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milanesestanco.
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guardate questa discussione sulla sentenza di Taranto:
http://anonym.to/?http://www.sinistraelibe...cia-luce-su-ap/
(i commenti più vecchi in fondo alla pagina).
ad un certo punto interviene una certa Lucia che afferma:
http://anonym.to/?http://www.sinistraelibe.../#comment-13448
Lucia scrive:
25 settembre 2009 alle 11:32
Non è questione di schieramenti… neanche la giunta della neo provincia di Fermo (ex Ascoli Piceno) ha una donna ed è di sinistra. Quello della rappresentanza femminile è un problema trasversale che dovrebbe unire tutte le donne che si trovano a fare i conti con una politica calibrata dagli uomini per gli uomini, nei tempi, nei modi e nei linguaggi. Il sistema maggioritario stesso penalizza le “minoranze” in generale e i partiti non hanno interesse a spendersi per favorire l’ingresso di donne al loro interno e quando lo fanno le usano in modo strumentale. Le donne che “militano” lo fanno a loro rischio e pericolo, adeguandosi alle “regole dei maschi” e pagando per prime quando si tratta di lasciare indietro qualcuno. E’ vero che anche il web è maschilista ma le donne, “con le loro lingue”, sono più veloci di qualsiasi sistema informatico. Berlinguer lo aveva capito perfettamente e anche per questo aveva un partito di quelle dimensioni…. -
Grifone_verace.
User deleted
http://www.psychomedia.it/pm/grpind/separ/pelizzari.pdf
[ho riportato il pezzo più significativo]
Un aspetto molto particolare, ma di rilievo crescente, considerata la dinamica delle
separazioni e dei divorzi nel nostro Paese, è esplorato da una indagine della Gesef
(Genitori Separati dai Figli), dal titolo: “Violenze in famiglia: Quando la vittima è
l’uomo-padre”, pubblicata in Internet nel marzo 2007.
Come dichiarato dalla curatrice, Elvia Ficarra: “L’indagine è stata condotta elaborando
le dichiarazioni degli uomini-padri separandi/separati che si sono rivolti allo sportello di
ascolto della GESEF, in concomitanza con quanto rilevato dalla documentazione
giudiziaria ed amministrativa – laddove disponibile - presentata dai medesimi.
L’indagine è stata svolta su 26.800 uomini-padri, nel periodo dicembre 1998 dicembre
2006. La fascia di età del campione in esame è compresa tra 24-59 anni. Il maggior
numero di episodi di violenza di più grave intensità subito singolarmente dall’uomopadre
si rileva nella fascia di età 35-47. Gli operatori – volontari dell’associazione -
addetti all’ascolto sono stati 12”.62
Dopo la separazione, le violenze fisiche decrescono nettamente, mentre subiscono una impennata quelle psicologiche. Del resto,
alcuni degli eventi classificati come “Violenza sessuale” avrebbero probabilmente
trovato collocazione più opportuna all’interno della categoria “Violenza psicologica”.
I limiti di tale indagine, per altri versi formidabile per la luce che lancia su unfenomeno
del tutto inindagato, riguardano essenzialmente gli aspetti metodologici, non
completamente trasparenti, ed il fatto di non essere stata pubblicata su riviste
scientifiche, le quali, tramite i reviewer (o i comitati editoriali), di tali aspetti, appunto,
si fanno garanti.
Come per l’indagine Istat sulla violenza femminile, del tutto inesplorato è l’aspetto della
volontà di controllo o meno esercitata dalla partner, unico elemento che consenta, a
nostro modo di vedere, di distinguere l’abuso dalla dialettica, anche accesa e talvolta
PSYCHOMEDIA Disagio familiare, Separazioni e Affido dei Minori http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sepindx1.htm 30
con elementi di aggressività, tra partner. Anche in questo caso può essere considerato
un’occasione persa il non aver chiesto se e quante volte la vittima avesse esercitato la
stessa forma di violenza nei confronti della partner e chi avesse dato inizio all’atto
violento. Pur trattandosi di un campione del tutto particolare, in quanto in genere
caratterizzato da altissime dosi di conflittualità, aver impostato in maniera
maggiormente scientifica e meno “schierata” l’indagine ne avrebbe di molto favorito la
capacità di fornire elementi conoscitivi importanti, nel desolante panorama della ricerca
nazionale.
