e si tratta di posti molto poveri, come il Bangladesh».
Il fatto che le donne siano il sesso privilegiato è una cosa buona?
«Sono un uomo, dunque credo sia una cosa buona, se fosse al contrario mi sentirei colpevole, mi vergognerei davvero molto».
L'intervista è finita, il professore più maschilista d'Israele non fa a tempo ad alzarsi, che arriva la sua seconda moglie a dargli manforte: ha una rivista della mutua in mano: «Vedete, mettono in copertina la salute della donna, non certo i problemi della prostata...».
da "La Stampa" del 20/3/2002 Sezione Cultura Pag. 27: "ISRAELIANO, INSEGNA STORIA MILITARE, È IL PIÙ GRANDE MISOGINO DEL MONDO: LE SUE TESI PROVOCATORIE SFIDANO «I TABÙ DELL´OCCIDENTE»" di Maurizio Molinari Tratto da: IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.
Uomini e donne in Israele devono prestare servizio per lo stesso numero di anni? In teoria, quasi: gli uomini per tre anni, le donne per due. In pratica, però, gli uomini israeliani prestano servizio per una media di tredici anni prima di raggiungere i 54 anni, età in cui non possono più essere richiamati; le donne prestano invece servizio per meno di due anni. Perché? Innanzitutto perché solamente il 50 per cento delle donne è richiamato (contro il 90 per cento degli uomini). In secondo luogo, una madre israeliana non può essere costretta a prestare servizio per oltre due anni; i padri israeliani, invece, sì. In terzo luogo, anche in tempo di pace l'uomo israeliano - che sia padre o no - è tenuto a prestare servizio due mesi all'anno (dopo il periodo minimo di tre anni) fino all'età di 54 anni. Una madre non viene richiamata, e le donne senza figli devono soltanto tenersi a disposizione. Quarto, in tempo di guerra soltanto gli uomini prestano servizio finché è necessario.
CITAZIONE (Mario961 @ 8/9/2009, 14:34) Le donne, nel caso della sopravvivenza di Israele daranno un contributo decisivo ed impareggiabile ma - lo ripetiamo - sono l'eccezzione che conferma la regola!! Semmai lo daranno gli uomini un contributo decisivo e imparreggiabile.
CITAZIONE (ventiluglio @ 12/3/2007, 19:08) CITAZIONE (Mustela_Erminea @ 11/3/2007, 20:54) Se nelle forze armate USA, che sono le forze più operative del mondo, si è risposto no a tutte quelle domande arruolando centinaia di migliaia di donne e spedendone decine di migliaia al fronte, è evidente che non lo si è fatto per fare un piacere a qualche femminista idiota. Forse sotto c'è qualche ragione più concreta ed obiettiva. Le cose non stanno proprio così. Negli USA (come in UK) le soldatesse sono esplicitamente escluse dai ruoli cosiddetti di "close combat" (cioè in pratica di "combattimento"). C'è stato e c'é in atto un tentativo di eliminare questi vincoli con escamotage (ridisegnando ad esempio l'architettura delle brigate di combattimento ed aggregandovi - in situazioni di basso rischio operativo - plotoni "logistici"), ma al momento tali vincoli sono ben rispettati. Nessuna, dico nessuna di quelle soldatesse (meno del 2% del totale) morte in Iraq è morta in azioni di combattimento. http://www.cmrlink.org/womenincombat.asp http://www.cmrlink.org/Ma l'esclusione femminile, anche ipotizzando una eguale prestanza ed efficienza bellica di una donna (tutta da verificare dal momento che le "soldato Jane" sono delle favole che risultano improbabili anche se raccontate dai migliori registi di Hollywood), è motivata da almeno altri due aspetti: - la presenza di donne in situazioni di rischio distrae e disarticola i cosiddetti "male bond" (legami maschili) che sono alla base della compattezza e saldezza morale dei reparti sottoposti allo stress di combattimento. L'istinto cavalleresco maschile (che essendo un istinto e ben poco razionalizzabile) porta inevitabilmente il soldato maschio a sacrificarsi per la soldatessa femmina, anche a detrimento del risultato operativo complessivo che si vorrebbe raggiungere. - la possibilità che delle soldatesse cadano nelle mani di un nemico VERAMENTE cattivo e spietato, getterebbe