La dominazione maschile e il complotto femminista

e il piagnisteo continua...

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    (tratto da http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMon...09lm26.02.html)


    La dominazione maschile e il «complotto» femminista

    Gisèle Halimi
    Impossibile non averlo visto, sentito, letto, impossibile non essersene accorti. È un diluvio di fuoco sparato da più parti. Dei tiri raso terra. Il bersaglio? Il femminismo oggi : «una truffa», un'impresa di «vittimizzazione» delle donne, che «rendono fragili» gli uomini, li trasformano in «oggetti» dei loro «nuovi padroni», le femministe.

    Libri, manifesti rumorosi e una ripercussione egemonica, ossessiva, nei media (1). Violenza subìta dalle donne. I nostri accusatori ne contestano l'importanza e l'ampiezza. Rimproverano, in coro, alla grande Inchiesta sulle violenze verso le donne in Francia, pubblicata nel 2001, di confonderne le diverse forme. Prima inchiesta di questo tipo in Francia, gli autori e le autrici - dei ricercatori - sono accusati/e di aver recensito, nella stessa rubrica di «violenze coniugali», i danni psichici e fisici subìti. Dalla violenza psicologica fino alla violenza sessuale (2). Si tratterebbe di un trucco, della volontà di esigere - abusivamente?
    - protezione e riparazione, in breve secondo i censori di un atteggiamento «vittimistico». Che avrebbe come scopo (e risultato), di accusare degli innocenti: gli uomini.

    Possiamo chiederci cosa spinge alcune donne, che si proclamano femministe a gran voce, a preoccuparsi, in nome di un preteso rigore scientifico, delle «deviazioni» maschili, a scapito della miseria e della disperazione della maggioranza delle donne del mondo. Ignorano lo schiacciante rapporto di forze, da dominante a dominata, tra uomini e donne? Ignorano forse la relazione socio-economica che porta le donne a essere in maggioranza fra i disoccupati, tra i lavoratori con il salario minimo, part-time (in questo ghetto del lavoro, 83% di donne), tra gli assunti con un contratto a termine (60%)? Ignorano forse di essere la maggioranza delle grandi discriminate nell'assunzione, nella promozione, la maggioranza delle assenti dalla direzione delle grandi imprese? La povertà (80% di donne) e la precarietà? (3) Ignorano il ruolo - reale e simbolico - della dominazione maschile all'origine di questa violenza? Una norma religiosa e culturale un tempo diffusa e ancora tollerata ai nostri giorni. L'uomo violento, attraverso la violenza segna il suo territorio e ricorda che è lui ad avere il potere. E contemporaneamente segnala il legame tra virilità e sessualità (4).

    Multiforme, la violenza degli uomini contro le donne è universale.
    Costituisce addirittura una delle forme estreme dei rapporti tra i sessi nella coppia. La Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna (1993) ne ha riconosciuto l'esistenza e l'ampiezza. Ha definito questi rapporti una «violazione dei diritti umani». A Pechino, alla IV Conferenza mondiale delle Nazioni unite sulle donne (1995), i governi presenti si sono impegnati a fare dei bilanci, a lottare contro queste violenze e a dare sostegno alle vittime.
    Per gli accusatori di oggi, l'accusato diventa la donna picchiata.

    Lei che sa che le diverse forme di violenza non hanno frontiere, salvo sulla fredda carta dei rapporti. Tra l'accanimento di un interrogatorio («Ti avevo proibito di vedere quell'amica»... «Dov'eri quando ho telefonato...»), il disprezzo che gli viene gettato in faccia e che lei finisce per interiorizzare («sei brutta», «sei stupida»...), gli spintoni o lo schiaffo che segue, seguiti poi, se si ribella, da vere e proprie botte, seguite infine dalla violenza sessuale, lei non vede che una differenza di grado, non di natura. Il continuum della violenza . «In più o in meno» dice. Interrogatela, è la stessa sofferenza, quella dell'inesistenza in quanto essere umano.
    Forse sarebbe stato preferibile in questa Inchiesta dissociare (fin dove possibile) i risultati delle diverse forme di aggressione. Ma la base resta comune, l'esistenza di una dominazione maschile che «inscrive nella definizione dell'essere umano alcune proprietà storiche dell'uomo virile, costruito in opposizione alle donne» (Pierre Bourdieu).

    Il «complotto» viene così tramato su un fondo di messa sotto accusa degli uomini. Che hanno diritto, tra tutti i diritti, a una donna «prostituibile». Contro le femministe abolizioniste, che negano la realtà di una prostituzione libera. Alcune di loro vorrebero addirittura - orrore - punire il cliente, come avviene in certi paesi (5) e il suo «diritto al piacere». Pensano che il mercato, in assenza di domanda, vedrà l'offerta esaurirsi. A fianco di alcuni libri di requisitoria, alcuni manifesti di donne auto-proclamate femministe (ma vorremmo conoscere i loro titoli e azioni «in» femminismo...) affermano che ci si può prostituire liberamente e per piacere. Dimenticano che quelle che lo avevano assicurato, come la celebre Ulla a metà degli anni '70, confessano oggi di aver mentito per «corporatizzare la professione». «Come avete potuto crederlo?» chiedono stupite da tanta ignoranza. Nessuna donna, salvo un gusto particolare per un certo tipo di rapporti sessuali, fa liberamente commercio del proprio corpo...
    Non accetta di essere reificata, consumabile, oggetto tra gli oggetti.

