il matriarcato americano

il capitalismo femminile

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. milanesestanco
     
    .

    User deleted


    di Giorgio Locchi ,tratto da "c'era una volta in America"


    «I saw it in the papers»

    La puerilità comporta l'assenza di spirito critico. L'assenza di spirito critico comporta la credulità, che accentua il potere dei media. Tutte le folle sono credule ma la credulità degli americani supera davvero ogni aspettativa. Nel 1938, una trasmissione radiofonica troppo realista di Orson Welles sull'invasione della terra ad opera dei marziani provoca a New York, in piena notte, il panico generale e fughe in massa.

    Nel 1973 la proiezione del film L'esorcista in numerose città americane si risolve in scene di isterismo. L'americano è un joiner. Crede a tutto quello che legge: I saw it in the papers. Non resiste ne agli slogans né ai messaggi pubblicitari perché non ha, attorno a sé gli elementi che potrebbero consentirgli di rifiutare un'informazione.

    Il potere dei media non ha bisogno di essere ulteriormente descritto, tanto nelle sue capacità di dissimulazione (blackout, o cancellazione simbolica: ciò di cui la stampa non parla non ha avuto luogo) quanto nelle sue capacità di sopravvalutare, soprattutto per tutto ciò che concerne i «marginali». Il Women's Lib [alias] (il movimento di liberazione della donna) non conta che 40.000 aderenti su 213 milioni di abitanti, ma la stampa ne ha fatto uno dei maggiori avvenimenti dek novecento. «Dietro un Carmichael c'erano all'inizio cinquecento negri e... cinquemila giornalisti», osserva Dominique de Roux (Entretiens aver Witold Gombrowicz, Belfond, 1968). In queste condizioni, l'informazione si trasforma facilmente in un ramo della pubblicità. (E la stampa è costantemente parte civile nel processo che l'America non cessa d'istituire contro se stessa). Nel 1935 la pubblicità rappresentava già i due terzi delle entrate dei giornali. Oggi [nel 1975] questa proporzione raggiunge correntemente il 90 o il 95%. Nel 1970, il totale degli investimenti negli Stati Uniti ha raggiunto la vetta fantastica dell'1,56% del reddito nazionale, ossia del 2,02% delle spese per i consumi privati.

    La puerilità, infine, produce una distorsione dei rapporti fra le generazioni, che trova la più compiuta espressione nelle strutture specifiche della famiglia americana. Il cinema, la letteratura, il fumetto (Blondie, Bringing up Father, etc.), in mancanza di un'informazione vissuta, hanno divulgato queste strutture elementari, invariabilmente composte di padre, madre, sorella maggiore (sis') e fratello minore (junior). Si avverte subito che alla classica cesura fra genitori e figli se ne aggiunge un'altra, che oppone il padre agli altri membri della famiglia. Il rifiuto dell'autorità riguarda per prima la sua persona. Certo, la moda della psicanalisi, le tendenze della pedagogia all'americana han hanno provocato congiuntamente il crollo del potere dei genitori. Ma questo è avvertito soprattutto, a livello paterno. La madre punisce i figli molto più che il padre (26), e da questo deriva il tema della «complicità» fra il padre e la sua progenie (Don't let your mother catch you!), costantemente sfruttato dai film e dai romanzi. Il padre vuol essere un daddy, un «amico», per i propri figli. Partecipa alle loro partite di baseball, si fa complice delle loro sciocchezze, accetta di buon grado, tutti gli scherzi destinati a fargli capire che non è che una vecchia ciabatta. Gioca al «fratello maggiore» e questo è il suo modo di ricadere nell'infanzia; tuttavia egli rimane per il figlio, che non s'inganna, il «vecchio» (my old man): espressione che in America non può avere altro che una risonanza peggiorativa (27).






    il «matriarcato americano»

    In queste condizioni la poca autorità che rimane è detenuta dalla donna. È quello che è stato chiamato il matriarcato americano. Ora come ora, il 10% delle famiglie ha come capo effettivo la donna; questa proporzione presso i negri raggiunge il 38%, a causa del numero più alto delle nascite illegittime e dei divorzi.

