Il politicamente corretto

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    Il "politicamente corretto"

    La nuova censura progressista

    Scritto da Emilia Riccardi

    22/09/06


    Una persona bassa è in realtà "verticalmente svantaggiata"?
    Il capitano Ahab (protagonista di Moby Dick) è il "portatore di un atteggiamento scorretto verso le balene"?
    Se, per non essere razzisti, bisogna chiamare i neri d’America “afroamericani” (rievocando l’origine dei loro avi), i bianchi finiranno col chiamarsi… “euroamericani”?
    Nella Bibbia, "insopportabilmente sessista", bisogna togliere tutti i pronomi, gli aggettivi, i riferimenti a Dio di genere maschile, e sostituirli con alternative di genere “neutro”?
    La "correttezza politica" (political correctness) è una bislacca corrente di pensiero che vorrebbe dettare regole nel modo di esprimersi, di vestirsi, nei comportamenti, al fine di evitare che chiunque possa sentirsi offeso. Un nuovo bigottismo, insomma, questa volta di matrice progressista (che si contrappone a quello reazionario, il quale però – almeno in Europa - pare francamente in disarmo).

    Usare la manipolazione del linguaggio per imbrigliare o indirizzare il pensiero – con conseguenze, sovente, ridicole e grottesche - non è una novità.
    Ci provano i regimi nazionalistici, per espellere i termini stranieri. Il fascismo ebbe successo per "autista" al posto di chaffeur, o per "tramezzino" al posto di sandwich; un po’ meno per "pallacorda" al posto di tennis, oppure "arlecchino" o "coda di gallo" al posto di cocktail. E impose anche l'italianizzazione di cognomi e toponimi. (Fermo restando che l'abuso di forestierismi facilmente traducibili, come accade oggi, è una forma di provincialismo o di pigrizia da evitare). Ci provano - a manipolare il linguaggio - i regimi totalitarî, per espellere termini che abbiano potenziale eversivo, come nella “neolingua” immaginata da Orwell nel romanzo 1984: le idee non possono essere espresse senza parole.

    Ci provano i nuovi sacerdoti del linguaggio “politicamente corretto” (politically correct), quando elaborano un’antilingua, tecnica, eufemistica, fatta di sigle incomprensibili (IVG al posto di aborto). Impongono, in sostanza, un’anestesia del linguaggio, per rendere l’opinione pubblica meno sensibile a scelte politiche delicate.

    La manipolazione del linguaggio arriva alla manipolazione della realtà, quando ad esempio nega l'esistenza dei sessi (!) e pretende di introdurre la nuova distinzione basata sul genere ("gender"), categoria socialmente costruita per assecondare le ideologie femministe e gay più estreme.
    La frontiera più avanzata del “politicamente corretto” è l’esplicito rifiuto dei giudizî di valore: giudicare, criticare, esprimere un’opinione netta, “offenderebbe” chi la pensa diversamente.

    La matrice teorica della “correttezza politica” è infatti il relativismo. Questa dottrina (come spieghiamo nell’articolo che la riguarda, e in particolare nel paragrafo su Verità e pluralismo) sostiene che tutte le idee, i gusti, le culture, i comportamenti sessuali, ecc. sono uguali, che non è possibile fare gerarchie di valore. La conseguenza paradossale è che, partendo dalla premessa astratta per cui tutte le idee e i comportamenti sono uguali, si arriva alla conseguenza concreta che esiste un solo modo “politicamente corretto” di parlare, vestirsi e comportarsi: quello che – secondo i sacerdoti di tale dottrina – risulterebbe non offensivo per gli altri!
    Nell’articolo sul relativismo abbiamo spiegato che l’idea secondo la quale non esistono verità o valori, né gerarchie di valori capaci di consentire una scelta, è un’idea concettualmente insostenibile, perché incapace di garantire la convivenza. O, piuttosto, è un’idea ipocrita e intollerante, perché vuole mascherare come “tecniche” o “neutrali” scelte imposte dall’alto. Abbiamo spiegato che il "multiculturalismo" che non dialoga diviene separatismo (il contrario del pluralismo).

