Le cause biologiche dell'omosessualità

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    Nella stragrande maggioranza dei casi, i maschi sono attratti dalle femmine e viceversa.
    Ai più questo appare come l'ordine naturale delle cose, la giusta manifestazione dell'istinto biologico, sostenuta dall'educazione, dalla religione e dalla legge.
    Eppure una minoranza significativa di uomini e donne (le stime variano dall'uno al cinque per cento) è attratta esclusivamente da persone dello stesso sesso.
    Molti altri individui, in varia misura, sono attratti sia dagli uomini sia dalle donne.
    Come spiegare questa diversità? Dipende forse da variazioni a livello genetico o fisiologico, da circostanze della storia personale o da una confluenza delle une nelle altre?
    E si tratta, in definitiva, più di una scelta deliberata o di una condizione obbligata?
    Probabilmente nessun fattore, da solo, può spiegare un carattere così complesso e variabile come l'orientamento sessuale.
    Ma recenti studi di laboratorio indicano che i geni e lo sviluppo del cervello hanno un ruolo significativo. In che modo non lo si sa ancora. Può darsi che i geni influenzino il differenziamento sessuale del cervello e la sua interazione con il mondo esterno, diversificandone così la già vasta gamma di risposte agli stimoli sessuali.
    La ricerca delle radici biologiche dell'orientamento sessuale segue due grandi direttrici.
    La prima si basa su osservazioni effettuate in un altro campo di indagine: la ricerca sulle differenze anatomiche tra il cervello maschile e quello femminile.
    La seconda studia la ricorrenza familiare dell'omosessualità, puntando quindi l'attenzione sul diretto responsabile della trasmissione genetica: il DNA.
    Da tempo si cerca nel cervello umano un riscontro fisico della divisione in maschi e femmine.
    Il dimorfismo sessuale della struttura cerebrale si è però dimostrato difficile da accertare.
    In media, il cervello di un maschio ha, rispetto a quello di una femmina, una dimensione leggermente superiore, che corrisponde del resto alla mole maggiore del corpo maschile.
    A parte questo, un'ispezione superficiale non rivela altre diversità fra i due sessi.
    Anche al microscopio, l'architettura del cervello dell'uomo e di quello della donna appare molto simile.
    Non stupisce che le prime osservazioni significative sul dimorfismo sessuale a livello cerebrale siano state effettuate su animali di laboratorio.
    Di particolare importanza è uno studio sui ratti, condotto da Roger A. Gorski dell'Università della California a Los Angeles. Nel 1978, esaminando l'ipotalamo del ratto, Gorski riscontrò che un gruppo di cellule vicine all'estremità frontale dell'ipotalamo è parecchio più grande nel maschio che nella femmina. Pur essendo questo gruppo di cellule molto piccolo in assoluto (meno di un millimetro in sezione trasversale anche nel maschio), la differenza tra i sessi risulta ben visibile in sezioni di tessuto opportunamente colorate; non è nemmeno necessario ricorrere all'osservazione al microscopio.
    La scoperta di Groski è particolarmente interessante perché la regione dell'ipotalamo in cui si trova il gruppo di cellule in questione, l'area preottica mediale, è interessata nello sviluppo del comportamento sessuale, soprattutto dei comportamenti che sono tipici dei maschi.
    Per esempio, scimmie di sesso maschile con aree preottiche mediali lese appaiono sessualmente indifferenti nei riguardi delle femmine; una stimolazione elettrica di queste regioni però può far avvicinare un maschio sessualmente inattivo a una femmina e indurlo a montarla.
    Bisogna dire, tuttavia, che nelle scimmie non è stato ancora trovato un gruppo di cellule analogo a quello sessualmente dimorfico presente nei ratti.
    Inoltre neppure nei ratti è nota esattamente la funzione di questo gruppo di cellule.
    Ciò che si sa, da uno studio di Gorski e collaboratori, è che gli androgeni - i tipici ormoni maschili - hanno un ruolo chiave nell'instaurarsi del dimorfismo durante lo sviluppo.
    I neuroni che fanno parte di questo gruppo hanno molti recettori per gli ormoni sessuali, sia per gli androgeni (di cui il testosterone è il principale) sia per gli estrogeni, gli ormoni femminili.
    Anche se maschi e femmine hanno all'inizio circa lo stesso numero di neuroni nell'area preottica mediale, un incremento del testosterone secreto dai testicoli dei feti di sesso maschile, che si verifica circa alla nascita, funge da stabilizzatore della popolazione neuronale.
    Nelle femmine, invece, il mancato aumento fa sì che molti neuroni del gruppo di cellule muoiano e che la struttura diventi più piccola. E' interessante il fatto che i neuroni preottici mediali siano sensibili agli androgeni solo per pochi giorni prima e dopo la nascita; nel ratto adulto l'eliminazione degli androgeni per castrazione non determina affatto la morte di quei neuroni.