nel panico la pubblica opinione, con risultati devastanti. Si pensi alla cagnara mediatica originatasi in Occidente ai tempi della cattura della maestrina dell'Illinois, Jessica Lynch, finita per sbaglio fuori strada, in mano al nemico: Per liberarla sono state impegnate forze, soldi ed energie assolutamente spropositate. Un "esercito di Jessica Lynch" rappresenterebbe una sicura rovina per qualunque nazione.E' altresì vero che eserciti solo maschili sono sempre esistiti, hanno funzionato e funzionano benissimo per quello che devon fare. Eserciti solo femminili non sono mai esistiti, sono semplicemente improponibili perché non funzionerebbero. E' così difficile capire che questa asimmetria ha dei validi fondamenti antropologici e che - tecnologia o meno - è folle non tenerne in debito conto? ...
IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.
Nella Guerra del Golfo, le donne affrontavano gli stessi rischi senza ricevere la stessa paga? Durante l'invasione di Panama da parte degli USA, sulle prime pagine dei giornali fu dato ampio spazio alla prima donna che guidò i soldati al combattimento. Il New York Times chiarì che la donna pensava di trovarsi in prossimità di un canile incustodito, ma ciò non impedì a un membro femminile del Congresso degli Stati Uniti, Schroeder, di servirsi di questo incidente per dare vita a tre miti - miti che furono ulteriormente rafforzati durante la Guerra del Golfo: 1. Donne e uomini corrono gli stessi rischi. 2. Alle donne erano negati i posti di combattimento in prima linea per poter negare loro pari opportunità come ufficiali. 3. Alle donne venivano negati i posti di combattimento per poter negare loro la stessa paga. Questi miti furono ulteriormente alimentati dalle cover stories dei nostri settimanali: Ma i fatti forniscono un quadro diverso della situazione: 1. Stessi rischi. Se davvero le donne avessero corso gli stessi rischi, gli scontri a Panama non si sarebbero conclusi con la morte di 23 uomini e 0 donne (e 0 donne ferite); le operazioni per la Guerra del Golfo non avrebbero provocato la morte di 375 uomini e di 15 donne. Sommando le vittime delle due guerre, per ogni donna sono morti 27 uomini; ma dal momento che nell'esercito ci sono soltanto 9 uomini per ogni donna, per un uomo il rischio di perdere la vita era quindi tre volte superiore che per una donna. Se gli uomini incidessero per meno del 4 per cento sul totale dei decessi e ogni singolo uomo avesse corso soltanto un quarto di rischio di morire, la Schroeder avrebbe ancora affermato che gli uomini correvano gli stessi rischi? L'eguaglianza non consiste nel rendere le donne vulnerabili per caso, quando gli uomini sono resi vulnerabili di proposito. Alle donne venivano negati i posti di combattimento per poter negare loro pari opportunità come ufficiali? O per poter negare loro la stessa paga? 2. Pari opportunità come ufficiali. Le donne costituiscono l'11,7 per cento dell'intero esercito, ma il 12 per cento degli ufficiali. Le donne ottengono promozioni in numero più che proporzionato nonostante il tempo sproporzionato in cui hanno prestato servizio (le prime donne si diplomarono a West Point nel 1980). 3. Stessa paga. Durante la Guerra del Golfo tutti e due i sessi ricevettero un'indennità extra di 110 dollari. I due sessi ebbero la stessa paga sebbene i rischi non fossero gli stessi. In breve, gli uomini ottengono meno promozioni e, di conseguenza, una paga inferiore per periodi più lunghi di servizio e rischi tre volte superiori di perdere la vita; nonostante tutto ciò, sentiamo parlare di discriminazione contro le donne e non di discriminazione a sfavore degli uomini. Quando gli uomini fanno il 30 per cento dei lavori domestici, li critichiamo perché non condividono i lavori domestici; quando una donna riceve il 100 per cento della paga speciale degli uomini in guerra e corre il 25 per cento dei rischi rispetto a un uomo, la definiamo una guerriera e le riconosciamo il merito di «condividere il pericolo».
IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell.
La sindrome della gravidanza in Marina Non è polìticamente corretto toccare questo Casto nell'esercito, ma... un'ampia percentuale di soldatesse ha scelto di abortire dopo aver usato la gravidanza come mezzo per evitare il turno nell'Operazione Desert Storm. {...] È scorretto usare un feto per sottrarsi alla responsabilità che ti sei assunto arruolandoti, per poi uccidere quel feto. Lettera firmata di un medico dell'esercito, Kuwait La mentalità che implica la stima di sé porta anche alla «sindrome della gravidanza in Marina»: il fenomeno della donna che approfitta dell'addestramento tecnico e poi, un momento prima che la nave salpi, resta incinta, e può perciò restare a terra a buon diritto; oppure che resta incinta subito dopo la partenza della nave - il che le consente di sottrarsi alle proprie responsabilità - e costringe i compagni a sostituirsi a lei. Tutto ciò è compatibile con la stima di sé, ma in un contesto militare, quando oltre il 40 per cento delle donne imbarcate su navi statunitensi come l'Acadia rimase incinta durante i preparativi per la partenza, mette in pericolo la vita degli uomini. Come mai? La Marina addestra delle squadre. Ogni membro di una squadra è addestrato a interagire con gli altri in situazioni in cui una frazione di secondo può salvare o far perdere una vita. Quando d'improvviso viene a mancare una parte della squadra, non è sufficiente una semplice sostituzione, perché troppo preziosa è l'interazione tra le personalità peculiari che fanno parte della squadra. In sostanza, quando anche una sola donna dichiara forfait, tutta la squadra è perduta. Con quali conseguenze? Proviamo a immaginare che cosa sarebbe successo se il luogotenente Conklin fosse stato una donna incinta quando i due missili iracheni aprirono una breccia di circa cinque metri nella fiancata della Stark... L'attacco missilistico provocò un incendio che si propagò rapidamente, minacciando di far saltare per aria la nave e i 200 uomini a bordo. Il luogotenente Conklin, ventisettenne (persona reale, storia vera) rimase gravemente ferito e ustionato alle mani, alle braccia e ai piedi. Ma sapeva che strisciando tra i rottami in fiamme per raggiungere la sala macchine e spegnere i motori avrebbe forse potuto evitare l'esplosione. Il percorso verso la sala macchine era nero come la pece e il calore arrivava a circa 400 gradi Fahrenheit (la carta brucia a circa 451 gradi; di qui il titolo del film Fahrenheit 451). Eppure entrò, protetto soltanto da una T-shirt bagnata nell'acqua salata del mare, tenendo chiusi gli occhi (così si sarebbero bruciate le palpebre e non gli occhi). Avanzò a tastoni, seguendo il sistema di tubature, e ogni volta che toccava un tubo bollente si sentiva strappare la pelle delle dita e delle mani; raccontò poi che era stato come camminare in un forno acceso e poggiare le mani sulle teglie bollenti. Non si dette per vinto finché non riuscì a chiudere le valvole. Faticosamente tornò sui suoi passi e scoprì che la nave rischiava ora di affondare e non era del tutto scongiurato il pericolo di un'esplosione: continuò perciò a fare tutto quanto gli fu possibile per salvare la nave.