    La correttezza politica è principalmente l’arma utilizzata dalle lobbies che rappresentano “minoranze” (o sedicenti tali): gruppi etnici, sette religiose, femministe, gay (la cui lobby non va confusa con tutti gli omosessuali). “Minoranze” compatte e capaci di grande mobilitazione (certo più di bambini, disabili, anziani, malati, …), le quali hanno iniziato ad organizzarsi da qualche decennio soprattutto nei campus universitarî degli Stati Uniti.
    Queste organizzazioni partono da una cultura del piagnisteo (come recita il titolo di un libro di Robert Hughes), che attribuisce ogni frustrazione delle persone a presunti traumi inflitti dalla società; una cultura che collega ogni insuccesso del singolo alle discriminazioni subite in quanto membro di una “minoranza”. Ogni “minoranza”, quindi, ha preteso e pretende rendite di posizione e privilegi che colmino gli insuccessi dei propri membri; e ha imposto codici di comportamento paranoici, che poi si cerca di esportare nel mondo della comunicazione, dello spettacolo, infine della politica: chi non si adatta è emarginato da tali circuiti.
    Se non bastasse, viene insistentemente richiesta anche l'introduzione di veri e proprî reati d'opinione.


    Qualche esempio?
    Esprimere giudizi negativi sulle tendenze omosessuali è ritenuto sconveniente, discriminatorio e – addirittura - espressione di “omofobia”, cioè di una presunta malattia. Chi contesta certe pretese dei gay (come quelle di imporre regole contro la famiglia tipiche di uno Stato etico) va… recluso e curato!

    Esprimere censure per un comportamento di una persona appartenente ad un gruppo etnico, diviene immediatamente l’occasione per l’accusa di “razzismo” nei confronti di quel gruppo. (Tralasciamo di sottolineare che questi tipi di moralismo, quando si scagliano contro qualcuno, sono spesso la scorciatoia per fargli professionalmente o politicamente le scarpe.)

    Utilizzare termini che hanno “connotazione religiosa” può risultare offensivo per altre fedi: meglio “Buone Feste”, anziché “Buon Natale” (vedi la parodia degli auguri politicamente corretti); per le date, meglio “prima dell’era volgare” (ma che significa?), anziché “avanti Cristo”.
    Niente simboli religiosi evidenti (croci, presepi), anche se appartengono alla cultura locale. La Croce Rossa Internazionale ha pensato bene di affiancare prima al suo simbolo quello della mezzaluna rossa (associazione con cui si è federata); ed ora di elaborare un... rombo ("cristallo") rosso (!), che si prepara a sotituire i suoi vecchi simboli.

    Una delle motivazioni del rifiuto del confronto sta nel ripudio della qualità. Ripudio che diviene addirittura esiziale in campi come la professione, l'arte, la scienza.
    Il politicamente corretto in salsa italian-sindacalese promuove la condizione dei lavoratori... cambiando loro nome: per cui abbiamo personale "non docente" o "paramedico" (sappiamo solo quello che non fanno...); similmente, abbiamo un'inflazione di "operatori" (ecologici, sanitari, d'esercizio, penitenziari), tutti possibilmente "professionali", "esperti" e in "posizione apicale", che non si capisce bene quale mestiere esercitino e se si sentono più gratificati solo per il 'suono' delle loro qualifiche.

    Anche l’arte diviene soggetta al giudizio “politicamente corretto”. Per cui si può chiedere la rimozione di una copia della Maya desnuda di Goya, perché antifemminista (come è successo alcuni anni fa nell’Università della Pennsylvania). O si può imporre lo studio, al posto di Shakespeare (“inattuale” perché “maschio, europeo, bianco e morto”), di sconosciuti e insulsi autori di culture primitive, antesignani di qualche attuale minoranza. O, ancora, si possono spacciare per arte le opere pornografiche: le seriose recensioni che se ne fanno sono davvero spassose. I classici? Espressione di una logica "prevaricatoria".
    Dal momento che sulle opere d’arte non si possono formulare giudizî, il governo olandese (gli olandesi sono i più veloci a importare il “multiculturalismo”) ha istituito un fondo per l’acquisto di tutte le opere d’arte prodotte in Olanda, senza nessuna limitazione: negli anni si è accumulata una montagna di porcherie, che nessuno vuole neanche in regalo, e che costa un patrimonio all’erario solo per le spese di stoccaggio, climatizzazione e manutenzione.