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  2. silverback
     
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    Gorski e collaboratori, e soprattutto Laura S. Allen, hanno individuato strutture dimorfiche anche nel cervello umano. Un gruppo di cellule nella regione preottica mediale dell'ipotalamo, denominato INAH3 (da third interstitial nucleus of the anterior hypothalamus), è circa tre volte più grosso nell'uomo che nella donna. (E', tuttavia, degno di nota il fatto che la sua dimensione varia considerevolmente anche nell'ambito dello stesso sesso.)
    Simon LeVay, nel 1990, decise di verificare se INAH3, o qualche altro gruppo di cellule nell'area preottica mediale, avesse dimensioni variabili in funzione dell'orientamento sessuale oppure del sesso. L'ipotesi era abbastanza ardita, dato che secondo l'opinione prevalente l'orientamento sessuale sarebbe un aspetto "di alto livello" della personalità, plasmato dall'ambiente e dalla cultura. Si ritiene in genere che l'informazione proveniente da centri così elevati sia rielaborata dalla corteccia cerebrale e non da centri "inferiori" come l'ipotalamo.
    LeVay ha esaminato l'ipotalamo di campioni autoptici prelevati da 19 uomini omosessuali, tutti deceduti per complicazioni da AIDS, e da 16 uomini eterosessuali, sei dei quali erano morti anch'essi di AIDS. (L'orientamento sessuale di coloro che erano deceduti per cause diverse dall'AIDS in realtà non era noto, ma, data per scontata una distribuzione simile a quella della popolazione generale, è probabile che non più di uno o due di loro fossero omosessuali.)
    LeVay ha anche incluso campioni provenienti da sei donne, il cui orientamento sessuale non era noto.
    Per garantire che l'analisi fosse obiettiva, i campioni sono stati distinti solo da un codice che non rivelava a quale gruppo appartenessero. LeVay ha sezionato ogni ipotalamo in preparati sottili, colorandoli per contrassegnare i gruppi di neuroni e misurandone al microscopio l'area in sezione trasversale. Conoscendo le varie aree, oltre allo spessore delle sezioni, egli ha potuto facilmente calcolare il volume di ogni gruppo cellulare. Oltre al nucleo INAH3 sessualmente dimorfico, studiato da Allen e Gorski, LeVay ha esaminato tre altri gruppi adiacenti: INAH1, INAH2 e INAH4.
    Come già Allen e Gorski, LeVay ha osservato che INAH3 aveva una dimensione più che doppia nei maschi rispetto alle femmine. Ma lo stesso numero era anche due o tre volte più grande nei maschi "normali" rispetto agli omosessuali. L'analisi statistica ha indicato che la probabilità che questo risultato fosse casuale era all'incirca di 1 su 1000.
    Di fatto, non si notava alcuna differenza significativa nel volume di INAH3 tra maschi omosessuali e femmine. Pertanto questa indagine ha indicato che esiste un dimorfismo correlato all'orientamento sessuale maschile, e che la sua entità è pressoché la stessa di quello correlato al sesso.


