Wikipedia in mano alle fascio-femministe

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  1. Milo Riano
     
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    Qualche spunto dal blog neutralisimo denominato "femminismo a sud" (il nome è lì per caso, eh?!):

    Un machissimo-pluralissimo dice (dopo infinite corbellerie circa i suoi dati, che sono quelli bbuoni e autorevolissimi, mentre quelli degli altri sono brutti-cattivi-maschilissimi):

    CITAZIONE
    Abbiamo perso la televisione, non possiamo perdere anche altro terreno...

    Cose da pazzi! Sono incredulo! Ai confini della realtà! :lol:

    pukkiakka-solitaria (tal fikasikula con la cappa), fa un' osservazione sorprendente:

    CITAZIONE
    anzi adesso arrivano con interventi articolati e alla lunga filtriamo pure quelli perchè ci siamo stufate di veicolare messaggi in italiano dotto che dicono sostanzialmente la stessa cosa.

    Chi è quel cattivone dei nostri che ha parlato troppo difficile per la minimo-cerebro-dotata-femministella? :angry:

    In pratica state censurando, da brave fascistelle quali siete, tutte le ricerche scientifiche serie che contraddicono le vostre (quelle che vi fate fare dal Ministero per le "pari" opportunità: novello MinCulPop).

    Ma non era il Berlusca quello dei metodi fascisti?

    Parliamo di Straus? E' autorevolissimissimo, fidati. Un professorone.

    ps: ma quanto è fascista la proposta di chiudere una pagina avversa da parte di una militante fascio-femminista? Dimmi, quanto lo è?

    Infine c'è il mitico ennesimo servo del potere figocentrico:

    CITAZIONE
    Sono un'admin di wikipedia... La voce "Antifemminismo"... verrà cancellata... la pagina non sarà più on line dal 19 febbraio

    Wikipedia in mano alle fascio-femministe... eia eia alalà...

    Ma senti un po', quanto è neutrale la voce femminismo? Complimenti anche a voi.

    Boicottiamo Wikipedia, tanto per quello che vale... però togliete enciclopedia "libera", grazie. Per onestà intellettuale, almeno.
     
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  2. silverback
     
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    Un rapido sguardo ai dati istat sulle cause di morte delle donne nell'anno 2002:

    Malattie infettive e parassitarie 2.147
    Tumori 69.672
    Disturbi psichici e malattie sist.nervoso org. Sensi 14.765
    Malattie del sistema circolatorio 131.472
    Malattie dell'apparato respiratorio 15.324
    Malattie dell'apparato digerente 12.234
    Altri stati morbosi 21.173
    Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti 3.640
    Cause esterne dei traumatismi e avvelenamenti 10.667

    All'interno delle cause esterne troviamo

    Accidenti ferroviari 21
    Accidenti stradali da veicoli a motore 1.540
    Accidenti non stradali da veicoli a motore 0
    Accidenti da altri veicoli stradali 2
    Accidenti da trasporto per acqua 2
    Accidenti da trasporto aereo e spaziale 4
    Accidenti da veicoli non classificabili altrove 5
    Avvelenamenti acc. Da farmaci. Medicamenti e prod. biol. 85
    Avv. Acc. Da altre sostanze solide, liquide, gas e vapori 54
    Danni ai pazienti durante cure mediche e chirurgiche 2
    Interv. Med. e chir. causa di reaz. anom. senza menz. di inc. 154
    Cadute accidentali 6.517
    Accidenti causati da incendio o da fuoco 131
    Accidenti da fattori naturali e ambientali 30
    Accidenti da sommersione, soffocazione e corpi estranei 205
    Altri accidenti 286
    Postumi di lesioni accidentali 265
    Effetti nocivi da farmaci, medic. e pr. biolog. somm. in terap. 3
    Suicidio e autolesione 924
    Omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri 159
    Interventi della forza pubblica 0
    Lesioni non specificate se acc. o provocate intenzionalm. 278
    Lesioni di guerra 0

    Questi sono i valori assoluti per tutte le età. Si potrebbe obiettare che nello slogan femminista venisse ristretta la fascia d'età. Tale fascia variava a seconda delle associazioni o organismi governativi.

    Vediamo allora la fascia di età tra i 15 e i 49 riguardante solo le cause esterne

    Accidenti stradali da veicoli a motore 732
    Suicidio e autolesione 338
    Omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri 85
    Lesioni non specificate se acc. o provocate intenzionalm. 53
    Accidenti da sommersione, soffocazione e corpi estranei 49
    Altri accidenti 49
    Cadute accidentali 47


    ------------------------

    Signore mie, questi sono dati di fatto, non tesi "fascio-maschiliste".
    Vi faccio altresì notare che il sottoscritto - al pari di qualcun altro - ha origini sinistre ed è apartitico.
     
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  3. Milo Riano
     
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    Già, la balla della violenza "prima causa di morte"... un uso criminoso dei dati.

    CITAZIONE
    Vi faccio altresì notare che il sottoscritto - al pari di qualcun altro - ha origini sinistre ed è apartitico.

    Mi dovranno cadere le mani la prossima volta che penserò di dare il mio voto alla sinistra.
    Preferisco astenermi dal voto, piuttosto, e perdere un diritto.
     
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  4. silverback
     
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    CITAZIONE (Milo Riano @ 17/2/2009, 20:16)
    Mi dovranno cadere le mani la prossima volta che penserò di dare il mio voto alla sinistra.
    Preferisco astenermi dal voto, piuttosto, e perdere un diritto.

    Io non voto più da molti anni.
    Per me la sinistra è morta parecchio tempo fa.
     
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  5. nicolekidmanvogliosposarti
     
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    in un paese in cui abbiamo da una parte dei femministi incalliti,dall'altra dei sessuofobici che hanno o paura del sesso o ci vogliono impedire di farlo per prendersi tutti loro le m......e oramai mi aspetto questo e altro.

    sessuofobici che vogliono castrare i maschi da una parte,femministe dall'altra ed ecco che wikipedia è lo specchio della classe politica(di destra e di sinistra) di questo paese. esattamente appropriata la definizione di fascio-femministe.

    andare a votare non serve a nulla.almeno per me

    Edited by nicolekidmanvogliosposarti - 17/2/2009, 20:27
     
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  6. Milo Riano
     
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    CITAZIONE
    La violenza è maschile. Non tutti gli uomini sono stupratori ma gli stupratori sono sempre uomini.

    E quindi?

    Non tutti i siciliani sono mafiosi ma tutti i mafiosi sono siciliani.

    Chiedo una legge speciale non per la mafia ma per i siciliani: gli unici in Italia che dovranno dimostrare la propria innocenza. Inversione dell' onere della prova. Razzismo.
     
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  7. silverback
     
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    CITAZIONE
    Di siti antifemministi abbiamo già parlato. In ciascuno di essi si dice sostanzialmente la stessa cosa. Le donne mentono. Lo stupro non esiste.

    Quando mai, su questo Forum, qualcuno ha sostenuto che "lo stupro non esiste" ?

    http://questionemaschile.forumfree.net/?t=36294073&st=15
    Silverback 27/1/2009, 12:21

    CITAZIONE
    Alcune precisazioni:
    1- L'accoppiamento coatto (o stupro) è molto diffuso fra le specie nel mondo animale, il che fa pensare che la selezione non lo abbia rigettato, ma a volte favorito. Lo si trova in numerose specie di insetti, uccelli e mammiferi, fra cui nei nostri parenti oranghi, gorilla e scimpanzé.

    2- La violenza carnale è presente in tutte le società umane.

    3- Le vittime di violenza carnale sono perlopiù negli anni di massima riproduttività per le donne, fra i tredici e i trentacinque, con una media che, nella maggior parte delle raccolte di dati, si situa a ventiquattro anni.