    Le istituzioni scientifiche e culturali non sono più al servizio degli studenti e della società (che ha bisogno di cittadini e lavoratori capaci), ma al servizio degli interessi e delle megalomanie di docenti e operatori del settore. Secondo Gerald Graff, professore di inglese e pedagogia a Chicago, “…i criterî angusti della dimostrazione, della documentazione, della coerenza logica e chiarezza espositiva, devono cedere il campo”.
    Un’altra – forse la peggiore - delle aberrazioni create dalla “correttezza politica” è la politica delle “quote”. Ciò significa che nei concorsi, nelle assunzioni, nelle ammissioni alle Università, non debbono essere fatte selezioni in base al merito della persona, ma si deve rispettare una proporzione tra etnie, gruppi sociali, categorie presenti in quella regione (o nazione), sovrarappresentando a volte le categorie meno numerose. Negli Stati Uniti, per dire: 4 bianchi, 2 afroamericani, 2 ispanici, 1 asiatico, mezzo “nativo-americano” e… ? Nei Paesi scandinavi: 50% uomini, 50% donne.

    Questa politica si basa sulla pretesa che l’impreparazione degli appartenenti ad alcune categorie deriverebbe da condizioni di svantaggio della categoria stessa. “Aiutiamo la categoria a superare queste condizioni di svantaggio, offriamo più servizî, formazione, borse di studio”, proporrebbe ingenuamente qualche persona di buon senso.
    E invece no. Il rispetto delle “quote” richiede che siano ammesse agli studi a numero chiuso – o assunte in lavori qualificati - anche persone che non possiedono i requisiti, mentre restano fuori persone meritevoli. Il che non solo comporta una discriminazione reale verso queste ultime (mentre è solo presunta quella verso gli altri gruppi sociali); ma comporta anche un indebolimento della qualità dei laureati, dei lavoratori, della società tutta.

    Il paradosso, poi, è che le discriminazioni non vengono subìte dai “maschi bianchi benestanti”. Nei test d’ammissione delle università americane dove sono state applicate le quote, il gruppo etnico più penalizzato è stato quello degli asiatici: giovani normalmente provenienti da famiglie che li hanno educati ad applicarsi e a sgobbare.

    (Anche in Italia abbiamo una politica delle quote, a favore di una minoranza linguistica. Una politica applicata però solo in una zona, l’Alto Adige, dove la minoranza è maggioranza; e non per colmare presunti svantaggi, ma per compensare con una serie di benefici economici il deficit di sentimento nazionale di quei cittadini. Pertanto: 73% cittadini di lingua tedesca, 22,5% di lingua italiana, 4,5% Ladini, Sloveni, ecc.; con la conseguenza che se ci sono un posto di lavoro o una casa liberi in quota tedesca, e nessun italo-tedesco li vuole occupare… i posti restano liberi, e i cittadini di lingua italiana o ladina disoccupati o senza casa si arrangiano!)

    L’ultima frontiera delle quote è quella relativa all’accesso in politica, di cui si parla anche in Italia, per proporre percentuali minime di donne elette (solo di donne?). Certo, un maggior numero di donne sarebbe probabilmente utile al Parlamento e ad altri organi istituzionali. Ma metterci chiunque, purché donna, rappresenta davvero la soluzione? La qualità dell’organo migliorerebbe o peggiorerebbe? I diritti democratici e politici dei cittadini a scegliere liberamente i loro rappresentanti, che fine farebbero? E’ possibile che non si ragioni sul fatto che la bassa percentuale di parlamentari elette corrisponde (anzi, è addirittura superiore) alla bassissima percentuale di donne che sono attivamente impegnate in politica?
    I nuovi criterî sostenuti dalla “correttezza politica” ripudiano la qualità, il merito, l’impegno, la responsabilità, i diritti della persona, la metafisica e la logica, l’arte e la cultura tradizionali… ripudiano, insomma, la società occidentale, ed esaltano acriticamente tutto ciò che le si contrappone.