Mentre Conklin con coraggio affrontava tutto questo, il marinaio Mark Caouette, che aveva perduto una gamba e perdeva sangue, rifiutò i tentativi dei compagni di portarlo in salvo. Preferì condurre a termine altre operazioni importanti. Fu poi ritrovato il suo cadavere carbonizzato. Nel frattempo l'elettrotecnico Wayne Weaver riusciva a mettere in salvo dai sei ai dodici uomini; il suo corpo fu poi ritrovato aggrappato al corpo dì un altro uomo che stava cercando di salvare. Questi uomini tra i 19 e i 36 anni salvarono la vita a 163 uomini, perché 37 morirono. Per loro, essere una squadra significava poter contare sulla disponibilità di ogni membro a mettere la propria vita in secondo piano. Non significava approfittare dell'addestramento per poi trovare il modo di restare a terra poco prima della partenza.
Negli ultimi dieci o vent'anni, abbiamo parlato di sessismo ai danni delle donne quando uomini del genere rifiutavano l'idea che delle donne potessero essere imbarcate sulle navi da guerra (o entrassero in una squadra di pompieri volontari). Questo mi spiegò un militare: «Non stiamo ad aspettare un'emergenza per scoprire chi è pronto a rischiare la vita e chi invece se la darà a gambe. Quando arriva una nuova recluta, simuliamo situazioni in cui qualcuno stia rischiando la vita. Vogliamo vedere se l'ultimo arrivato cerca di salvare il collega nei guai o invece di salvarsi la pelle. Ma se lo facciamo con le donne, quelle urlano: 'Discriminazione'. Non tutte le donne, ovviamente. Ma se una donna ha lo smalto alle unghie... be', non ho mai visto una donna con lo smalto che non volesse essere salvata». La «sindrome della gravidanza in Marina» è soltanto la manifestazione esteriore di un problema rilevato da quasi tutti gli studi condotti sulle forze armate - dall'U.S. Signal Corps all'U.S. Army. Da ogni studio risuìtò che, secondo gli uomini, le donne avevano incarichi più leggeri o promozioni immeritate, spesso grazie ai loro «favori» sessuali. Provavano un forte risentimento per le donne che, comunque, ricevevano una paga uguale. Gli interrogativi sulla serietà delle donne nell'esercito si moltiplicarono quando alcuni studi rilevarono che soltanto il 21 per cento delle donne prendeva in considerazione l'ipotesi di una carriera militare, contro il 51 per cento degli uomini. Secondo gli uomini, questo atteggiamento si riscontrava nelle soldatesse che usavano creme varie, si raccoglievano i capelli e si truccavano persino in condizioni simulate di combattimento.
Le accademie militari hanno preso atto delle differenze, per esempio del fatto che a West Point le donne si mettono in malattia quattro volte più spesso degli uomini, e non hanno reagito rendendo gli standard delle donne uguali a quelli degli uomini, bensì creando una doppia serie di standard. Per esempio, in un campo di addestramento della Marina si dovettero esentare tutte le donne dall'addestramento in fanteria e dalle esercitazioni nei percorsi a ostacoli. Con quale risultato? Durante la Guerra del Golfo gli uomini dovettero intervenire ogni volta che una donna non riusciva a cambiare una ruota, a spingere un veicolo affondato nella sabbia, a trasportare pesanti lattine di combustibile, o a trasportare un soldato ferito. E per giunta gli uomini potevano pregiudicare gravemente la propria carriera se si fossero lamentati di questa discriminazione. Paradossalmente, lamentandosi della discriminazione sarebbero subito stati accusati di fare della discriminazione. Abbiamo così due diverse mentalità: la mentalità-del-battersi-se-necessario nell'«esercito di lui», e la mentalità-del-battersi-se-desiderato nell'«esercito di lei». Si definiscono dunque un esercito di uomini che disprezzano la propria vita e un esercito di donne che apprezzano la propria vita. Si rafforza così la sensazione che le donne stiano bluffando con la rivendicazione dell'eguaglianza. Si spacca in due l'esercito.
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