    4- I violentatori non sono rappresentativi, dal punto di vista demografico, del sesso maschile. Sono nella stragrande maggioranza giovani, fra i quali la competitività sessuale raggiunge la massima intensità. E, benché si presuma che siano "socialmente condizionati" a violentare, si liberano misteriosamente da questo condizionamento invecchiando.

    5- Numerosi studi dimostrano che circa il 5% delle violenze carnali ai danni di femmine in età riproduttiva sfociano in una gravidanza. Per esempio, negli Stati Uniti le donne incinte in seguito a uno stupro sono ogni anno oltre 32.000.

    La percentuale doveva essere ancora più alta nella preistoria, quando le femmine non usavano (ovviamente) metodi anticoncezionali a lungo termine. La Brownmiller ha scritto che le teorie biologiche dello stupro sono fantasiose perché "in termini di strategia riproduttiva l'eiaculazione singola e d'incerto successo del violentatore è una sorta di roulette russa a confronto del periodico accoppiamento consensuale". Ma il periodico accoppiamento consensuale non è alla portata di tutti i maschi e, come sostengono alcuni esperti in materia, predisposizioni a rapporti sessuali d'incerto successo potrebbero essere, dal punto di vista evoluzionistico, più efficaci di predisposizioni che rischiassero di portare a un'assenza di rapporti sessuali. Sempre secondo questi studiosi, la selezione naturale può operare efficacemente con piccoli vantaggi riproduttivi, piccoli fino all'1%.


    Riguardo all'interrogativo più importante, cioè se fra le motivazioni del violentatore vi sia il desiderio sessuale, le femministe che lo negano richiamano l'attenzione sugli stupratori che prendono di mira donne anziane e infeconde, su quelli che soffrono di disfunzione sessuale durante lo stupro, su quelli che costringono la donna ad atti sessuali non riproduttivi e su quelli che usano il preservativo. Sono argomentazioni non convincenti per due ragioni.
    Primo, questi esempi riguardano una minoranza di stupri, quindi si potrebbe rovesciare l'argomento dimostrando che la maggior parte di essi ha motivazioni sessuali. Inoltre, casi del genere si presentano anche nei rapporti sessuali consensuali, quindi quell'argomentazione porta all'assurdità per cui la sessualità in sé non avrebbe nulla a che fare con la sessualità. Infine, un caso particolarmente problematico per la teoria femminista "non è sesso" è quello della violenza carnale durante un appuntamento amoroso. La stragrande maggioranza delle persone concorda nel pensare che una donna ha diritto di dire no in qualunque momento di un incontro sessuale e che, se l'uomo insiste, è un violentatore. Ma dobbiamo anche credere che la sua motivazione sia cambiata di punto in bianco, passando dal desiderio di un rapporto sessuale al desiderio di opprimere la donna? In realtà, che le motivazioni che spingono alcuni uomini allo stupro coincidano con quelle sessuali è confermato da una impressionante quantità di prove. La ricerca scientifica sulla violenza carnale e il suo rapporto con la natura umana è venuta alla ribalta nel 2000 con la pubblicazione di A Natural History of Rape, di Thornill e Palmer, i quali partivano da un'osservazione base: uno stupro può portare a un concepimento che propagherà i geni dello stupratore, inclusi gli eventuali geni che hanno reso più probabile che divenisse uno stupratore. Quindi la selezione potrebbe non avere operato contro, ma a favore di una psicologia maschile comprendente la capacità di stuprare. Tuttavia, considerati i rischi della lotta con la vittima, della punizione per mano dei suoi parenti e dell'ostracismo da parte della comunità, è improbabile, aggiungevano Thornill e Palmer, che la violenza carnale sia una strategia d'accoppiamento tipica.
    Ma essa potrebbe essere una tattica opportunistica, che diventa più probabile quando l'uomo non riesce ad ottenere il consenso della donna, è emarginato da una comunità (e quindi l'ostracismo non è per lui un deterrente), ed è sicuro di non venire scoperto e punito (come in guerra o in un pogrom).
    A questo punto Thornill e Palmer avanzavano due teorie. Lo stupro opportunistico potrebbe essere un adattamento darwiniano specificamente favorito dalla selezione, come in certi insetti dotati di un'appendice che non ha altra funzione che quella di trattenere la femmina durante l'accoppiamento forzato. Oppure potrebbe essere un effetto collaterale di altre due caratteristiche della mente maschile, cioè il desiderio di rapporti sessuali e la capacità di ricorrere a una violenza opportunistica per raggiungere un obiettivo. I due autori dissentivano su quale ipotesi fosse più avallata dai dati e hanno lasciato la questione irrisolta.
    Ora, nessun lettore onesto può concludere, da tutto ciò, che Thornill e Palmer giudichino la violenza carnale naturale nel senso popolare del termine, cioè benvenuta o inevitabile. L'incipit del loro libro è:
    "Da scienziati che vorrebbero vedere lo stupro sradicato dalla vita umana...".
    Tuttavia, nonostante l'analisi dei due studiosi fosse congeniale agli interessi delle donne, Thornill e Palmer avevano infranto un tabù e la reazione fu la solita: manifestazioni, conferenze disturbate, invettive da far rizzare i capelli in testa.
    Negli USA la ricerca fu apostrofata come "l'ultima nauseabonda teoria scientifica" e per denunciarla gli scienziati radical applicarono i loro usuali standard di correttezza. Parlando dell'esposizione che ne aveva fatta un altro biologo, Hilary Rose scrisse:
    << L'appello del sociobiologo David Barash in difesa delle sue tesi misogine secondo cui gli uomini sono predisposti per natura alla violenza carnale - "Se la Natura è sessista, non prendertela con i suoi figli" - non può più pretendere alla vecchia deferenza verso la scienza come regno dell'oggettività. >>
    Barash, naturalmente, non aveva detto niente di simile; aveva parlato dei violentatori come di criminali da punire.
    Margaret Wertheim, autrice di testi di argomento scientifico, iniziò la sua recensione del libro di Thornill e Palmer richiamando l'attenzione su una recente esplosione di violenze carnali in Sudafrica. Contrapponendo la teoria secondo cui lo stupro è "un effetto collaterale del condizionamento e del caos sociali" a quella che ne individua le origini nei geni e nell'evoluzione, scrisse sarcasticamente che, se fosse vera la seconda, "il Sudafrica dev'essere un terreno fertile per simili geni". Due infamie al prezzo di una: la frase schiera Thornill e Palmer sul fronte semplicistico di una falsa dicotomia (in realtà essi dedicano molte pagine alle condizioni sociali che danno alimento alla violenza carnale) e, per di più, insinua sottilmente che la loro teoria è razzista. Lo psicologo Geoffrey Miller, nella sua recensione insieme positiva e negativa del libro, ha diagnosticato la reazione popolare:
    "A Natural History of Rape ha già subìto il peggiore destino possibile per un libro di divulgazione scientifica. Come L'origine dell'uomo e The Bell Curve, è diventato una cartina tornasole ideologica. Chi vuole dimostrare la propria vicinanza alle vittime di violenza carnale e alle donne in generale ha ormai imparato che deve liquidarlo come un esempio di pseudoscienza sessista e reazionario. I pezzi giornalistici che ne parlano come di un sintomo di decadenza culturale e di sciovinismo superano di gran lunga le recensioni che lo valutano in quanto opera scientifica. Dal punto di vista sociologico, trasformare i libri in cartine di tornasole ideologiche può essere utile. E' un modo efficace per entrare a far parte di congreghe di persone che la pensano allo stesso modo senza darsi il disturbo di leggere o di pensare. Ma il dialogo fra gli uomini potrebbe essere qualcosa di più di un farsi pubblicità ideologica".