Uno studio caratterizzato da maggiore rigore metodologico - pur se non scevro da
premesse e considerazioni ideologiche – è quello svolto sulla violenza familiare, nel
2006, in provincia di Verona.63 Un esempio raro, in effetti, nella scarsa letteratura
italiana sull’argomento.
Contrariamente a molte ricerche – anche tra quelle straniere precedentemente
esaminate – lo studio di Verona “si distingue assolutamente per la caratteristica di
riportare una casistica imponente basata – senza estrapolazione alcuna – su dati di
elevata attendibilità, essendo il frutto di registrazioni effettuate da agenzie formali,
nell’ambito di percorsi ufficiali”.
Sul totale di 2.380 casi di violenza domestica segnalati nel 2006 (con 2.301 vittime, su
una popolazione di 826.582 abitanti) da diverse fonti di indagine (Pronto Soccorso,
Polizia e Carabinieri, Procura, Sezione Famiglia del tribunale civile), la ricerca analizza i
1.049 fascicoli o procedimenti aperti segnalati dalla Procura della Repubblica (44,1%
del totale con 987 vittime).
Come si può capire, anche in questo caso, se usassimo la teorizzazione di Johnson,
saremmo con ogni probabilità nella tipologia dell’”Intimate terrorism”. Sappiamo quindi
che i risultati tenderanno a sovrarappresentare le violenze più gravi, caratterizzate da
forti dinamiche di controllo sull’altro, e a sottorappresentare altri tipi di violenza meno
controllanti. Ciò non toglie di rilevanza ed interesse - al contrario - alla ricerca, che
analizza in modo dettagliato i seguenti aspetti:
· Nazionalità dei soggetti coinvolti e distribuzione dei titoli di reato
· Generalità e caratteristiche degli autori in rapporto alla nazionalità
· Generalità e caratteristiche delle vittime in rapporto alla nazionalità.
Estrapoleremo dal lavoro solo quei dati in grado di fornire una qualche informazione sul
tema della violenza femminile.
a) Autori
· Dei 976 autori di violenza identificati, 716 (73,9%) erano maschi e 260 femmine
(26,0%). Commentano gli autori della ricerca: “Quest’ultima percentuale si
presenta di grande interesse, in quanto appare di molto superiore a quella che è
la componente femminile della devianza criminale, di solito non oltre il 10-15%
ed anche al ruolo passivo usualmente attribuito alla donna nelle violenze
domestiche”.
· Fra i 742 italiani autori di violenza, i maschi erano 538 (72,5%) e le femmine
204 (27,4%).
· Fra i 223 stranieri i maschi erano 168 (75,3%) e le femmine 55 (24,6%).
b) Vittime
· Delle 987 vittime, relative ai 1.049 casi, 667 (67,5%) erano femmine e 307
(31% ) maschi. Di 13 (1,3%) non viene specificato il sesso.
· Fra i 756 italiani vittime di violenza, più del 65% erano femmine e quasi il 35%
erano maschi.
63M. Bacciconi, P. Martucci, S. Bertolaso, P. Erba, e G. Papalia, "La violenza in ambito familiare nella provincia di
Verona: considerazioni criminologiche".Ispel (2007?). Disponibile all'indirizzo:
http://www.ispesl.eu/osservatorio/pdf/onvd-doc11.pdf.
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· Fra i 231 stranieri, il 74,2% erano femmine, il 20,2% maschi; nel 5,6% dei casi
il sesso era indeterminato.
Abbiamo riassunto i dati, forniti nello studio in forma descrittiva ed in qualche caso
disomogenea, nella tabella seguente.
Tab. 11 - Autori e vittime di violenza domestica per nazionalità e sesso. Provincia di
Verona, anno 2006.
Femmine Maschi Non
identificato
Totale
Autori
Italiani 204 (27,4%) 538 (72,5%) -- 742 (76,8%
Stranieri 55 (24,6%) 168 (75,3%) -- 223 (23,1%)
Non
specificato
1* 10* 11
Totale 260 (26%) 716 (73,9%) -- 976 (100%)
Vittime
Italiani >65%** < 35%* -- 100%
Stranieri 74,2 %** 20,2%* --
Totale 667 (67,5%) 307 (31%) 13 (5,6%) 987 (100%)
* Dato da noi ricavato per differenza. Abbiamo lasciato invariate le percentuali
**Il dato è così riportato nello studio. Non si è ritenuto di dover ricostruire il numero di
casi
I dati evidenziano dunque, in questo studio, una percentuale niente affatto trascurabile
di donne autrici di violenza domestica (oltre il 27% tra i soggetti italiani) ed una ancor
più rilevante percentuale di uomini vittime di violenza domestica (quasi il 35% tra i
soggetti italiani).