    Ma è anche una questione di stato d'animo. A livello simbolico, la figura maschile dello «zio Sam» è quasi sempre negativa. Lo zio Sam è colui che chiede egli americani di fare il servizio militare (Uncle Sam wants you for US army), di pagare le tasse, di fare economia. Per simboleggiare l'America in forma positiva, si e preferito fare ricorso ad un'immagine femminile: la Statua della Libertà. E questa porta il corsetto di Madam Chairman. Questo ruolo svolto dalla donna, con le sororities (associazioni universitarie femminili, notoriamente più attive delle fraternities), come in tutti gli ingranaggi della meccanica sociale, non ha mancato di attirare l'attenzione. Le cause sono molteplici. Sul piano storico non bisogna dimenticare che le colonie americane hanno dato i natali a una forma di «democrazia religiosa» che riposava sull'idea che l'individuo è signore delle proprie capacità ed ha diritto a difenderle contro ogni violazione. Le donne furono le prime a trarre profitto da questa idea: Sheila Rowbotham non ha torto a vedere nel puritanesimo americano uno dei grandi antenati del neo-femminismo contemporaneo (Women's liberation and revolution). D'altro canto, la donna è oggi la consumatrice per eccellenza: è lei, nella famiglia, a stabilire implicitamente gli assi del consumo. Una società di mercanti non può non tenerne conto. André Bazin osserva: «A H Hollywood i film sono fatti per le donne: i sono fatti per le don soggetti si allineano alloro gusto sentimentale perché sono loro a determinare gli incassi» (Le cinéma de la cruauté, Flammarion, Paris 1975). È infine normalissimo che gli Stati Uniti, capitale dell'universalismo, la cui «ideologia» si basa sulla fede in un «bene» universale della cui esportazione gli americani avrebbero il monopolio, accordino uno spazio preponderante ai valori più specificamente femminili del «confort», dell'«amore» e della sicurezza, che sono alla base di una concezione egualitario-materialistica della vita (in un libro che fece un certo scalpore, The Natural Superiority of Women, Macmillan, New York, 1952 e 1974, Ashley Montagu proclama d'altronde la «superiorità naturale delle donne», basandosi sul fatto che a suo avviso i valori di cui esse sono portatrici sono più conformi all'ideale antieroico dell'universalismo egualitario «L'unica funzione e il destino della donna - osserva questo autore - consistono nell'insegnare agli uomini a vivere come se la vita e l'amore non fossero che una sola cosa»).

    I sentimenti che l'americano medio nutre di fronte alla donna sono non di meno estremamente ambigui. Vi si riscontra più paura che ammirazione. In America, come scrive Margaret Mead, «la voce tormentosa della coscienza è femminile» è la voce di Mom. Il ricordo di una madre onnipotente, unica detentrice di una reliquia di autorità, non è cosa da poco; anzi spinge numerosi americani ad aderire alla psicanalisi, la cui tesi dell'ambivalenza della madre (odiata e amata al tempo stesso) non può non sedurli (28).

    Questo inconscio timore della donna non ha niente della misoginia, ma può evolversi in ginofobia. Persino l'«eroe» del film o del romanzo giallo americano è spesso in posizione d'inferiorità dinanzi alla sua donna. Il tema puritano della «peccatrice», fonte di «dannazione», è soprattutto nell'immagine della «donna fatale», vero rapace umano, la cui vera natura si la cui vera natura si svela man mano che si dissipano le esaltazioni amorose, e che e causa di rovina e i decadenza (cfr. il romanzo di Frank Norris, McTeague, pubblicato nel 1899, da cui Erich von Stroheim ha tratto il film Greed; e con esso tutta la posterità dei romanzi della «serie gialla»). «Ereditando lo schema patologico del puritanesimo - ha scritto Alain Lacombe - il romanzo giallo non osa proporre rapporti normali, sessuali o affettivi che siano (...) L'uomo non coabita con la sua donna, che rimane la partner cui si ricorre per affermare spettacolarmente la propria virilità o per valorizzare i propri argomenti difensivi. Due pianeti si scontrano, ciascuno con leggi proprie. Abbandonando le sue tentazioni di autodistruzione attraverso i rapporti con i propri fratelli, l'uomo/individuo sarà in realtà più suicida nelle sue relazioni con la donna (...) L'eroe del romanzo giallo risolve tutti i propri conflitti, eccetto quelli con la sua donna» (Le roman noir américain, cit). Nell'ambito coniugale i rapporti sono fondati su un continuo controllato accostamento (suscettibile d'invertirsi in esplosione incontrollata: cfr. Edward Albee, Chi ha paura di Virginia Woolf?). Il matriarcato con successiva poliandria, facendo della donna una specie di mantide religiosa, conferma il maschio americano nella sua vocazione suicida (del resto, se tiene ad essere un winner, un «vincitore» nella vita pubblica e sociale, non è forse perché troppe volte è un loser, un «perdente», nella sua vita familiare e privata?).