    Purtroppo, gli stessi Thornill e Palmer istituiscono una dicotomia fra la teoria che vede nello stupro un adattamento (una strategia sessuale specificamente favorita dalla selezione) e quella che vi vede un effetto collaterale (del ricorso alla violenza in generale), cosa che ha distolto l'attenzione dalla tesi più fondamentale secondo cui lo stupro ha qualcosa a che vedere con la sessualità. Secondo altri studiosi americani la loro dicotomia è troppo netta. A loro parere è possibile che la sessualità maschile sia evoluta in un mondo in cui le femmine discriminavano più dei maschi quanto a partner e circostanze in cui avere rapporti sessuali, il che avrebbe indotto gli uomini a vedere nella resistenza femminile un ostacolo da superare.
    (Un altro modo di mettere le cose potrebbe consistere nell'immaginare una specie in cui l'interesse sessuale del maschio si accende solo in presenza di segni di analogo interesse nella femmina, ma non sembra proprio che gli esseri umani siano una specie del genere.)
    Come la resistenza della femmina viene superata dipende dagli altri aspetti della psicologia dell'uomo e da come egli valuta le circostanze. Fra le tattiche più usate può esserci la gentilezza, persuadere la donna delle proprie buone intenzioni, offrirle la proverbiale bottiglia di vino, ma è anche possibile un crescente ricorso alla coercizione con il moltiplicarsi di certi fattori di rischio: quando l'uomo è uno psicopatico (quindi insensibile alle sofferenze altrui), un emarginato (quindi insensibile all'ostracismo), un perdente (che non ha altro modo di avere rapporti sessuali) o un soldato o un rivoltoso che, in una sollevazione etnica, considera il nemico un essere subumano e, inoltre, pensa che la passerà liscia. E' indubbio che, in circostanze normali, la quasi totalità degli uomini non prova alcun desiderio di stuprare. Secondo alcune ricerche al riguardo, la violenza carnale è rara nella pornografia e nelle fantasie sessuali; e secondo studi di laboratorio sull'eccitazione sessuale maschile le immagini di violenze effettivamente perpetrate contro una donna e i segni della sua sofferenza e umiliazione la spengono.

    Casomai, Rino Della Vecchia fa notare quanto segue:
    CITAZIONE
    Nel febbraio del 1999 una sentenza della Corte di Cassazione in un processo per stupro suscitò un tale scandalo da riempire per settimane le pagine dei quotidiani, i telegiornali, i talk show e da superare i confini del Paese diventando nota in tutto il mondo. Con la campagna che ne derivò l'Italia si fece conoscere come il paese nel quale "Una donna in jeans può essere stuprata" ed i maschi italiani come un branco di cabrones che hanno libertà di stupro. Il Sig. P., un istruttore di scuola guida, si era appartato in luogo non del tutto isolato ed aveva avuto un rapporto con l'allieva che non si era tolta completamente i jeans che indossava. La donna aveva poi elevato nei suoi confronti accusa di stupro. La condanna subita in Appello veniva ora cassata dalla Corte sulla base della considerazione che il denudamento parziale della donna, in sé e per sé e date le circostanze, faceva dubitare che fosse stata forzata anche considerando che è quasi impossibile sfilare ad una persona quel tipo di indumento senza la sua attiva collaborazione dal momento che l'operazione è già impegnativa per chi lo indossa. Quanto al movente della denuncia, la Corte rilevò che la donna aveva interesse ad alterare la versione dei fatti, quello di giustificare il rapporto intrattenuto con un uomo sposato nella preoccupazione per le sue possibili conseguenze, risultando poi senza spiegazione il fatto che, dopo l'ipotizzata violenza, la donna si fosse posta tranquillamente alla guida dell'auto. Con queste motivazioni la sentenza fu rimessa alla Corte d'Appello che nel settembre successivo condannava l'imputato. Da queste argomentazioni l'intero Paese ricavò il seguente principio: la magistratura afferma che una donna in jeans non può essere costretta al rapporto e che quindi, simmetricamente, se li indossa, la si può stuprare. "Jeans alibi per lo stupro" recitavano l'indomani i cartelli esposti da alcune deputate capitanate da Alessandra Mussolini che con l'occasione sdoganò definitivamente a Destra il femminismo. Senza occuparci di stabilire se quell'uomo fosse davvero innocente, ma semplicemente se lo potesse essere, seguiamo la rete dei presupposti e delle conseguenze di quello straordinario evento cui abbiamo assistito stupefatti ed increduli.
    Un primo motivo di incredulità nasce dal fatto che, apparentemente, quei giudici devono aver finto di non sapere quel che ognuno di noi sa e cioè che ogni donna può essere violata a prescindere non solo dagli indumenti che indossa ma da qualsiasi altra condizione, stato o situazione in cui si trovi.
    In verità ciò vale anche per gli uomini, anche un maschio infatti può essere violato, comunque sia vestito, è impossibile che i giudici non lo sappiano.
    A maggior ragione restiamo increduli quando pensiamo che quella sentenza proviene da una magistratura non priva di ombre maschiliste, evidentemente, ma pur sempre capace di giudicare condannabile a sette anni un uomo che abbia tentato di baciare una collega, quella magistratura che già ha assimilato le "insistenti richieste" del marito a tentata violenza carnale ed ai maltrattamenti in famiglia. Quella magistratura che condanna per oltraggio l'uomo che getta a terra le camice stirate e che ha da poco iniziato a condannare i maschi che alzano la voce dentro casa e quelli che non fanno le coccole alla moglie incinta. Quella magistratura che assegna i figli alle madri nove volte su dieci e che non se la sente di condannare la madre infanticida in quanto in quel momento "incapace di intendere e di volere", condizione psicologica che l'omicidio stesso comprova. E' la stessa magistratura che condanna a quattordici anni per omicidio un marito che ha contagiato la moglie di Aids ma si guarda dal procedere contro la prostituta che ne contagia centinaia. Come è possibile che questa magistratura, le cui sentenze contro i maschi imputati sono tenute sotto il controllo capillare dalla vigile attenzione dei Comitati Pari Opportunità, dai Movimenti Femministi e da tutte le donne informate, si sia spinta a sentenziare che una donna in jeans non possa essere violata è cosa che lascia stupefatti.
    Ma ciò che indignò fu l'assoluzione. Dalla sentenza della Cassazione si poteva intravedere la quasi sicura assoluzione dell'imputato, ma poteva egli essere innocente? Capitali sono qui due convinzioni comuni. La prima si riferisce al fatto che, pur non conoscendone le proporzioni, si sa che solo una parte degli stupri viene denunciata, e che perciò, laddove e quando denuncia vi sia, il fatto è sicuramente accaduto. La seconda si fonda sulla considerazione che la donna non può avere alcun interesse a raccontare una cosa per un'altra, a mentire rovinando un uomo. Queste due verità contenute nella GNF sono diventate certezza universale sulla cui base la conclusione è inevitabile: non sarebbe stato denunciato se non fosse stato colpevole. Ora, nessuno di noi può tollerare che un colpevole sia assolto, meno che mai per simili delitti, oltraggio alle donne e vergogna per gli uomini. Per questo esplose l'indignazione, perché era stata dichiarata un'innocenza inesistente mentre tutti sapevano che egli era colpevole. Questa presunzione di colpevolezza è la ragione per la quale vennero ascoltati con fastidio coloro (rarissimi) che con i "se" ed i "ma" e con una stucchevole analisi dei dettagli tendevano a difendere il "colpevole" come se avesse potuto essere innocente mentre non poteva esserlo e da questa certezza nacque l'universale indignazione. Se si fosse ammesso che egli poteva essere innocente tutto l'atteggiamento di fronte alla sentenza sarebbe cambiato e non vi sarebbe stato alcuno sdegno. In questa seconda ipotesi ogni dettaglio sarebbe diventato importante, in questo processo come in ogni altro, dove anche il più piccolo particolare può essere decisivo in quanto confermi o smentisca l'accusa. Anche in processi per delitti più gravi, quali l'omicidio o la strage, un dettaglio è decisivo, è così sempre e nessuno se ne stupisce. Un processo è un confronto ed una scelta tra due opposte versioni e come soppesarle se non attraverso la ricerca di fatti, eventi, cose, elementi che confermino l'una a danno dell'altra?
    Presumere che l'uomo sia innocente significherebbe però assumere che la donna sia colpevole di calunnia e questo coincide con quel procedimento sempre denunciato che consiste nel "blaming the victim", nell'accusare e colpevolizzare la vittima anziché il colpevole, la violentata anziché il suo violentatore. Così, con l'assegnare alla donna il titolo di vittima prima del processo si condanna l'imputato prima della sentenza come se già si sapesse che stupro vi fu e questa è appunto l'indicibile verità dalla quale si parte: la donna diventa vittima (violentata) elevando l'accusa e perciò nello stesso istante l'accusato diventa colpevole. Su queste basi, come potrebbe mai esistere una falsa accusa di stupro? Ci si chiede poi per quale motivo una donna dovrebbe accusare falsamente un uomo di un simile crimine e non si sa come rispondere, giacché la ragione più semplice, il fatto che anche le donne sono cattive, è tabù.
    "Perché mai una donna dovrebbe denunciare falsamente un uomo?" si chiedeva un commentatore di "Repubblica" in quei caldi giorni del febbraio 1999, apparentemente non senza ragione. Denunciando lo stupro infatti la donna va incontro, se non al disonore come una volta, almeno alla commiserazione, un atto autolesionista insomma. L'unica spiegazione sensata consisterebbe nella volontà femminile di nuocere gratuitamente, una volontà così potente da passar sopra persino agli svantaggi cui essa stessa va incontro, prospettiva inconcepibile che perciò costituisce una buona ragione per presumere l'accusa fondata ed il maschio colpevole. Questa presunzione è inespressa perché indicibile ed è indicibile perché la conseguenza inevitabile è che i processi per stupro diventano un puro formalismo con il quale si finge di giudicare colui che di fatto è sicuramente colpevole, il che equivale a dire che non possono esistere false accuse di stupro e che ad ogni accusa deve seguire una condanna.
    Quei giudici invece, ingenui e fuori tempo, partirono dall'antico presupposto che l'imputato potesse essere innocente e giudicarono quel caso particolare in quel contesto particolare alla luce del quale quei dettagli potevano avere rilievo. Se si ammette che possa esistere una falsa accusa, ogni sentenza (si tratti di maltrattamento, molestie o stupro) si baserà necessariamente su alcuni elementi che saranno cose, azioni, parole o altro, a riprova che nel racconto della donna vi sono contraddizioni, incongruenze, inverosomiglianze.
    Quale che sia, sempre vi sarà almeno un elemento che verrà assunto come prova dell'inconsistenza della tesi accusatoria, ma, si tratti dell'ora, del luogo, dell'abbigliamento, delle condizioni meteo, o di quel che si vuole, chi può dar peso ai dettagli nel caso di processi per stupro? Assolto sulla base di un particolare quello stesso potrà diventare oggetto di un nuovo slogan:"Occhiali, alibi per lo stupro", "Pioggia, alibi per lo stupro", "Mezzogiorno, alibi per lo stupro" e poiché è chiaro che non esistono alibi per lo stupro non possono esistere dettagli, particolari o prove di innocenza di nessun tipo.
    La sentenza scandalizzò perché si sapeva già che l'uomo era colpevole e da questa pre-conoscenza deriva inevitabilmente che ad ogni accusa deve seguire una condanna trasformando così i processi per stupro in una maschera, una finzione destinata a salvare le apparenze, verità tremenda che nessuno vuole vedere nel mondo in cui vive. Siamo tutti liberali, ora, e vogliamo che sia l'accusa a provare la colpevolezza e non l'accusato a provare la sua innocenza, persino in questi casi.
    Se però i giudici ed i collegi giudicanti fossero composti in maggioranza da donne una sentenza di assoluzione non scandalizzerebbe nessuno, se sono le donne a giudicare gli uomini allora esse possono assolverli senza che vi sia ragione di sospettare alcuna autoassoluzione del genere maschile.
    Questa ipotesi sembra così ragionevole che alcuni mascolinisti auspicano la femminilizzazione totale della magistratura in modo tale che, trovandosi un giudice donna, un accusato abbia qualche probabilità di essere assolto. Essi sono confortati in questa opinione dai dati sugli affidamenti dei figli da cui risulta che le donne giudici sono (un po') più inclini ad affidare i figli ai padri di quanto lo siano i giudici maschi; sembra insomma che se gli uomini vogliono giustizia questa possa venire solo dalle donne perché solo esse sono autorizzate ad assolvere un innocente, anzi, sono autorizzate a mandar libero persino un colpevole perché la decisione sarà giudicata frutto di un errore e non della "Cultura dello stupro".