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  3. silverback
     
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    Una precauzione fondamentale in simili studi è quella di controllare che le differenze strutturali osservate non siano causate da una variabile diversa da quella presa in esame. Nel caso in questione, i sospetti ricadevano soprattutto sull'AIDS.
    L'HIV, come altri agenti infettivi che approfittano di un sistema immunitario indebolito, può provocare seri danni alle cellule cerebrali. Era forse questa la ragione delle ridotte dimensioni di INAH3 nei maschi omosessuali, i quali erano tutti morti di AIDS?
    Molti elementi danno indicazioni diverse. In primo luogo, nei maschi eterosessuali morti di AIDS il volume di INAH3 non era differente da quello osservato in coloro che erano deceduti per altre cause. In secondo luogo, le vittime dell'AIDS aventi INAH3 piccolo non avevano anamnesi diversa da quelle il cui INAH3 era grande; per esempio, il decorso della malattia non era stato più lungo. In terzo luogo, gli altri tre gruppi di cellule nell'area preottica mediale (INAH2, INAH2 e INAH4) non sono risultati più piccoli nelle vittime di AIDS, come ci si sarebbe potuti aspettare se la malattia avesse avuto un effetto distruttivo non specifico.
    Infine, dopo aver concluso lo studio principale, LeVay è riuscito a procurarsi l'ipotalamo di un omosessuale morto per cause diverse dall'AIDS. Questo campione, trattato come "cieco" assieme a parecchi altri campioni provenienti da eterosessuali più o meno della stessa età, ha confermato lo studio principale: il volume di INAH3 nei maschi omosessuali era meno della metà che nei maschi eterosessuali.
    Allen e Gorski hanno riferito di aver individuato un'altra struttura del cervello correlata con l'orientamento sessuale: la commessura anteriore, un fascio di fibre che attraversa la linea mediana del cervello, è molto piccola nei maschi eterosessuali, più grande nelle femmine e ancora di più nei maschi omosessuali. Dopo una opportuna correzione fatta per tener conto delle dimensioni totali del cervello, la commessura anteriore risultava, nelle femmine e nei maschi omosessuali, di dimensione paragonabile.
    Che cosa sottendono queste evidenti correlazioni tra orientamento sessuale e struttura del cervello? A rigor di logica, vi sono tre possibilità. La prima è che le differenze strutturali esistano già in una fase precoce della vita (forse ancor prima della nascita) e contribuiscano a stabilire l'orientamento sessuale nei maschi. La seconda è che le differenze appaiano a vita adulta come risultato di sentimenti o comportamenti sessuali dei maschi. La terza è che non esista alcuna connessione causale, ma tanto l'orientamento sessuale quanto le strutture cerebrali in questione siano legate a una terza variabile, per esempio a un evento che si svolge durante la vita uterina o nella fase postnatale precoce.
    Non si è ancora in grado di decidere tra queste possibilità. Sulla base di ricerche compiute sugli animali, però, risulta improbabile il secondo scenario, secondo il quale le differenze strutturali comparirebbero in età adulta. Per esempio, nei ratti il gruppo di cellule sessualmente dimorfico nell'area preottica mediale mostra plasticità nel rispondere agli androgeni durante le prime fasi dello sviluppo del cervello, ma poi oppone grande resistenza al cambiamento.
    Simon LeVay, e il suo collega Dean H. Hamer, propendono per la prima ipotesi, secondo la quale le differenze strutturali comparirebbero durante lo sviluppo del cervello, contribuendo di conseguenza alla determinazione del comportamento sessuale. Dato che nelle scimmie la regione preottica mediale dell'ipotalamo è interessata nel comportamento sessuale, la dimensione dell'INAH3 nei maschi può veramente influenzare l'orientamento sessuale. Ma, a questo punto, una simile connessione è puramente ipotetica.
    Ammettendo che alcune differenze strutturali correlate con l'orientamento sessuale siano già presenti alla nascita in certi individui, come insorgerebbero? Potrebbe esistere un'interazione tra gli steroidi delle gonadi e il cervello in via di sviluppo, interazione che sarebbe responsabile delle differenze strutturali tra cervello maschile e femminile. Molti scienziati hanno ipotizzato che livelli atipici di androgeni circolanti, quali si osservano in alcuni casi, facciano sviluppare il feto in un adulto omosessuale. Più specificamente, i livelli degli androgeni sarebbero molto bassi nei feti maschili che diventeranno maschi omosessuali e molto elevati nei feti femminili che diventeranno femmine lesbiche.



