Le detenute madri

riflessioni dopo la sentenza di Cogne

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    Lichtenstein .. o San Marino, che anche loro hanno il rappresentante all'ONU

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    Le detenute madri - Riflessioni a margine della sentenza di Cogne

    di Mario Pavone

    Sommario: Premessa - La detenzione delle donne - L’evoluzione normativa sino alla legge 40/2001 - La legge 40/2001 - I benefici introdotti dalla nuova Legge - Le Condizioni di concessione delle misure - Le esclusioni dalla misura - La Revoca della misura - L’intervento della Corte Costituzionale - Una proposta di legge all’esame del Parlamento - Conclusioni.

    Premessa

    La sentenza di condanna emessa dalla Corte di Cassazione a carico di Annamaria Franzoni in relazione ai fatti di Cogne,al di là delle divisioni tra colpevolisti ed innocentisti, ripropone con forza il problema della detenzione delle madri di figli minori e del trattamento penitenziario previsto in tali casi.

    La criminalità femminile è divenuta materia di indagine e di studio solo da poco. Da quando cioè, negli ultimi trent'anni, le donne sono diventate protagoniste del profondo cambiamento sociale che ha interessato il nostro paese e che si è risolto nella approvazione di una serie di leggi a favore della libertà e della emancipazione delle donne: dalla procreazione controllata alla depenalizzazione dell'aborto, dal divorzio all'abrogazione del reato di adulterio femminile, con il riconoscimento di una parità - in termini di diritto di accesso a lavori prima esclusivi del mondo maschile e di parità di retribuzione - che interessa ora l'intera sfera sociale.

    La maggiore visibilità che hanno ora le donne ha però prodotto in ambito criminale ben pochi mutamenti: gli uomini sono ancora i protagonisti quasi esclusivi della realtà carceraria e criminale.
    Va sottolineato come la ridotta incidenza statistica della delinquenza femminile anche se, è stato registrato un lieve aumento di tale fenomeno, ha determinato uno scarso interesse alla detenzione femminile che ha portato a trattare i problemi e le difficoltà delle donne allo stesso modo in cui vengono trattati quegli degli uomini, con una carente analisi della differenziazione dei loro bisogni e con la propensione a generalizzare anche gli eventuali problemi da proporre.

    Ne deriva che molti dei problemi specifici, che sono legati alla detenzione della donna, sono stati poco o male osservati e valutati.

    Tutto ciò confermerebbe l'ipotesi che l'influenza e la partecipazione delle donne ai reati sia molto minore, non c'è cioè in ambito criminale una cosiddetta "emancipazione femminile". È forse per questo che il diritto penitenziario ha trascurato di adeguarsi ai cambiamenti che sono avvenuti nella società in termini di diritti delle donne. Questo anche a proposito del problema che più di ogni altro pesa sulle donne detenute: il problema della maternità in carcere.

    In particolare, è consolidato in letteratura l’orientamento che per un adeguato sviluppo psicologico del bambino, il rapporto madre-figlio sia di primaria importanza.

    Privare un bambino della figura materna, in quanto figlio di una detenuta, costituisce una violenza inaudita, che contraddice espressamente i contenuti della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, oltre a essere sul filo dell’incostituzionalità.

    La detenzione delle donne

    Occorre, tuttavia, premettere alcuni cenni storici sulla detenzione femminile.

    Fino agli inizi del XX secolo la misura di gran lunga più applicata, nei confronti della donna deviante, oltre che della donna criminale, è stata l’istituzionalizzazione con funzione purificatrice e risocializzante.

    Le strutture di contenimento tipicamente femminili si caratterizzavano per l’ambiguità del luogo di internamento, sia per quanto riguardava le finalità istituzionali, che oscillavano tra assistenza, beneficenza e repressione, sia per le cause della segregazione.

    Dalla documentazione dell’epoca si deduce che tutte le donne erano potenzialmente istituzionalizzabili: meretrici, vagabonde, traviate ma anche giovani oneste, povere o ricche, orfane, derelitte e ragazze madri rappresentavano il prototipo di donna “meritevole” di trattamento segregante e rieducativo in istituzioni religiose o assistenziali, per propria supplica o su istanza dei genitori, del marito o anche di un parente prossimo o del parroco, non necessariamente a seguito di una infrazione delle regole morali e sociali ma anche a scopo di tutela preventiva.

    Specificamente per le donne criminali, alla fine dell’800 esistevano in Italia le case penali femmi nili della Giudecca, di Perugia e di Trani.

    Gli istituti erano retti e gestiti da religiose, eccetto la casa penale di Trani, e lo Stato non influiva mai sull’operato della Superiora, al contrario di quanto accadeva per gli uomini.

    Le case penali e le case di custodia per fanciulle sono state le “antenate” dei moderni istituti penitenziari femminili.