    Quella straordinaria e stupefacente campagna di criminalizzazione e colpevolizzazione del genere maschile ha avuto i suoi effetti, quelli cui mira l'universale male-bashing. Lo sdegno e lo scandalo furono universali e non mancò chi, come Oliviero Toscani, dichiarasse:"Mi vergogno di essere nato maschio". Un famoso giornalista ne trasse motivo per affermare in Tv che il diritto delle donne a "dire no" rimane intatto anche dopo aver portato l'uomo a letto ed averlo perfettamente eccitato, dichiarazione sulla quale torneremo. Tre giorni dopo il Capo del Governo, Massimo D'Alema, promise, come parziale riparazione, l'accoglimento della richiesta femminista delle quote assemblari nella nuova Costituzione, operazione condotta puntualmente a termine da tutt'altra maggioranza parlamentare. Il pestaggio morale non è senza frutti.

    Rino Della Vecchia
    QUESTA META' DELLA TERRA



    Edited by silverback - 17/2/2009, 21:59
     
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  8. nicolekidmanvogliosposarti
     
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    cominciamo a dire ogni giorno al tg di tutti i morti(99 e forse più % maschi!) sul lavoro che avvengono ogni giorno,citiamo le statistiche dei morti sul lavoro,dei padri che non c'è la fanno a pagare gli alimenti e poi vediamo se erano più urgenti le leggi antistupro o le leggi sulla famiglia e sul lavoro.

    tutti gli uomini sono stupratori!!!!!!!!!!!!!!!! strano poi che si incazzano quando diciamo che tuttii brigatisti sono di sinistra ,che tutti i fascisti sono di destra,e che TUTTI i politici sono ladri o tutte le t..... sono donne !!! li non è giuusto generalizzare.
     
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  9. Milo Riano
     
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    Guardate cosa si permette di dire, questa *** :sick: ***:

    CITAZIONE
    Fomentare misoginia, odio contro le donne, creare i presupposti per una caccia alle streghe, nascondendosi dietro progetti fittizi (indirizzo? nome dell'associazione? scommettiamo che siete sempre gli stessi mascherati da fatebenefratelli?) non vi assolve comunque dalla enorme responsabilità della quale vi fate carico.

    Siete complici anche voi, di ogni stupro, omicidio, molestia, persecuzione. Di ogni cicatrice, umiliazione, mortificazione. Complici e assassini perchè state compiendo centinaia di migliaia di omicidi sociali. Irresponsabili, ecco quello che siete.

    Chi pensi ti assolverà quando la verità verrà a galla?