Ovviamente tra questi casi rientrano fenomeni ulteriori e per certi versi inesplorati
come gli abusi verso gli anziani (elderly abuse) ed i bambini (child abuse and neglect)
che poco o nulla hanno a che fare con la violenza “di genere”. Rilevanti differenze si
riscontrano anche relativamente alla componente razziale ed etnica, a conferma
dell’estrema sfaccettatura di questo fenomeno, di fatto inafferrabile se non indagato
con strumenti di ricerca estremamente raffinati e scevri, per il possibile, da pregiudizi
che possono avere gravi ricadute sull’efficacia delle politiche sia di prevenzione che di
intervento.
Gli stessi autori, nel rimarcare la “natura proteiforme del fenomeno”, avanzano una
ipotesi che meriterebbe di essere sviluppata, cosa che non è però possibile
nell’economia del presente lavoro. Dicono “...la prevalenza degli aspetti di
sopraffazione psicologica ed economica fra gli italiani, la più elevata incidenza di maschi
vittime, l’evidente criticità delle relazioni tra quarantenni, la vulnerabilità dei soggetti
sopra i 65 anni può segnalare la transizione in atto ad una ‘famiglia senza padri’, ad un
gruppo ristretto senza gerarchie precostituite, dove anche l’anziano può
frequentemente divenire oggetto di abuso” (p. 12). Pur non essendo chiaro se questa
assenza paterna sia giudicata positivamente o negativamente, o semplicemente venga
registrata quale variabile utile a declinare la diversità dei fenomeni che entrano a
comporre la proteiforme realtà della violenza domestica, l’osservazione merita certo di
essere segnalata, anche per orientare future ricerche.
Considerazioni conclusive
In conclusione di questo percorso fra teorie, citazioni e dati, possiamo provare a tirare
qualche somma, considerando che l’obbiettivo condiviso dovrebbe essere quello della
riduzione della violenza, comunque ed ovunque si manifesti.
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Riguardo alle domande da cui questo lavoro è partito, ossia cosa sia la violenza
femminile e come se ne parli, possiamo dire che per quanto riguarda l’Italia a queste
domande, semplicemente, non è possibile dare una risposta, in quanto non esistono di
fatto ricerche sufficientemente ampie e/o metodologicamente adeguate. Stando
all’unica ricerca specifica - molto importante e metodologicamente corretta - che
abbiamo riportato, ossia quella su Verona, possiamo dire che, con ogni probabilità, il
fenomeno della violenza femminile nel nostro Paese è molto sottovalutato, sia dal
punto di vista quantitativo che da quello qualitativo.
Diversa è la situazione per quanto riguarda la letteratura scientifica straniera.
Come abbiamo visto, le ricerche qui abbondano, ed alcune considerazioni sono possibili.
Il primo aspetto che si evidenzia è – in confronto al quasi nulla italiano - la diversità dei
settori disciplinari che, dal rispettivo punto di vista, indagano il fenomeno: sociale,
politico, criminologico, giuridico, sanitario, sociologico... Tale pluralità di approcci, ha
dato vita, a sua volta, a metodologie così diverse ed in alcuni casi così ideologicamente
orientate, da produrre - sullo stesso fenomeno indagato - risultati anche
diametricalmente opposti.
Su questo ha certo influito la mancanza di una definizione condivisa di violenza, così
che quello che è senz’altro un atto classificato come violento da una indagine può
essere trascurato in un’altra ricerca e, in moltissimi casi, risultare del tutto irrilevante
dal punto di vista giuridico e/o penale.
Un primo passo necessario è quello di rinunciare definitivamente all'ottica ideologica di
gender che ha dominato la ricerca negli ultimi 40 anni, a partire dalla stessa definizione
di violenza. In alcuni casi essa è stata così dilatata da comprendere in sé qualsiasi
forma di critica o conflittualità (addirittura percepita come possibile, senza che sia stata
seguita da nessun agito) che, inevitabilmente, si manifestano in qualsiasi forma di
convivenza e di relazione.64 Ed è tale definizione che, pressoché unica, trova ampia
ospitalità sui media condizionando l’orientamento e la percezione dell’opinione pubblica.
