L'ingegneria genetica

che cos'è?

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  1. silverback
     
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    Quanto ho detto finora vale non solo per le malattie ma anche per la nostra esistenza in generale: i limiti del nostro comportamento sono fissati dai geni, ma all'interno di questi limiti c'è uno spazio indefinitamente grande per i cambiamenti e quindi per la libertà individuale. Neppure i gemelli omozigoti, i cui geni coincidono al 100 per cento, si comportano tutti nello stesso modo. Essi sviluppano personalità autonome ben individualizzate e percorrono vie diverse nella vita. Già nell'utero materno le "condizioni ambientali" per i due feti non sono perfettamente identiche. Uno dei due ha più spazio dell'altro, uno è più vicino al cuore della madre, uno vede la luce prima dell'altro. Si suppone che la personalità e le capacità di un essere umano siano geneticamente condizionate, ossia innate, al 50 per cento. (*)
    L'altra metà va messa in conto all'ambiente, ed è quindi acquisita. Senza dubbio le future ricerche sui geni mostreranno che migliaia di essi influiscono direttamente o indirettamente sulle capacità e sui comportamenti umani. Tuttavia la mappa del DNA non funzionerà mai come una carta geografica sulla quale si possa seguire esattamente la via del comportamento umano.
    Per concludere: tra i fautori più radicali di un'ingegneria genetica illimitata, non influenzata da questioni etiche, c'è James Watson, lo scopritore, insieme a Francis Crick, della struttura del DNA.
    Egli è fermamente convinto che, con l'aiuto dell'ingegneria genetica, si potrà creare un uomo nuovo e migliore.
    "Se, aggiungendo geni, si potessero creare esseri umani migliori, perché non dovremmo farlo?" chiede Watson.
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    Fonte: "BREVE STORIA DELLA VITA"; di Gerhard Staguhn (2001).
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    (*) Secondo Charles Murray e Richard J. Herrnstein* (1930-1994*), autori nel 1994 del libro "The Bell Curve" (libro che scatenò un putiferio negli Stati Uniti; 500.000 le copie vendute), le capacità mentali di un essere umano sarebbero innate all'80 per cento.
    Altri esperti, come Michael Daniels, Bernie Devlin e Kathryn Roeder, autori verso la fine degli anni '90 del lavoro "Intelligence, Genes and Success", che rianalizza le principali tesi riportate in "The Bell Curve", sono dell'opinione che quella percentuale debba essere ridotta al 48 per cento.
    (Ognuno dice la sua...)

    Fonte: LE SCIENZE DOSSIER, edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICAN, numero 1 - Primavera 1999.

    Edited by silverback - 9/8/2006, 13:43
     
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12 replies since 28/7/2006, 00:41   462 views
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