    Abbiamo trovato la capra espiatoria di tutti i mali maschili: il blogghettino di fikasikula! :lol:




    Marco Vantaggiato, Violenza domestica: la fallacia dei paradigmi di genere, <http://www.psicolex.it>.

    Il fenomeno della violenza domestica continua ad occupare sempre più spazio non solo all' interno della cronaca locale e politica del nostro paese, ma vede un costante e progressivo spiegamento di forze (a livello europeo, nazionale e regionale) che si adoperano attraverso campagne di sensibilizzazione, iniziative di prevenzione e di recupero delle vittime, a contrastare e ad arginare un fenomeno che ormai è uscito dalla sfera privata ed è divenuto un vero e proprio crimine che coinvolge l' intera comunità.

    Nonostante gli enormi progressi che sono stati compiuti vi è purtroppo la tendenza, da parte dei ricercatori e delle istituzioni a considerare la violenza domestica come una violenza "sessuata", intendendo con ciò una forma di violenza che non solo ha come unici aggressori gli uomini e come uniche vittime le donne, ma che nasce dallo squilibrio relazionale dei sessi ed ha come obiettivo il totale controllo della donna al fine di perpetuare il suo stato si sottomissione (French, 1993; Longo, 1995; Pence e Paymar, 1993; Parsi, 2000, 2008; Stock, 1991, 1998; Worcester, 2002).

    Queste posizioni fanno soprattutto capo alle teorie femministe e alle teorie di genere che vedono nel patriarcato la causa fondamentale della violenza domestica, intendendo con la parola patriarcato una struttura sociale che educa gli uomini al dominio e al controllo pressoché totale delle donne, limitandone le scelte e l' autonomia decisionale.

    Che sia la paura ancestrale nei confronti delle donne (Valcarenghi, 2007), l' invidia del grembo (Parsi, 2000, 2008) o la messa in atto di un comportamento culturalmente e socialmente approvato da una società misogina (Dobash e Dobash, 1979) ciò che le teorie femministe e di genere fanno è ritrarre un quadro in cui la violenza domestica è originata esclusivamente da fattori socioculturali e dove gli uomini sono gli unici aggressori mentre le donne le uniche vittime.

    Questo tipo di approccio, così rigido e monolitico è stato duramente criticato da numerosi studiosi (Archer, 2002; Corvo e Johnson, 2003; Dutton e Nicholls, 2005; Dutton, 1994, 2006; Farrell, 2001; George, 2003; Hamel, 2005; Pimlatt-Kubiak e Cortina, 2003; Sarantakos, 2001) in quanto veicolante una serie di errori e di personali convinzioni che hanno a che vedere con la visione del fenomeno secondo un' ottica femminista capace di distorcere in modo grave le realtà dei fatti e, di conseguenza, di non essere in grado di proporre validi interventi sia di prevenzione che di trattamento verso chi commette tali violenze e verso le vittime stesse.

    Cerchiamo dunque di illustrare quali sono gli errori più comuni che si ritrovano nel momento in cui si seguono le ricerche, i risultati e gli interventi dei ricercatori e dei clinici che aderiscono alle teorie di genere.

    Selettività nelle ricerche e nelle citazioni

    I ricercatori che aderiscono alle teorie di genere hanno come scopo quello di mostrare i dati della violenza domestica esclusivamente come violenza sulle donne; questo perché vi è la convinzione, come riportato sopra, che la violenza sia dettata dal mantenimento del potere e dei "privilegi maschili" conservati dal patriarcato. La conseguenza di questo atteggiamento produce una serie di errori metodologici in quanto vi è l' errore di fondo di voler a tutti i costi confermare le proprie teorie piuttosto che cercare di falsificalre. Tra le scelte metodologiche più comuni troviamo il fare ricerca su campioni specifici della popolazioni i cui risultati vengono poi indebitamente riversati sulla popolazione generale, come ad esempio chi effettua inchieste e misurazioni sulle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza o sugli uomini arrestati e mandati in terapia per ordine del tribunale (Dutton, 2005; Hamel, 2005); un altro errore viene anche da alcune ricerche nazionali promosse dallo stato che solitamente mostrano maggiori tassi di vittimizzazione femminile e di perpetrazione maschile.

    Riguardo a questo genere di ricerche le obiezioni da rivolgere sono le seguenti:

    • in alcune ricerche nazionali l' indagine viene presentata come una ricerca volta a rilevare la "violenza contro le donne", di fatto ponendo dei filtri che impediscono una corretta stima delle violenze verso gli uomini (Dutton e Nicholls, 2005); quanto segue è confermato dal National Violence Against Women Survey (Tjaden e Thoennes, 1998) e dall' ISTAT che nel 2006 ha promosso un' indagine comprendente anche gli episodi di violenza domestica dove gli uomini non erano contemplati come vittime ma solo come autori di reato;

    • in Canada è stata promossa un' indagine denominata Canadian Violence against Women survey (Johnson e Sacco, 1995) attraverso la CTS, uno strumento in grado di rilevare gli episodi violenti all' interno della coppia/famiglia, episodi valutati come la conseguenza di una situazione conflittuale tra i partner (Straus, 1979). La CTS è una scala che viene somministrata ad entrambi i partner, uomini e donne, tuttavia Johnson e Sacco hanno omesso di somministrare la parte relativa alle violenze perpetrate alle donne le quali hanno dovuto rispondere solo in riferimento agli episodi di vittimizzazione subiti;

    • in riferimento al NVAWS (Tjaden e Thoennes, 1998, 2000) Johnson e Leone (2005) hanno cercato di studiare le coppie in cui venivano commesse le violenze più gravi ma lo hanno fatto prendendo solo gli uomini in qualità di aggressori; le donne non sono state considerate né si è cercato di valutare se potevano rientrare in questo profilo (intimate terrorist);

    • riportiamo infine il report molto acclamato e stimato dell' Organizzazione Mondiale della Sanità (Krug, Dahlberg, Mercy, Zwi, Lozano, e World Health Organization, 2002) secondo il quale la maggior parte delle violenze commesse dalle donne è dovuta all' autodifesa, ovvero alla minaccia alla propria incolumità; tale conclusione si basa erroneamente su tre studi: il primo (Saunders, 1986) aveva rilevato che solo un terzo delle donne aveva ricorso alla violenza per proteggersi (31% del gruppo che aveva commesso violenze lievi vs. 39% che aveva commesso violenze gravi), dunque i due terzi delle donne avevano aggredito per altri motivi; il secondo (DeKeseredy, Saunders, Schwartz, e Shahid, 1997) aveva trovato che solo il 7% delle donne aveva utilizzato forme di violenza per difendersi dal partner, mentre il terzo (Johnson e Ferraro, 2000) è un articolo che riprende anche l' autodifesa delle donne quale motivo principale per usare la violenza, senza confermare quanto detto dal report, citando i due studi precedenti (Saunders, 1986; DeKeserdy et al., 1997) e non fornendo dati originali.

    L' uso di tali metodologie unito alle iniziative governative che mostrano le donne come uniche vittime influisce sulla percezione della violenza domestica nei confronti degli uomini come un crimine. Questo potrebbe influire non poco sulla capacità di rilevare gli uomini vittime di violenza da parte della partner in quanto si è visto che gli uomini si rivolgono alla polizia con una frequenza dieci volte inferiore rispetto alle donne (Stets e Straus, 1992a).