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  4. silverback
     
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    Un'alternativa più probabile è che vi siano differenze intrinseche nel modo in cui, durante lo sviluppo, il cervello di individui diversi risponde agli androgeni, anche quando i livelli di questi ormoni sono gli stessi. Questa risposta richiede meccanismi molecolari complessi, che includano innanzitutto i recettori per gli androgeni, ma anche, presumibilmente, una varietà di proteine e di geni la cui identità e il cui ruolo sono ancora ignoti.
    A prima vista, l'idea di geni per l'omosessualità appare assurda. Come potrebbero questi geni, che determinano un'attrazione per individui dello stesso sesso, sopravvivere alla selezione darwiniana in favore dell'idoneità riproduttiva? E non è forse vero che i genitori di gran parte degli omosessuali sono eterosessuali? Dinanzi a queste evidenti contraddizioni, la ricerca deve concentrarsi su geni che, anziché determinare rigidamente, orientino l'attrazione sessuale. I due indirizzi di ricerca più importanti per trovare questi geni sono gli studi sulle famiglie e sui gemelli e le analisi di associazione genica.
    Gli studi sui gemelli e sugli alberi genealogici si basano sul principio che i caratteri soggetti a influenza genetica ricorrono a livello familiare. Il primo studio moderno sull'occorrenza familiare dell'omosessualità è stato pubblicato nel 1985 da Richard C. Pillard e James D. Weinrich della Boston University. Da allora sono stati resi noti cinque altri studi sistematici su gemelli e fratelli (o sorelle) di omosessuali di entrambi i sessi.
    I dati raccolti sui maschi mostrano che circa il 57 per cento dei gemelli omozigoti, il 24 per cento dei gemelli dizigoti e il 13 per cento dei fratelli di maschi omosessuali sono anch'essi omosessuali; per le femmine, i valori sono rispettivamente pari a circa il 50, il 16 e il 13 per cento.
    Confrontando i dati con le percentuali medie di occorrenza dell'omosessualità nella popolazione generale, appare evidente un buon grado di raggruppamento familiare nell'orientamento sessuale.
    In effetti, J. Michael Bailey della Northwestern University e collaboratori stimano che l'ereditabilità totale dell'orientamento sessuale (cioè quella percentuale di varianza del carattere che proviene dai geni) sia all'incirca del 53 per cento per gli uomini e del 52 per cento per le donne.
    (Il raggruppamento familiare è più evidente per parenti dello stesso sesso e meno per le coppie maschio-femmina.)
    Per valutare la componente genetica dell'orientamento sessuale e per far luce sulle modalità di trasmissione ereditaria bisogna compiere un'indagine sistematica sulle famiglie estese di maschi e femmine omosessuali. Dean H. Hamer e un gruppo di ricerca dei National Institutes of Health hanno avviato uno studio di questo tipo, nell'ambito di un'indagine più ampia realizzata dal National Cancer Institute sui fattori di rischio di certi tumori maligni che sono più frequenti in alcuni segmenti della popolazione maschile omosessuale.
    L'indagine iniziale su soggetti di sesso maschile ha confermato i risultati ottenuti da Pillard e Weinrich sui fratelli di omosessuali. Un fratello di un maschio omosessuale aveva una probabilità del 14 per cento di essere egli stesso omosessuale, mentre la probabilità era solo del 2 per cento per coloro che non avevano fratelli omosessuali. (In questo studio si dava dell'omosessualità una definizione insolitamente rigorosa, che abbassava la frequenza media.)
    Per i parenti più lontani appariva un andamento inatteso: gli zii materni avevano una probabilità del 7 per cento di essere omosessuali, mentre i figli delle zie materne avevano una probabilità dell'8 per cento. I padri, gli zii paterni e gli altri cugini non hanno mostrato alcuna correlazione.




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  5. Scienziato apocrifo
     
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    CITAZIONE (silverback @ 15/7/2006, 15:49)
    gli zii materni avevano una probabilità del 7 per cento di essere omosessuali, mentre i figli delle zie materne avevano una probabilità dell'8 per cento. I padri, gli zii paterni e gli altri cugini non hanno mostrato alcuna correlazione.

    Se questo è vero, ...se l'omosessualità viene trasmessa dal ramo materno, allora vuol dire che ci potrebbe essere un legame col DNA mitocondriale, che è quella parte di DNA che si eredità solo dalla madre.
     