    La «sophisticated woman»

    Questo timore puritano di fronte alla donna, l'uomo lo nasconde in svariati modi. In primo luogo attraverso tutta una serie di regole formali di cortesia e di galanteria, che hanno più meno lo stesso valore del commercial smile delle cameriere della catena Howard Johnson: sin dall'infanzia, per il Girl's Day o la festa di San Valentino, i ragazzi sono educati ad una falsa galanteria completamente superficiale e vuota di veri sentimenti, dietro la quale, divenuti adulti, rifugiarsi senza lasciarsi scoprire. Secondariamente, col ricorso a tutte quelle «struttture di ripiego» (clubs, «fratellanze», congressi, etc.) in cui gli uomini possono soddisfare fra loro la propria sete di togetherness. Questo motivo della «fuga dinanzi alla donna» riappare, d'altronde, in maniera ora primaria, ora secondaria, nella letteratura (cfr. Mark Twain e Fenimore Cooper) e nel cinema (cfr. Un tranquillo week end di paura, di John Boorman) (29). Infine, un certo numero di figure simboliche adempiono al compito di rassicurare il maschio americano. Semisconosciuta in Europa, la donna clown è un'attrazione classica negli Stati Uniti. E' in questo democraticissimo paese non si è smesso di incoronare delle queens (regine... di un giorno), altrettante donne-oggetto intoccabili e lontane, asessuate come le majorettes, le stars delle riviste e le cheerleaders (le supporters femminili delle squadre universitarie di football) (30).

    Non potendo essere una donna-donna, l'americana deve essere una «superdonna», stile Wonder Woman [alias] o non essere nulla. Il cinema le propone da parte sua un tipo umano socialmente disonorevole: la donna dello star system, a mezza strada fra la starlet insignificante e la vamp. La moda erige a modello la sophisticated woman: il colmo dell'artificialità, colei che vuole essere tutto eccetto se stessa. Le riviste, redatte per segretarie di direzione nubili e donne senza figli, le descrivono la vita come una successione di problemi: e le donne americane imparano ad essere in leggendo «Cosmopolitan». Secondo l'espressione di Spengler, «invece di avere dei figli, hanno dei conflitti psichici (Il tramonto dell'Occidente, Longanesi, Milano, 1978) («La donna non può emanciparsi - scriveva Bernard Shaw - senza ripudiare la propria natura femminile, i suoi doveri verso lo sposo, verso i figli, verso la società, verso la legge, verso tutti, tranne che verso se stessa»). Possono essere sia delle Moms castratrici, sia delle modeste casalinghe condizionate, sia delle career women sofisticate.

    Nella sfera pubblica, contrariamente a una convinzione piuttosto diffusa, la donna americana non è favorita maggiormente di quanto lo sia in Europa; anzi lo è semmai di meno. Quando si parla di «matriarcato» negli Stati Uniti, bisogna precisare che si tratta di un matriarcato privato (e l'una cosa, senza dubbio, spiega l'altra). Dal 1920 al 1975 solo due donne sono state ministro. Nello spazio di mezzo secolo, non ci sono state che dieci donne al Senato [alias] e 69 donne alla Camera, ovvero il 2% del totale degli effettivi. In tutta la storia, degli Stati Uniti sino agli anni ottanta, non si sono avute che tre donne governatrici; tutte e tre, d'altronde, sono succedute ai loro mariti. Nelle università e nei colleges, la proporzione delle studentesse in rapporto agli studenti è del 22%; non è praticamente mutata dal 1910. Nelle venti università americane più importanti, nessuna cattedra nel 1979 era occupata da una donna. Nei collegi femminili più famosi le donne non rappresentano che il 64% degli assistenti (a Vassar, su 188 professori a tempo pieno, si contano 122 uomini). Circa il 79% di tutta la ricchezza degli Stati Uniti è in mano a donne (che sono le principali beneficiarie delle polizze d'assicurazione e che possiedono il 65% dei titoli, delle rendite e dei libretti di risparmio, il 53% dei titoli di Stato, il 45% dei beni immobiliari, l'80% delle società d'investimento i cui beni sono principalmente costituiti da immobili e da azioni, etc.). Un gran numero di esse, tuttavia, agisce come prestanome del marito, e le altre non entrano generalmente in possesso dei loro beni che ad un'età alquanto avanzata (il 35% delle ricche americane sono vedove ultra sessantenni). Il numero delle donne che lavorano fuori delle mura domestiche, invece, in rapido aumento: il 42% nel marzo 1970, il 34,7% nel 1960 contro 34,7%, nel 1960 e il 30,3% nel 1950 (31).
     
    Top
    .
  2. milanesestanco
     
    .

    User deleted


    in un altro testo mi sembra che proprio Locchi distingua la fase iniziale del capitalismo statunintense , definita come eroica e maschili (gli esploratori che si avventurano in luoghi sconoicuti, i coltivatori che vanno a colonizzare le terre incolte, i cercatori d'oro , i boscaioli, i costruttori di ferrovie e strade) ed una fase capitalistica successiva consumistica e femminile.

    non sono sicuro che sia divisione di Locchi o di altro autore di quell'area.



    altri testi di Locchi qui:

    http://anonym.to/?http://www.uomo-libero.c...%3Fid%3D7&hash=
     
    Top
    .
1 replies since 3/8/2009, 17:48   389 views
  Share  
.