    Sempre per quanto riguarda la metodologia di conduzione della ricerca tra gli operatori e i ricercatori sostenitori delle teorie femministe e di genere vi è la tendenza a porre domande alle donne unicamente sugli episodi di vittimizzazione, mentre agli uomini sono solitamente riservate le domande che fanno riferimento alle violenze commesse; è inoltre possibile osservare la selettività con cui vengono scelte le persone alle quali porre i questionari: trattasi solitamente di donne provenienti dai centri antiviolenza e da uomini condannati dal tribunale; in altre occasioni i comportamenti degli uomini vengono rilevati dalle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza o alle case-rifugio ("shelters"). Occorre rendere chiaro che le donne che si rivolgono a questo tipo di strutture non sono rappresentative della popolazione generale e nemmeno delle donne che hanno subito violenza, così come non possono essere rappresentativi della popolazione maschile gli uomini presi dal tribunale o le cui descrizioni sono fornite dalle partner che si sono rivolte a strutture specialistiche antiviolenza. In altre occasioni è possibile osservare come alcuni ricercatori omettano di rilevare la violenza femminile nel momento in cui esaminano entrambi i partner oppure non propongono le stesse interpretazioni dei comportamenti degli uomini quando devono analizzare le condotte violente femminili: Coker, Davis, and Arias (2002) hanno analizzato i risultati del NVAW il cui campione consisteva di 6790 donne e 7122 uomini per evidenziare le conseguenze sulla salute fisica e psicologica delle vittime; i risultati hanno mostrato come uomini e donne manifestano conseguenze simili dovute agli abusi, tuttavia gli autori hanno spiegato che, poiché gli uomini vittime possono essere anche gli autori degli abusi, le conseguenze fisiche e psicologiche potevano essere dovute più al fatto di essere i perpetratori piuttosto che le vittime. Questa ipotesi non è stata considerata per le donne e gli autori non hanno presentato alcuna ragione per questa scelta.

    Johnson (1995) presenta, in un articolo molto citato, due differenti forme di violenza che si manifesta all' interno della coppia: una forma di violenza minore che produce danni di lieve entità e investe entrambi i partner (common couple violence) e una forma grave e cronica di violenza chiamata terrorismo patriarcale, le cui vittime risultano essere le donne; naturalmente, la distinzione della violenza in queste due categorie e l' esclusione di un terrorismo matriarcale sono dovute al fatto che Johnson ha tratto le sue conclusioni sulle donne ospitate nei centri antiviolenza, per cui tale operazione presenta un limite molto grave (Hamel, 2005). Le inchieste nazionali (Stets e Straus, 1992a, b) mostrano invece come la frequenza violenza grave da parte della donne/violenza lieve da parte dell' uomo e violenza grave da parte della donna/nessuna violenza da parte dell' uomo siano rispettivamente intorno al 12% e al 11.8%, il triplo rispetto al pattern inverso.

    DeKeserdy e Schwartz (1998) hanno chiesto ad un campione di donne violente con il proprio partner se avevano aggredito quest' ultimo per difendersi dai suoi attacchi; nonostante il campione fosse composto anche da uomini a nessuno di questi sono state poste domande su eventuali vittimizzazione subìte o sull' uso della violenza al fine di difendersi, bensì solo domande relative alle violenze perpetrate verso la partner. Per quanto riguarda invece l' uso della violenza a scopi difensivi, nonostante la maggior parte delle donne aveva dichiarato di non aver mai usato la violenza per tali scopi (sia nel gruppo che aveva impiegato forme lievi, 422 donne su 678 che gravi, 205 donne su 356) DeKeserdy e Schwartz hanno concluso che la maggior parte delle donne è violenta verso il partner al fine di difendersi dai suoi attacchi (gli attacchi del partner!).

    Babcock, Waltz, Jacobson e Gottman (1993), Jacobson, Gottman, Waltz, Rushe, Babcock e Holtzworth-Munroe (1994) e Jacobson e Gottman (1998) hanno classificato gli uomini che commettono violenze verso la partner in due categorie: pit bull (impulsivi) e cobra (freddi e strumentali); sulla base di questa classificazione Babcock, Waltz, Jacobson e Gottman (1993) hanno condotto un indagine sulle donne maltrattate dal proprio partner. Le violenze che queste donne potevano aver inflitto al proprio uomo non sono state prese in considerazione, ma ciò che colpisce di più è il lavoro empirico che ha portato gli autori alla classificazione degli uomini violenti in "cobra" e "pit bull"; tale lavoro si è basato sui resoconti di un campione di 57 donne, ma l' aspetto più interessante sono le considerazioni degli autori sulla metodologia d' intervento. Infatti, secondo i resoconti delle donne metà di loro sarebbe potuta essere inclusa nel gruppo di coloro che avevano commesso violenza verso il partner se il criterio di scelta avesse incluso la violenza da parte delle mogli (Jacobson, Gottman, Waltz, Rushe, Babcock e Holtzworth-Munroe, 1994, pp. 983). La conseguenza di questa scelta naturalmente si riflette sulla rappresentazione della violenza domestica poiché il lettore, il ricercatore e il clinico sono indotti a pensare che tale violenza sia esclusivamente unilaterale, ovverosia dell' uomo verso la donna.

    Altri errori di questo tipo possono essere tranquillamente riscontrati in numerosi autori che adoperano le teorie femministe e di genere per leggere i dati sulla violenza (Jaffe, Lemmon e Poison, 2003; Saunders, 1988; Dobash e Dobash, 1979, Dobash, Dobash, Wilson, e Daly, 1992, Hirigoyen, 2006; Pence e Paymar, 1993; Yllo e Bogard, (Eds.) 1988; Walker, 1989) che non esitano ad etichettare qualsiasi critica scientificamente fondata e qualsiasi dato sulla violenza femminile come un "contrattacco" ("Backlash", vedere Faludi, 1981) al movimento femminista (DeKeserdy e Schwartz, 2003; Worcester, 2002) con lo scopo di perpetuare la dominazione maschile.

    L' omettere i dati della violenza femminile è anche reso evidente dal minimizzare l' impatto che questa può avere sugli uomini; spesso è possibile riscontrare ciò in una breve citazione corroborata da ricerche vecchie e che non tengono conto dei dati più recenti.

    Luberti (2005) sottolinea, citando un contributo di Serra (1999), come, sebbene le donne possano essere responsabili di episodi di violenza verso gli uomini, le ricerche abbiano dimostrato che in caso di violenze fisiche le donne subiscano ferite nel 99% dei casi. Luberti tuttavia ignora sia i risultati emersi negli Stati Uniti (Stets e Straus, 1992a, b) sia i risultati del General Social Survey (Brown, 2004; Laroche, 2005), sia infine i risultati dello studio meta analitico di Archer (2000) e l' analisi dei dati del NVAWS condotta da Pimlatt-Kubiak e Cortina, (2003). Tutte queste ricerche si distinguono dalle indagini solitamente svolte dai ricercatori che fanno capo alle teorie di genere in quanto traggono i loro risultati dai dati presi dalla popolazione generale.

    Specificamente e sinteticamente, queste ricerche hanno messo in luce che:

    • le donne sono risultate violente tanto, se non di più degli uomini (Archer, 2000);

    • la maggior parte della violenza in famiglia o all' interno di una coppia è reciproca, seguita dalla violenza grave da parte di una donna, seguita dalla violenza grave da parte dell' uomo (Stets e Straus, 1992a, b); sono molti di più gli uomini a non reagire di fronte ad una violenza grave perpetrata da una donna che non il contrario;

    • uomini e donne sono risultati ugualmente "unilateralmente terrorizzati" nei confronti della violenza esercitata dalla/dal partner, hanno riportato numerose ferite che hanno richiesto un intervento medico ed hanno visto le loro attività quotidiane compromesse (Laroche, 2005);

    • le donne sono risultate più propense a riportare ferite e a richiedere un trattamento medico ma la differenza rispetto agli uomini non è risultata così ampia come si è soliti credere; lo studio meta analitico di Archer (2000) ha evidenziato per la possibilità di rimanere feriti durante il corso di un episodio violento un effect size di 0.15 pari a circa 1/6 di una deviazione standard, mentre per quanto riguarda il richiedere un trattamento medico l' effect size è risultato essere 0.08, pari a un 1/12 di una deviazione standard. In conclusione, uomini e donne non differiscono così tanto rispetto alle conseguenze che le violenze possono lasciare a livello fisico;

    • a livello psicologico occorre infine notare che l' analisi del NVAWS, molto citata dai ricercatori aderenti alle teorie femministe e di genere ha visto negli uomini e donne soffrire in modo simile gli effetti dalle violenze da un punto di vista psicologico (Pimlatt-Kubiak e Cortina, 2003). La conclusione di questo imponente studio (N = 16,000) è che è la durata all' esposizione alla violenza e non il genere, a determinare l' estensione e la gravità delle conseguenze negli uomini e nelle donne.