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  6. silverback
     
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    Anche se lo studio di Hamer e collaboratori era indicativo di una componente genetica, l'omosessualità compariva con una frequenza nettamente inferiore a quella che avrebbe suggerito l'ereditarietà mendeliana relativamente a un singolo gene. Un'ipotesi secondo la quale il ruolo dei geni sarebbe più importante in alcune famiglie che in altre viene confermata osservando famiglie in cui siano presenti due fratelli omosessuali. Se confrontata con le percentuali di omosessualità in famiglie scelte a caso, la frequenza di omosessualità negli zii materni aumentava dal 7 al 10 per cento e nei cugini materni dall'8 al 13 per cento. Questo raggruppamento familiare, anche in parenti esterni al nucleo ristretto, offre un elemento in più a favore di una radice genetica dell'orientamento sessuale. Perché la maggior parte dei parenti omosessuali di sesso maschile di maschi omosessuali appartiene al lato materno della famiglia? Sembra improbabile che i soggetti in esame abbiano conosciuto più a fondo i parenti del lato materno, perché i parenti omosessuali di sesso opposto di maschi omosessuali e di femmine lesbiche erano equamente distribuiti sul lato paterno e su quello materno. Una seconda spiegazione è che l'omosessualità, benché sia trasmessa da entrambi i genitori, si esprima solo in un sesso: in questo caso, quello maschile.
    Dato che, quando si esprime, essa sfavorisce la riproduzione, deve essere un carattere trasmesso soprattutto dalla madre. Ciò può in parte spiegare la concentrazione di maschi omosessuali nel ramo materno della stessa famiglia. Ma la conferma di questa ipotesi si avrà solo se si troverà un gene appropriato su un cromosoma autosomico che, non essendo legato al sesso, si può ereditare per via materna o paterna.
    Una terza spiegazione è data dall'associazione del cromosoma X. Un uomo ha due cromosomi sessuali: un Y, ereditato dal padre, e un X, che deriva da uno dei due cromosomi X della madre, dopo che questi si sono scissi e ricomposti. Pertanto un carattere influenzato da un gene presente sul cromosoma X tenderà a essere ereditato per via materna e si osserverà soprattutto nei fratelli, negli zii materni e nei cugini materni.
    Per verificare questa ipotesi, Hamer e collaboratori hanno avviato uno studio sull'associazione del cromosoma X nei maschi omosessuali. Quest'analisi si basa su due princìpi della genetica. Se un carattere subisce un'influenza genetica, allora i parenti che hanno lo stesso carattere condivideranno il gene con una frequenza superiore a quella casuale. Il discorso vale anche se il gene ha un ruolo di scarso rilievo. Inoltre i geni che si trovano vicini su un cromosoma sono ereditati quasi sempre insieme. Perciò, se vi è un gene che influenza l'orientamento sessuale, dovrebbe essere "associato" a un marcatore presente sul DNA, che tende a essere trasmesso con il gene in questione. Se un carattere è influenzato da un solo gene, l'associazione può localizzarlo esattamente su un cromosoma, ma per caratteri complessi come l'orientamento sessuale l'associazione può contribuire a confermare l'esistenza di una componente genetica.