    Cosicché si propone la teoria secondo la quale ogni religione ha il diritto esclusivo di pronunciarsi sulla propria fede (e su questo gli islamici sono molto sensibili, come dimostrano il caso Rushdie o le reazioni ad un discorso di Papa Benedetto XVI).
    Si sostiene che ogni etnia ha il diritto esclusivo di riscrivere la propria storia, anche basandosi su fonti “alternative” o “non autorevoli” (cioè leggende e dicerie). Per cui le società precolombiane erano paradisi felici spazzati via dai conquistadores (e non imperi feroci dove si alternavano continue guerre sterminatrici e si praticava in massa il sacrificio umano). Secondo alcuni afroamericani, poi, tutta la cultura mondiale deriva da quella egizia, di cui si considerano gli eredi: gli egizi erano di pelle nera e avevano tratti somatici simili a quelli dei centroafricani (tant’è che la mutilazione della Sfinge sarebbe stata procurata intenzionalmente dai soldati di Napoleone per nascondere questa somiglianza); gli egizi volavano con alianti, fondevano l’acciaio, non avevano schiavi (capito, Mosé?) e costruivano le piramidi per telecinesi…Tesi che, si badi bene, circolano in ambienti scolastici e universitarî!

    Naturalmente, se i valori della tradizione occidentale sono da rigettare perché oppressivi, l’unica forma di critica e di offesa che il “politicamente corretto” ammette è proprio quella contro questi valori.

    L’unica religione contro cui ci si può scagliare è quella cristiana, in particolare cattolica: l’anti-cattolicesimo è “l’ultimo pregiudizio accettabile” (è il titolo di un libro di Philip Jenkins: The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice, Oxford University Press, New York 2003). Ci si mobilita per le specie animali in via d'estinzione, ma non per i cristiani perseguitati nelle guerre dimenticate. Il famigerato fotoritratto Crocefisso immerso nella piscia, di Andrés Serrano, fu accompagnato da critiche entusiaste e ricevette un premio (con fondi pubblici) di 15.000 dollari. Si vuole impedire al Papa di parlare, si pubblicano libelli di infimo livello in cui i cristiani sono definiti “cretini, si lanciano persino campagne pubblicitarie contro la fede.
    Non si sa, insomma, se il danno maggiore lo fanno le correnti del “politicamente corretto” più aggressive contro i valori occidentali.
    Oppure quelle più moderate, che tutto vogliono affogare nella melassa dell’equivalenza: esponiamo nei luoghi pubblici una croce, una mezzaluna, una menorah, una statua del Buddha, misceliamo bene e… buona digestione a tutti!


    http://www.europaoggi.it/content/view/504/0/
     
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  2. Sandokan1317
     
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    Ottimo articolo!
     
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  3. tonireve
     
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    Tanto per dare un' idea del livello di delirio cui si è arrivati, sappiate che hanno "corretto politicamente" pure le vecchie storie di Paperino e Topolino.
    Me ne sono accorto perché da piccolo ne ero un accanito lettore e ne ricordo ancora molto bene le storie e le battute.
    Recentemente mi sono capitati in mano alcuni volumetti dei classici (le vecchie storie degli anni 60 e 70) comprati utimamente dai miei nipoti e me ne sono accorto subito.
    Hanno modificato tutte le frasi che potevano sembrare "politicamente scorrette", potete accorgervene dal fatto che le frasi modificate hanno una grafia leggermente diversa.
     
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  4. TullioConforti
     
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    Arrivo a dire che il politicamente corretto persegue una melassa egualitaria, in cui possibilmente ogni piccola distinguibilita in base al genere, aspirazioni personali, desideri, modi di vita, venga stigmatizzata.

    Ma cio e´ molto simile all´indistinguibilita nell´oblio della pace dei sensi che contraddistingue la morte.

    Il politicamente corretto odia la vita ed esalta la neutralita´ della morte.

    Io non so se esiste il demonio, ma se esistesse, e´ esattamente cio´ che si auspicherebbe di veder trionfare.


     
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3 replies since 7/3/2009, 19:04   170 views
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