    Per quanto riguarda la violenza psicologica, sebbene continuamente si dichiari che le donne sono solite esercitare questo tipo di violenza, allo stato dei fatti rarissimi sono stati i tentativi di misurare gli effetti di tali comportamenti sugli uomini, mentre le ricerche abbondano per quanto riguardano le violenze psicologiche subite dalle donne. L' ultima indagine in Italia è stata effettuata dall' ISTAT che, lo ricordiamo, non ha incluso gli uomini nella sua rilevazione. Ciò non si spiega in quanto, se è vero che il genere influisce dal punto di vista della resistenza fisica alle ferite, non si capisce in che modo questo possa essere considerato un fattore protettivo nel caso delle violenze psicologiche.

    Il Patriarcato e il dominio maschile quale causa della violenza domestica

    I sostenitori delle teorie femministe e di genere ritengono che alla base della violenza domestica (da leggersi esclusivamente come violenza sulle donne) vi siano la volontà e gli sforzi da parte degli uomini di mantenere le donne in un perenne stato di sottomissione, di impedire loro qualsiasi movimento emancipatorio verso l' autonomia e di reagire a qualsiasi tentativo di insubordinazione con la violenza. Il patriarcato è probabilmente l' argomento preferito delle sostenitrici delle teorie femministe e dei ricercatori e ricercatrici che analizzano la violenza domestica esclusivamente attraverso il genere.

    Fondamentalmente le ricerche hanno cercato in tutti i modi di trovare una relazione tra patriarcato e violenza domestica e dove non l' hanno trovata hanno fatto comunque in modo che il patriarcato, i "privilegi maschili" e il "dominio maschile" risultassero i principali responsabili della violenza contro le donne.

    Cerchiamo dunque di vedere in cosa consistono questi errori e che cosa hanno prodotto gli studi più accreditati dal punto di vista scientifico. Per quanto riguarda l' Italia è bene precisare che la variabile patriarcato non è mai stata empiricamente indagata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale, tuttavia questa viene chiamata in causa attraverso due elementi male interpretati:

    • la mancanza di dati sulle violenze femminili e sulle vittimizzazioni maschili;

    • una forte eterogeneità di dati per quanto riguarda le caratteristiche degli autori di violenze.

    Il primo aspetto può convincere gli operatori che la violenza domestica sia in realtà una violenza sulle donne e che le donne non utilizzino le stesse condotte violente verso il partner; di fatto quando si analizza il fenomeno la maggior parte degli autori non prende in considerazione la possibilità che anche le partner possano essere violente verso i loro uomini (Robustelli, 2007; Lacangellera). Ciò perché nella maggior parte dei casi la violenza viene vista come uno strumento di mantenimento del "dominio maschile" e pertanto non può investire le donne.

    A sentire i numerosi autori e autrici (Dobash e Dobash, 1979; Parsi, 2000, 2008; Hirigoyen, 2006; French, 1993; Longo, 1995) parrebbe che le questioni di dominio e di controllo siano esclusivamente una prerogativa maschile, mentre le donne sarebbero mosse da caratteristiche quali la condivisione, la cooperazione e uno stile relazionale non basato sulle gerarchie. Ciò che si crea utilizzando queste assunzioni e una visione opposta dei due generi, quasi manichea, che non trova alcun fondamento scientifico (ma nemmeno nella vita quotidiana) e che non aiuta certo a comprendere le violenze e le strategie volte alla prevenzione e al recupero.

    Sebbene molti autori dipingano gli uomini e le donne, i primi con caratteristiche assolutamente negative, le seconde con caratteristiche e aspetti assolutamente positive, a proposito della violenza è opportuno segnalare che:

    • nelle indagini sulla violenza domestica le motivazioni di dominio e di controllo del partner raramente sono state considerate e questo poiché vi è la convinzione che tali motivazioni siano intrinseche al genere maschile o quanto meno al patriarcato;

    • nelle ricerche in cui tali variabili sono state considerate i ricercatori hanno trovato anche nelle donne il desiderio di dominare e di controllare il partner attraverso i racconti di questi ultimi (Cook, 1997; Pearson, 1997; Migliaccio, 2001, 2002; George, 2002). Stets (1991) ha mostrato che entrambi i generi mettono in atto strategie per controllare il comportamento del partner così come Follingstad, Wright, Lloyd e Sebastian (1991) non hanno riscontrato differenze legate al genere per quanto riguarda il mettere in atto comportamenti atti a controllare le attività del partner.

    Per quanto riguarda poi la volontà maschile di dominare la partner vi sono ulteriori difficoltà nel momento in cui tale affermazioni vengono smentite dalle indagini nazionali. Sappiamo dall' ISTAT che il 31.9% delle donne ha subito una violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Riguardo alle violenze subite Lacangerella (2008) afferma che "dietro molte tragedie c' è spesso una grande frustrazione maschile, il desiderio di tappare la bocca ad un altro. C' è un uomo che di fronte ad una donna autonoma e sicura di sé, non sa più qual è il suo ruolo, perde autorevolezza; ha un comportamento regressivo, quasi schizofrenico, come un bambino pretende tutto dalla partner e se lei non l' accontenta la picchia o l' ammazza" (pp. 25). In questo passaggio Lacangerella chiarisce che il motivo principale della violenza che risiederebbe nella perdita di autorevolezza dell' uomo legata al suo ruolo di genere. Dal momento che però non sono state effettuate particolari analisi sugli autori di reato risulta difficile stabilire con certezza che la volontà di perpetuare quell' "autorevolezza" sia la causa della violenza. Questa considerazione, inoltre, non tiene conto della recente indagine dell' ISTAT svolta nel 2003 e pubblicata nel 2006 dove è stato rilevato chi prendeva le maggiori decisioni all' interno della coppia/famiglia: dai risultati è emerso che entrambi i partner decidono di comune accordo sulla spesa per gli svaghi (72.5%), sulla spesa per la casa (53.9%), l' abbigliamento (51.1%), la gestione dei risparmi (61.4%), le persone da frequentare (86.6%), l' educazione dei figli (83.1%), dove andare in vacanza (83.5%) e cosa fare nel tempo libero (85.2%). Se si esclude questa categoria (decisioni prese da entrambi) che domina quella dove uno dei due partner prende le decisioni, si può osservare che le donne all' interno della coppia e della famiglia prendono le maggiori decisioni ad eccezione della gestione dei risparmi. Questo dato non coincide assolutamente con l' immagine della famiglia patriarcale che molti autori dipingono e non spiega altresì il 31.9% di donne che sono state picchiate o sessualmente abusate; questo dato inoltre è assolutamente in linea con i risultati di Coleman e Straus (1986) i quali hanno documentato su un campione nazionale che negli Stati Uniti solo il 9.4% delle famiglie può essere considerato di tipo patriarcale, segue un 7.5% di famiglie matriarcali, ovverosia dove è la donna a prendere le decisioni. In entrambe le categorie si sono riscontrati valori più elevati di violenza tra partner.