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  7. silverback
     
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    Per avviare un'analisi di associazione genetica nell'orientamento sessuale del maschio, si è dovuto innanzitutto trovare marcatori significativi (segmenti di DNA che contrassegnano certi punti su un cromosoma). Fortunatamente il Progetto Genoma umano ha prodotto un ampio catalogo di marcatori situati su tutta la lunghezza dei cromosomi X.
    I più utili sono brevi sequenze ripetitive di DNA che hanno lunghezze leggermente diverse da una persona all'altra. Per individuare i marcatori, ci si è serviti della reazione a catena della polimerasi* (o *PCR, inventata da Kary B. Mullis, Premio Nobel per la Chimica, nel 1993), producendo parecchi miliardi di copie di regioni specifiche del cromosoma, e si sono quindi separati i diversi frammenti mediante elettroforesi su gel.
    Il secondo passo dell'analisi è consistito nell'individuare famiglie adatte. Se si studiano caratteri semplici come il daltonismo o l'anemia falciforme, che coinvolgono un solo gene, si analizzano ampie famiglie multigenerazionali, nelle quali ciascun membro evidentemente ha o non ha il carattere in questione. Questa strategia non è però adatta per studiare l'orientamento sessuale. In primo luogo, è difficile identificare con certezza qualcuno come omosessuale: la persona potrebbe mascherare il suo vero orientamento, o non esserne consapevole. Poiché l'omosessualità era in passato ancor più stigmatizzata (naturalmente non fra gli antichi greci o i romani; è notorio che è stata la cultura ebraico-cristiana quella che più ha combattuto l'omosessualità), lo studio di famiglie multigenerazionali è particolarmente problematico. Inoltre la costruzione di modelli genetici mostra che, per caratteri che coinvolgono parecchi geni diversi, espressi a livelli variabili, lo studio di ampie famiglie può in realtà ridurre la probabilità di trovare un gene associato: vi sono troppe eccezioni. Per questi motivi, Hamer e collaboratori hanno deciso di concentrarsi su nuclei familiari con due figli maschi omosessuali. Un vantaggio di questa scelta è che non vi sono probabilità di errore quando un individuo dichiara di essere omosessuale. Inoltre, è possibile scoprire un singolo gene associato anche se, per la sua espressione, occorrono altri geni o fattori non ereditari. Per esempio, supponiamo che per essere un maschio omosessuale sia necessario un gene sul cromosoma X assieme a un altro gene su un autosoma, più un certo insieme di circostanze ambientali. Lo studio di fratelli omosessuali darebbe un risultato netto, in quanto entrambi i soggetti avrebbero il gene sul cromosoma X. Per contro, i fratelli eterosessuali di maschi omosessuali avrebbero talvolta lo stesso gene sul cromosoma X e talvolta no, il che porterebbe a risultati in grado di ingenerare confusione.
    Gli scienziati che effettuano queste analisi sono convinti che lo studio dei fratelli sia la chiave per comprendere i caratteri che sono influenzati da molti elementi. Dato che Hamer e collaboratori avevano interesse nel trovare un gene che si esprimesse solo nei maschi, ma che fosse trasmesso per via femminile, hanno limitato la ricerca a famiglie con maschi omosessuali, ma in cui non vi fossero coppie padre omosessuale-figlio omosessuale. Sono state reclutate 40 famiglie. Dai fratelli omosessuali e, dove possibile, anche dalle loro madri o sorelle sono stati prelevati campioni di DNA.
    Questi sono poi stati tipizzati per 22 marcatori che si estendono sul cromosoma X dall'estremità del braccio corto a quella del braccio lungo. Per ogni marcatore, una coppia di fratelli omosessuali veniva registrata come concordante se essi avevano ereditato marcatori identici dalla madre o come discordante se avevano ereditato marcatori diversi. Si prevedeva che la probabilità che i marcatori fossero identici per caso fosse del 50 per cento. Sono state anche effettuate correzioni per l'eventualità che la madre possedesse due copie dello stesso marcatore. I risultati sono stati sorprendenti. Su una parte molto estesa del cromosoma X i marcatori erano distribuiti a caso tra i fratelli omosessuali, ma all'estremità del braccio lungo del cromosoma, nella regione Xq28, c'era una considerevole concordanza: 33 coppie di fratelli su 40 condividevano lo stesso marcatore. Benché la dimensione del campione non fosse grande, il risultato era significativo sotto il profilo statistico: la probabilità che un rapporto così diverso dalla media fosse determinato dal puro caso era meno di una su 200.
    In un gruppo di controllo di 314 coppie di fratelli, la maggior parte dei quali erano presunti eterosessuali, i marcatori Xq28 erano distribuiti a caso.
    L'interpretazione più semplice è che la regione cromosomica Xq28 contenga un gene che influenza l'orientamento sessuale nei maschi. Questo studio offre finora la prova più consistente del fatto che la sessualità umana sia influenzata dall'ereditarietà, in quanto esso esamina direttamente il DNA. Ma, come con tutti gli studi allo stadio iniziale, vi sono alcune riserve di cui occorre tener conto.