    La prostituzione è il parossismo del non potere di una donna su se stessa. Uccide la donna nella donna.
    Alcune prostitute possono rassegnarsi con il tempo. Ma per questo sono diventate libere ? Non dimenticano che la solitudine, la miseria le avevano spinte sul marciapiede. «Peggio di un'anima asservita, un'anima rassegnata» potrebbe rispondere Péguy. Temo, infatti, che i nostri firmatari - intellettuali privilegiati - abbiamo costruito fantasmi sul ruolo di Catherine Deneuve in Bella di giorno di Luis Buñuel.
    I nostri detrattori riconoscono l'esistenza delle molestie sessuali contro le donne? Ho sovente difeso delle vittime in tribunale. Coloro che difendiamo sono ridotte a donne che annegano. Permessi malattia, consumo di antidepressivi, difficoltà di fornire le prove, mutismo forzato con i colleghi. Pagano caro la volontà di salvaguardare la loro dignità. Consigliare, come sola soluzione, come ho letto, di rispondere con un paio di schiaffi al colpevole, dimostra una sconcertante ignoranza delle leggi dell'impresa.
    Elisabeth Badinter evoca la «pulsione maschile» e prende in giro il «militantismo femminista» che crede di poterla «mettere al passo...» (6). Accusa le femministe - quali e di quali organizzazioni? - di dedicarsi al «formattamento della sessualità». Quindi solo gli uomini avrebbero delle pulsioni sovrane. Del resto, ne dipende la loro identità.

    E tanto peggio per le donne e la loro propria identità.
    Sul piano razionale, tocchiamo qui la principale contraddizione di questo tipo di tesi. L'universalismo a tutti i costi dei nostri accusatori non teme di infilarsi nelle acque torbide del differenzialismo. Se ogni sesso resta nel proprio «universo» nascerà infine la «connivenza» tra i sessi. Femministe, smettete di voler sbarrare la strada alle «pulsioni» degli uomini. Siete responsabili del «malessere maschile».
    Argomento anti-femminista per natura e oggettivamente reazionario.
    Che tenta di far dimenticare che il femminismo, attraverso le sue lotte, ha gettato le basi per un cambiamento sociale importante, con più giustizia, più eguaglianza.
    Ma non è tutto: il «complotto» è persino riuscito ad imporre la parità.

    Ha fatto scacco all'universalismo repubblicano. Non è qui il luogo per riprendere questo dibattito. Ma ci basta ricordare che un universalismo che per più di due secoli ha escluso le donne dalla cittadinanza e in seguito dalla spartizione del potere politico, ha dato prova del proprio «differenzialismo» misogino. A questo universalismo ingannevole sostituiamo un doppio universalismo: uomini + donne = umanità.
    Secondo questa requisitoria e per fare buon peso, noi staremmo scivolando nel puritanesimo e nell'ordine morale. Noi tutti - movimenti e personalità femministe - che abbiamo fatto e vinto la battaglia della scelta di dare la vita (contraccezione e aborto). Che abbiamo così espresso la dissociazione della procreazione e dell'amore. Vale a dire il diritto al piacere. Noi che abbiamo reclamato - e ottenuto - l'abolizione di ogni discriminazione verso gli omosessuali (7).

    Da questo processo per colpa emerge l'accusa globale di segregazione, di odio, di guerra dei sessi. Citano a sostegno le autrici americane Andrea Dworkin e Catherine Mc Kinnon. Non tradotte in Francia, fanno parte di una società e di un femminismo d'oltre Atlantico, radicalmente diverso dalla situazione francese. Le femministe francesi non hanno mai voluto escludere o liquidare gli uomini. Il loro progetto globale di società è essenzialmente misto. Gli uomini devono avere «l'intelligenza teorica» della loro liberazione attraverso la nostra. Li convinceremo.
    E il procedimento che tende a colpevolizzarci porta a negare un fatto culturale, quello della specificità del femminismo francese.
    I nostri procuratori hanno voluto metterci in guardia contro eventuali scarti? Sarebbe questa la sola (piccola) utilità delle loro tesi.
    È necessario per questo riabilitare con un discorso «maschilista» gli stereotipi della donna castratrice?
    A meno che il successo di alcune lotte femministe inquieti. Mi piace molto questo proverbio africano: «quando si cominciano a gettare delle pietre su un albero, vuol dire che sta portando i frutti».



    note:

    *Avvocata, presidente di «Choisir la cause des femmes», autrice in particolare di La nouvelle cause des Femmes, Seuil, 1997 e de L'avvocate irrespectueuse, Plon, 2002.

    (1) Alain Minc Epitre à nos nouveaux maitres, Grasset Parigi, 2002.
    Elisabeth Badinter, Fausse route, Odile Jacob, Parigi 2003. In cambio un silenzio totale dei media sul racconto appassionante del percorso di una sindacalista femminista, Annick Coupé, in Luttede classes, lutte de sexes, Agone numero 28, 2003».

    (2) L'Enveff che riguarda 6.970 donne da 20 a 59 anni che vivono in coppia è pubblicata dalla Documentation Française, Parigi 2003.
    È contestata da Elisabeth Badinter oltre che da Marcella Yacub e da Hervé Le Bras in Les Temps modernes, Parigi, primo trimestre 2003.

    (3) Si veda «Femmes rebelles» Manière de voir, 68, aprile 2003.

    (4) Si veda Daniel Welzel-Lang, Mythes de la violence, Indigo et coté femmes, Paris 1966.

    (5) Svezia, legge del 1 gennaio 1999.

    (6) Op. cit.

    (7) Legge 82-623 del 4 agosto 1982. Come deputata all'assemblea nazionale ebbi l'incarico, da me stessa richiesto, di fare da relatrice. (Traduzione di A. M. M.)

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