    L' errore delle teorie femministe e di genere, nonché di tutte quelle spiegazioni che vedono nel "dominio maschile" la causa delle violenze è quella non solo di ignorare le violenze femminili, ma anche quello di non considerare il fatto che la maggior parte degli uomini non abusa della partner e non tutti quelli che commettono violenza lo fanno in modo grave e pervasivo.

    Trattare inoltre la violenza domestica come una violenza "di genere" e sessuata non consente di conoscere i dati relativi delle violenze che le donne esercitano su altre donne: numerosi studi hanno evidenziato che spesso nelle coppie lesbiche i tassi di violenza fisica, sessuale e psicologica si equivalgono con quelli delle coppie eterosessuali con motivazioni del tutto simili a quelle degli uomini, ovverosia la gelosia nei confronti della partner e il desiderio di controllarne ogni aspetto della vita (Bologna, Waterman e Dawson, 1989, cit. in Dutton, 2006; Lie et al., 1991; Renzetti, 1992), nonché una percentuale non indifferente di vittimizzazione femminile ad opera di altre donne (Personal Safety Survey a cura del Australian Bureau of Statistics, 2005).

    Negli Stati Uniti il desiderio di trovare nel patriarcato la causa delle violenze domestiche ha raggiunto livelli così esasperanti che, come riporta Lenton (1995), la maggior parte delle ricerche sulle violenze contro le donne si è focalizzata esclusivamente su di esso.

    Vi sono stati tentativi di misurare la presenza del dominio maschile attraverso le cosiddette attitudini verso l' abuso (Smith, 1990; Hanson, Cadsky, Harris e Lalonde, 1997; Reitzel-Jaffe and Wolfe, 2001) ma quasi tutte le ricerche hanno risentito di numerosi errori dal momento che volevano a tutti i costi provare che l' abuso della donna rientrasse tra le facoltà dei partner (Vantaggiato, in attesa di pubblicazione). L' aspetto più importante da sottolineare è che è assolutamente controindicato misurare le attitudini dopo che un comportamento si è verificato e poi sostenere che le prime sono causa del secondo (Dutton, 2006) in quanto, specie nel caso di violenze che si protraggono per anni, gli esseri umani tendono a modificare le proprie convinzioni sulla base della congruenza che queste ultime possono avere con il comportamento emesso; gli psicologi parlano in questo caso di dissonanza cognitiva che può influire sulla valutazione dei ricercatori e di conseguenza sull' attuazione di un programma preventivo o di trattamento.

    Le teorie del patriarcato rimangono dunque delle teorie debolissime che escludono di fatto le donne dall' esercizio di qualsiasi comportamento violento nei confronti del partner (se non in casi di autodifesa) e non spiegano l' incredibile eterogeneità dei comportamenti violenti degli uomini.

    Le teorie femministe e di genere allo stato attuale, con le loro immagini monolitiche sugli uomini e sulle donne, non sembrano destinate ad offrire delle valide alternative volte, non diciamo ad arginare, ma quanto meno a prevenire ulteriori episodi di un fenomeno che coinvolge individui di tutte le età ed estrazione sociale.

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  10. silverback
     
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    CITAZIONE
    Vi odio, con tutta l'anima. Come può odiarvi ogni donna che umiliata si sente derisa e screditata e mortificata mentre urla al mondo la sofferenza, il sangue e il dolore. Voi siete astio. Voi siete odio. Voi siete male. Voi, semplicemente, putroppo, siete.

    Io no, non ti odio, mi fai semplicemente pena nella tua limitatezza.
    E poi, vedi, odiare è faticoso, impegnativo, distruttivo...


    CITAZIONE
    Rumeni e rumene, ci aiutate a combattere contro la cultura dello stupro fomentata dagli italiani fascisti, per favore?

    Perché chiedi aiuto ai rumeni di sesso maschile?
    Non lo sai che anche fra di loro ci sono degli stupratori...?
     
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  11. nicolekidmanvogliosposarti
     
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    CITAZIONE
    Il Patriarcato e il dominio maschile quale causa della violenza domestica

    che schifo :sick: !!!! due slogan e vai! nessuno discute sul sistema del patriarcato che forse era molto più giusto economicamente dei sistemi di oggi.
    si parla di crisi e altro e forse un ritorno alle origini non sarebbe del tutto sbagliato.il fatto è che ai politici fa comodo mantenere questo sistema.ale femministe fa comodo che Ai politici faccia comodo mantenere questo sistema così non si discute nemmeno su cosa sia il patriarcato e cosa siano certi modelli di vita che forse erano superiori a quelli attuali.quEi modelli di vita che il nostro ritavi ben rappresenta nel suo bellissimo avatar:quella del paesello di brescello,esempio di società patriarcale,semplice dove anche se diversi tutti si aiutavano al momento giusto.ecco il lato positivo del patriarcato.altro che queste analisi assurde delle femministe.
    a loro non interessa dialogare.basta fare slogan preconfezionati!!!!!

    cmq che uomini 3000 o maschi selvaggi vengono messi insieme a maschio 100% denota da parte delle femministe incultura e intolleranza.

    poi è come se io siccome sono antifascista o anticomunista faccio togliere dal vocabolario quella parola e faccio finta che questa non è mai esistita:Ha un nome questo:DITTATURA E CONTROLLO SULLA CULTURA.=MINCULPOP
     
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  12. Zonan
     
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    CITAZIONE (Milo Riano @ 17/2/2009, 19:33)
    Infine c'è il mitico ennesimo servo del potere figocentrico:

    CITAZIONE
    Sono un'admin di wikipedia... La voce "Antifemminismo"... verrà cancellata... la pagina non sarà più on line dal 19 febbraio

    Boicottiamo Wikipedia, tanto per quello che vale... però togliete enciclopedia "libera", grazie. Per onestà intellettuale, almeno.

    Questa poi... ricordo di aver consultato quella voce, era molto neutra a parte qualche allusione sulle contraddizioni del femminismo, davvero questa censura non va bene. :angry:
    Però non ci vedo ugualmente un complotto figocentrico, Wikipedia ha di queste pecche anche in cose più neutre, ricordo ad esempio che un anno e mezzo fa la voce biografica "Manuela Villa" era stata proposta per la cancellazione, ed era proprio il periodo in cui la cantante aveva iniziato a partecipare all'Isola dei Famosi... che poi vinse, cosicché ritrovai la voce senza più richieste di cancellazione :--------:
     
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  13. TullioConforti
     
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    si ma guarda caso queste "sviste" sono sempre a senso unico.

    Poi uno fa fatica a non pensare ad un metodo sistematico.
     
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  14. silverback
     
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    CITAZIONE (nicolekidmanvogliosposarti @ 17/2/2009, 21:26)
    quEi modelli di vita che il nostro ritavi ben rappresenta nel suo bellissimo avatar:quella del paesello di brescello,esempio di società patriarcale,semplice dove anche se diversi tutti si aiutavano al momento giusto.

    nicole, ritavi è una donna.
     
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  15. nicolekidmanvogliosposarti
     
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    CITAZIONE (silverback @ 17/2/2009, 22:01)
    CITAZIONE (nicolekidmanvogliosposarti @ 17/2/2009, 21:26)
    quEi modelli di vita che il nostro ritavi ben rappresenta nel suo bellissimo avatar:quella del paesello di brescello,esempio di società patriarcale,semplice dove anche se diversi tutti si aiutavano al momento giusto.

    nicole, ritavi è una donna.

    non sapevo,chiedo scusa.cmq il concetto è quello :)
     
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71 replies since 17/2/2009, 19:33   1988 views
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