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  8. silverback
     
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    In primo luogo, il risultato deve essere riprodotto: affermazioni secondo cui sarebbero stati trovati geni associati a vari caratteri della personalità sono poi risultate dubbie. In secondo luogo, il gene in sé non è stato ancora isolato. Esso si trova in una regione del cromosoma X che ha una lunghezza di circa quattro milioni di coppie di basi. Questo segmento rappresenta meno dello 0,2 per cento del genoma umano, ma è ancora abbastanza grande da contenere centinaia di geni. Per trovare l'ago nel pagliaio occorrerà o analizzare un numero elevato di famiglie o acquisire informazioni più complete sulla sequenza del DNA per identificare tutte le possibili regioni codificanti. La regione Xq28 è straordinariamente ricca di loci genici. In terzo luogo, non si può ancora quantificare l'importanza del ruolo che la regione Xq28 riveste nell'orientamento sessuale dei maschi.
    All'interno della popolazione di fratelli omosessuali analizzati, sette su 40 non avevano gli stessi marcatori. Assumendo che 20 fratelli dovrebbero ereditare marcatori identici per puro caso, il 36 per cento non mostra alcun legame tra l'omosessualità e la Xq28. Forse questi soggetti hanno ereditato geni diversi o sono stati influenzati da fattori fisiologici non genetici o dall'ambiente.
    Per i maschi omosessuali nel loro complesso (la maggior parte dei quali non ha fratelli omosessuali), l'influenza della regione Xq28 è ancora meno chiara. Sconosciuto è anche il ruolo della Xq28 e di altri loci genici nell'orientamento sessuale delle femmine.
    Come può un locus genico in corrispondenza della regione Xq28 influenzare la sessualità?
    Può darsi che l'ipotetico gene influisca sulla sintesi degli ormoni o sul metabolismo. Gene candidato è stato il locus per il recettore degli androgeni, che codifica per una proteina essenziale alla mascolinizzazione del cervello umano ed è localizzato sul cromosoma X.
    Per verificare quest'ipotesi, Jeremy Nathans, Jennifer P. Macke, Van L. King e Terry R. Brown della Johns Hopkins University si sono uniti a Bailey della Northwestern University e ad Hamer, Nan e Stella Hu dei National Institutes of Health.
    Essi hanno confrontato la struttura molecolare del gene per il recettore degli androgeni in 197 maschi omosessuali e in 213 prevalentemente eterosessuali, ma senza trovare variazioni significative nelle sequenze codificanti per le proteine. Inoltre gli studi di associazione genica hanno dimostrato che non vi è correlazione tra l'omosessualità nei fratelli e la trasmissione ereditaria del locus per il recettore degli androgeni. Ma - fatto in assoluto più significativo - il locus è risultato localizzato in Xq11, ben lontano quindi dalla regione Xq28.
    Una seconda ipotesi è che il gene agisca indirettamente, attraverso la personalità o il carattere: per esempio, coloro che per predisposizione genetica tendono a fare affidamento su se stessi potrebbero avere minori difficoltà a dichiarare un'attrazione per persone del proprio sesso rispetto a chi dipende dall'approvazione degli altri.
    Infine, vi è l'interessante possibilità che il prodotto genico della regione Xq28 influisca direttamente sullo sviluppo di aree del cervello soggette a dimorfismo sessuale, come INAH3. Al livello più semplice, questo prodotto potrebbe agire autonomamente, forse nell'utero, stimolando la sopravvivenza di neuroni specifici nei maschi pre-eterosessuali o promuovendone la morte nelle femmine e nei maschi pre-omosessuali. In un modello più complesso, il prodotto genico potrebbe modificare la sensibilità di un circuito neuronale nell'ipotalamo alla stimolazione da parte di agenti ambientali, forse nei primi anni di vita. In questo caso i geni servirebbero più a predisporre che a predeterminare. Resta da vedere se questa idea abbia qualche fondamento: essa è, di fatto, sperimentalmente verificabile con gli strumenti attuali della ricerca.
    ______________________________________________________________________

    Per saperne di più:
    LeVAY SIMON, A Difference in Hypothalamic Structure between Heterosexual and Homosexual Men in "Science", 253, 30 agosto 1991.
    HAMER DEAN H., HU STELLA, MAGNUSON VICTORIA L., HU NAN e PATTATUCCI ANGELA M. L., A Linkage between DNA Markers on the X Chromosome and Male Sexual Orientation in "Science", 261, pp. 321-327, 16 luglio 1993.
    MACKE JENNIFER P., HU NAN, HU STELLA, BAILEY J. MICHAEL, KING VAN L. e BROWN TERRY R., Sequence Variation in the Androgen Receptor Gene Is Not a Common Determinant of Male Sexual Orientation in "American Journal of Human Genetics", MIT Press, 1993.
    LeVAY SIMON, The Sexual Brain, MIT Press, 1993.