Quella definizione di violenza ha un triplice e inemendabile difetto.
a) Parte dal presupposto, contraddetto da molti dati, che solo la violenza maschile
sia rilevante, mentre quella femminile sarebbe residuale o comunque indotta
dalla prima.
b) Fa confluire in un unico contenitore fenomeni molto diversi per importanza e
conseguenze sulle persone non distinguendo con chiarezza, ad esempio, le
violenze vere e proprie dalla normale dialettica di coppia. Il risultato di questo
modo di procedere è paradossale, nel senso che mentre si fomenta l’allarme
sociale si rischia di abbassare le difese di fronte alla violenza vera perché se
tutto è violenza, niente è violenza ed estremamente problematico diventa
approntare interventi specifici. In ragione di un pregiudizio antimaschile, inoltre,
tale approccio trascura di indagare altri fenomeni rilevanti. Si pensi, ad esempio,
alle violenze psicologiche rappresentate dai frequentissimi casi di false denunce
di abuso verso i figli65 o al ricatto economico verso il marito per permettergli una
maggiore frequentazione dei figli in occasione di separazioni e divorzi.
c) Trascura l’analisi dell’interconnessione con i contesti socioeconomici, culturali, e
demografici in cui si situa. I dati provenienti dal Bureau of Justice Statistics
americano (ma anche dall’Istat, come abbiamo dimostrato in un precedente
lavoro66), nonché dalle ricerche maggiormente rigorose, rivelano in maniera
inequivocabile che i numeri della violenza domestica e nella sfera affettiva,
similmente ad altri crimini, sono interconnessi con aspetti socioeconomici,
64E per capire come questo concetto si sia affermato all’interno della cultura e sia stato subdolamente inserito nei
documenti degli organismi internazionali irrinunciabile resta il saggio: A. Nucci, "La donna a una dimensione:
femminismo antagonista ed egemonia culturale", (Milano: Marietti, 2006).
65 Si veda l’esaustiva documentazione sul sito: http://www.falsiabusi.it/.
66 E. Pelizzari, "Violenza reale e ideologia di genere. Le cause di morte in Italia. Uno sguardo ai dati," Disponibile
all'indirizzo: http://forum.panorama.it/viewtopic.php?id=9005.
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culturali e demografici di specifici gruppi sociali, particolarmente a rischio e a
fenomeni di grave disagio sociale. Povertà, disoccupazione, volatilità della
relazione, storie pregresse di violenza subita (specialmente nell’infanzia) ed
agita, nonché uso di alcol e droghe sono tutti fattori che aumentano il rischio di
violenze tra partner, ma anche di comportamenti criminali in generale e che non
possono essere considerati rappresentativi della “natura” maschile.
Non definire le diverse tipologie, trascurare la violenza compiuta dalle donne e
analizzare la violenza fuori dai contesti in cui si situa ha come unico possibile esito la
criminalizzazione di un genere, il maschile, come tale. Non solo, ignorare la realtà in
favore di opzioni ideologiche, porta come conseguenza anche la persistente inefficacia
dei rimedi finora proposti.
Come sostiene un tenente di polizia in pensione del Massachusetts, in un accorato
saggio che consigliamo vivamente di leggere,67 “Solo coloro che non hanno mai
studiato o ignorano la storia possono pensare che uomini e donne siano violenti in
misura uguale.... Tutti i dati sugli omicidi in tutte la società ed in tutti i tempi
dimostrano che le donne commettono molto meno violenza letale degli uomini.
Tuttavia, tutti gli studi contemporanei dimostrano che la violenza domestica, così come
oggi viene definita, non è nella maggior parte dei casi grave o letale, né corrisponde a
quello che la maggior parte delle persone considerano essere un comportamento
violento”. (p. 17).
