Le cause biologiche dell'omosessualità

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  1. silverback
     
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    Un'alternativa più probabile è che vi siano differenze intrinseche nel modo in cui, durante lo sviluppo, il cervello di individui diversi risponde agli androgeni, anche quando i livelli di questi ormoni sono gli stessi. Questa risposta richiede meccanismi molecolari complessi, che includano innanzitutto i recettori per gli androgeni, ma anche, presumibilmente, una varietà di proteine e di geni la cui identità e il cui ruolo sono ancora ignoti.
    A prima vista, l'idea di geni per l'omosessualità appare assurda. Come potrebbero questi geni, che determinano un'attrazione per individui dello stesso sesso, sopravvivere alla selezione darwiniana in favore dell'idoneità riproduttiva? E non è forse vero che i genitori di gran parte degli omosessuali sono eterosessuali? Dinanzi a queste evidenti contraddizioni, la ricerca deve concentrarsi su geni che, anziché determinare rigidamente, orientino l'attrazione sessuale. I due indirizzi di ricerca più importanti per trovare questi geni sono gli studi sulle famiglie e sui gemelli e le analisi di associazione genica.
    Gli studi sui gemelli e sugli alberi genealogici si basano sul principio che i caratteri soggetti a influenza genetica ricorrono a livello familiare. Il primo studio moderno sull'occorrenza familiare dell'omosessualità è stato pubblicato nel 1985 da Richard C. Pillard e James D. Weinrich della Boston University. Da allora sono stati resi noti cinque altri studi sistematici su gemelli e fratelli (o sorelle) di omosessuali di entrambi i sessi.
    I dati raccolti sui maschi mostrano che circa il 57 per cento dei gemelli omozigoti, il 24 per cento dei gemelli dizigoti e il 13 per cento dei fratelli di maschi omosessuali sono anch'essi omosessuali; per le femmine, i valori sono rispettivamente pari a circa il 50, il 16 e il 13 per cento.
    Confrontando i dati con le percentuali medie di occorrenza dell'omosessualità nella popolazione generale, appare evidente un buon grado di raggruppamento familiare nell'orientamento sessuale.
    In effetti, J. Michael Bailey della Northwestern University e collaboratori stimano che l'ereditabilità totale dell'orientamento sessuale (cioè quella percentuale di varianza del carattere che proviene dai geni) sia all'incirca del 53 per cento per gli uomini e del 52 per cento per le donne.
    (Il raggruppamento familiare è più evidente per parenti dello stesso sesso e meno per le coppie maschio-femmina.)
    Per valutare la componente genetica dell'orientamento sessuale e per far luce sulle modalità di trasmissione ereditaria bisogna compiere un'indagine sistematica sulle famiglie estese di maschi e femmine omosessuali. Dean H. Hamer e un gruppo di ricerca dei National Institutes of Health hanno avviato uno studio di questo tipo, nell'ambito di un'indagine più ampia realizzata dal National Cancer Institute sui fattori di rischio di certi tumori maligni che sono più frequenti in alcuni segmenti della popolazione maschile omosessuale.
    L'indagine iniziale su soggetti di sesso maschile ha confermato i risultati ottenuti da Pillard e Weinrich sui fratelli di omosessuali. Un fratello di un maschio omosessuale aveva una probabilità del 14 per cento di essere egli stesso omosessuale, mentre la probabilità era solo del 2 per cento per coloro che non avevano fratelli omosessuali. (In questo studio si dava dell'omosessualità una definizione insolitamente rigorosa, che abbassava la frequenza media.)
    Per i parenti più lontani appariva un andamento inatteso: gli zii materni avevano una probabilità del 7 per cento di essere omosessuali, mentre i figli delle zie materne avevano una probabilità dell'8 per cento. I padri, gli zii paterni e gli altri cugini non hanno mostrato alcuna correlazione.




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