    ________________________________________________________________________

    Simon LeVay e Dean Hamer, si interessano entrambi alle radici biologiche dell'omosessualità.
    LeVay si è laureato in neuroanatomia presso l'Università di Gottingen, in Germania, e nel 1971 si è trasferito alla Harvard University, dove ha lavorato, insieme con David Hubel e Torsten Wiesel, sul sistema visivo centrale. Nel 1992 ha fondato l'Institute of Gay and Lesbian Education.
    Hamer ha conseguito la laurea in biochimica nel 1977 presso la Harvard University e da allora ha sempre lavorato presso i National Institutes of Health. Si occupa del ruolo svolto dai geni sia nel determinare l'orientamento sessuale sia in complesse patologie fra cui la progressione dell'infezione da HIV e il sarcoma di Kaposi.

    Naturalmente costoro hanno dei "feroci" oppositori, fautori delle cause ambientali dell'omosessualità, fra i quali spicca William Byne, che studia il modo in cui i fattori biologici e sociali interagiscono nell'influenzare il comportamento.
    Egli ha compiuto gli studi all'Università del Wisconsin a Madison e all'Albert Einstein College, dove si è laureato in medicina nel 1989.
    E' ricercatore associato all'Albert Einstein College of Medicine della Yeshiva University di New York, presso la quale studia la struttura cerebrale dell'uomo e di altri primati, e psichiatra al New York State Psychiatric Institute.

    Edited by silverback - 24/7/2006, 13:35
     
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  9. silverback
     
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    Per "par condicio" segnalo altresì alcuni studi condotti dai fautori delle cause ambientali dell'omosessualità.


    LEWONTIN R. C., ROSE STEVEN e KAMIN LEON J., Il gene e la sua mente,
    Mondadori, Milano, 1983.


    STOLLER ROBERT J. e HERDT GILBERT H., Theories of Origins of Male
    Homosexuality: A Cross-Cultural Look
    in "Archives of General Psychiatry",
    42, n. 4, aprile 1985.


    FAUSTO-STERLING ANNE, Myths of Gender: Biological Theories about
    Women and Men
    , Basic Books, 1992.


    BYNE WILLIAM e PARSON BRUCE, Human Sexual Orientation: The
    Biologic Theories Reappraised
    in "Archives of General Psychiatry",
    50, n. 3, marzo 1993.
     
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  10. Enduring Freedom
     
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    Credo che sia un complesso di cause organiche e ambientali che determini l'orientamento sessuale di un soggetto
     
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  11. Raimundus
     
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    Quali che siano le cause, e siamo ben lungi da una risposta che trovi unanimità nella comunità scientifica, l'omosessuale deve portare con dignità la sua croce e astenersi dal turpe vizio della sodomia, che umilia la dignità umana ed è contro la legge morale naturale
     
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    CITAZIONE (Raimundus @ 30/7/2007, 13:47)
    l'omosessuale deve portare con dignità la sua croce e astenersi dal turpe vizio della sodomia, che umilia la dignità umana ed è contro la legge morale naturale

    Anche l'eterosessuale dovrebbe astenersi?
     
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  13. Raimundus
     
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    Dalla sodomia? Certo.
     
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  14. Wishotel
     
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    CITAZIONE (Warlordmaniac @ 30/7/2007, 14:26)
    CITAZIONE (Raimundus @ 30/7/2007, 13:47)
    l'omosessuale deve portare con dignità la sua croce e astenersi dal turpe vizio della sodomia, che umilia la dignità umana ed è contro la legge morale naturale

    Anche l'eterosessuale dovrebbe astenersi?

    Bella questa domanda...
     
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    CITAZIONE (Raimundus @ 30/7/2007, 14:28)
    Dalla sodomia? Certo.

    Scusa, ma allora la grande differenza è dove glielo metti? Praticamente ci sono buchi morali e buchi immorali. Oppure è tutto il sesso pratico è da considerare negativamente?
     
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27 replies since 14/7/2006, 18:08   1192 views
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