Assimilare la critica alla pettinatura (come nell’indagine Istat del 2006) alla ripetuta
violenza fisica o allo stupro, non è solo metodologicamente errato e concettualmente
disonesto;68 questa assimilazione finisce anche col determinare una profonda inefficacia
delle politiche di prevenzione, penalizzando proprio le categorie più colpite dalla vera
violenza fisica o sessuale, come innumerevoli studi oramai dimostrano. Assimilare il
conflitto familiare alla violenza domestica, insomma, non serve alla causa di
ridurre quest’ultima.69
I dati disponibili, seppure risentano della carenza di una definizione univoca del
concetto di violenza e del conflitto tra approcci ideologicamente orientati, sembrano
comunque dimostrare che:
a) esiste una innegabile violenza maschile molto più letale di quella femminile, ma che
in valore assoluto si tratta pur sempre, e per fortuna, di numeri statisticamente piccoli.
È importante leggere sempre i dati percentuali in rapporto alle relative occorrenze. Se è
vero infatti che l’omicidio è la forma estrema e più grave di comportamento criminale, e
che nel 70% dei casi le vittime sono donne, è altrettanto vero che esso è,
fortunatamente, la causa di morte in assoluto meno frequente. Gli ultimi dati Istat,
relativi al 2003, ci informano che le morti femminili per omicidio sono state in
quell’anno lo 0,05% delle morti femminili complessive e l’1,73 delle morti femminili per
cause esterne (pari a 178 donne uccise – non solo da maschi , contro 470 maschi
uccisi, quasi sempre - ma non solo - da altri maschi).70 Allo stesso modo il Bureau of
Justice Statistics ha stimato nel 2007 che, in tutti gli Stati Uniti, l’occorrenza di
omicidi di partner sia di 1.181 donne e 329 uomini per anno.71
67 R. Davis,"Domestic Violence: Unintended Social Implications", Disponibile all'indirizzo:
http://www.policeone.com/pdfs/Unintended_S...mplications.pdf.
68 La giurisprudenza, ad esempio, richiede che per la sussistenza del reato di maltrattamento (art. 572 del c.p.) si
debba essere in presenza di una ripetizione della condotta nel tempo e non di un fatto estemporaneo.
69 Ad esempio, in California, l’introduzione dell’obbligo di arresto – ci ricorda sempre il nostro tenente in pensione
del Massachusetts - ha determinato un notevolissimo incremento degli arresti femminili. “In California, i numeri di
maschi arrestati per violenza domestica è aumentato del 37%, mentre gli arresti femminili sono aumentati del
446%” (p. 24).
70 E. Pelizzari, cit.
71K.S. Menard, A.L. Anderson, e S.M. Godboldt, "Gender Differences in Intimate Partner Recidivism: A 5-Year
Follow-Up", Criminal Justice and Behavior 36, no 1 (2009):61-76.
PSYCHOMEDIA Disagio familiare, Separazioni e Affido dei Minori http://www.psychomedia.it/pm/grpind/sepindx1.htm 34
b) I fatti di violenza domestica non letali o comunque meno gravi, coinvolgono come
parti attive le
donne in misura molto significativa, pari o di poco superiore a quella dei maschi.
La violenza domestica e nella sfera affettiva è fenomeno e crimine complesso,
multidimensionale, più di molti altri ed esige approcci altamente specifici e metodologie
raffinate. Abbiamo visto come due concetti fondamentali siano la volontà di controllo e
gli aspetti di contesto (storia personale, ambiente socioculturale ecc.), ma abbiamo
anche visto come tali variabili quasi mai siano presi compiutamente in esame. Le stesse
ricerche hanno rivelato la necessità e l’urgenza di definire un approccio metodologico
unitario, che sappia cogliere ed esplorare il fenomeno in tutte le sue variegate
sfaccettature, al fine di impostare le più opportune politiche di prevenzione, di
intervento e di sostegno.
Tornando allo specifico di questo lavoro, cioè al fatto che anche le donne possano
essere e siano capaci di violenza, in generale e nello specifico verso il proprio partner,
ciò è – ancor prima che accertato dalle statistiche – confermato dal dato di esperienza
per l’appartenere la femmina, insieme al maschio - in tutte le declinazioni di
orientamento sessuale che vogliano decidere di giocarsi nel corso della loro esistenza -
al genere umano, del quale condivide pregi e difetti; certo, per quanto riguarda
l’esercizio della violenza, con caratteristiche specifiche di genere, che ancora aspettano
di essere compiutamente indagate.
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http://questionemaschile.forumfree.net/?t=911085
PS: vorrei ricordare alle femministe, che ritengono le donne "incapaci fisicamente di picchiare", che nella violenza fisica sono incluse anche botte tramite oggetti contundenti..