    Si trattava di strutture edificate in campagne isolate, in zone periferiche della città; erano riservate, rispettivamente, alle donne adulte o alle giovani che avevano commesso reati, nonché a vagabonde e meretrici

    Il regolamento interno imponeva alle ospiti di muoversi e agire con compostezza e riserbo.

    Al momento dell’ingresso in istituto la nuova venuta era reclusa in una cella d’isolamento e il personale, a sua insaputa, la osservava, o meglio la spiava, con lo scopo di determinarne la tipologia di comportamento.

    Successivamente, in relazione alla condotta manifestata e “valutata” dalle sorveglianti, la giovane o la donna veniva assegnata alla sezione ritenuta più consona per lei e sottoposta a un trattamento particolare, che variava soprattutto in relazione alla quantità e alla qualità del cibo.

    Il lavoro, obbligatorio per tutte, scandiva i ritmi della quotidianità per non meno di 12 ore.

    Le mansioni variavano tra cucito, tessitura, ricamo, orticultura, lavanderia e cucina.

    È opportuno ricordare, ad esempio, che nel secolo scorso nelle prime case penali femminili non era permesso tenere bambini. Se una detenuta dava alla luce un figlio in carcere, si affidava immediatamente il piccolo ad un istituto. La madre non aveva più alcuna possibilità di vederlo né di avere qualsiasi forma di contatto col figlio.

    In questo contesto il rapporto della detenuta col proprio bambino veniva interrotto fin dall’inizio, dando per scontata l’inadeguatezza della donna ad assolvere al ruolo di madre.

    Si trattava soprattutto di punire genitori che non erano buoni genitori, piuttosto che proteggere e aiutare i figli.

    Il modo in cui la normativa penitenziaria dell’epoca affrontava il rapporto madre-bambino era pensato sulla base dell’immagine tradizionale che vedeva la trasgressione femminile come "amoralità" e la considerava, quindi, inconciliabile con la maternità.

    All’atto della dimissione dall’istituto, scarse erano le possibilità per queste donne di reinserirsi nel tessuto sociale: sino agli inizi del secolo scorso, infatti, non era prevista alcuna organizzazione che si occupasse del loro reinserimento, al contrario di quanto avveniva per gli uomini.

    Nel corso degli anni, tuttavia, è mutato radicalmente il modo di concepire il carcere rispetto alla idea che oggi abbiamo dell’esecuzione penale e della struttura detentiva, da considerarsi non un luogo di segregazione separato dalla città ma uno dei luoghi della città in cui è attiva la rete dei servizi, delle opportunità e delle risorse, considerando, nel contempo, il luogo della pena anche “extramuraria” uno spazio utile per favorire percorsi di riabilitazione, per porre un rimedio alle fratture provocate dal reato. (1)

    L’evoluzione normativa sino alla legge 40/2001

    La normativa penitenziaria precedente alle novità introdotte dalla legge 40/2001,cominciò ad affrontare il problema della donna detenuta in relazione alla maternità con la previsione di una assistenza particolare di specialisti alle gestanti e alle puerpere e la possibilità di tenere il figlio presso di sé in carcere ma solo fino al compimento del terzo anno di età.

    In tal senso l’Ordinamento penitenziario (L. 354/1975) ed il Regolamento di esecuzione (D.P.R. 431/1976) rivolsero particolare attenzione alla condizione della gestante e della puerpera.

    Successivamente venne inserito dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) che nel testo originario la disposizione prevedeva, per alcune categorie di detenuti in regime di espiazione ordinaria della pena in carcere, tra le quali quella della madre di prole convivente di età inferiore a tre anni, la possibilità di eseguire nella forma della detenzione presso il loro domicilio le pene della reclusione non superiore a due anni - anche se costituenti parte residua di una maggior pena - e dell'arresto.

    Il Legislatore,a più riprese, ne modificava,in seguito,i presupposti, oggettivi e soggettivi, che consentivano di essere ammessi al beneficio, aumentando, tra l'altro, il limite di età della prole della madre detenuta prima a cinque anni (decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, «Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonché sulla espulsione dei cittadini stranieri»), e quindi a dieci anni (legge 27 maggio 1998, n. 165, «Modifiche all'art. 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni»),prevedendo la possibilità di concedere la detenzione domiciliare anche al padre detenuto qualora la madre fosse deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli (art. 47-ter, comma 1, lettera b) dell'ordinamento penitenziario), in attuazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 1990.

    Negli anni la normativa dell’ordinamento penitenziario, dunque, ha affrontato il problema in modo diverso e più articolato ma segnato ancora dall’ideologia tradizionale nei confronti delle madri detenute. (2)

    La legge 40/2001

    Una materia così delicata non poteva attendere troppo tempo per essere affrontata e corretta, in quanto strettamente attinente ai diritti umani fondamentali: il diritto del bambino - o della bambina a stare con la propria madre e a non subire restrizione alcuna nelle relazioni affettive, il diritto della madre a crescere i propri figli in un ambiente sano.

    Nel 1997,dall’allora Ministro per le pari opportunità, Anna Finocchiaro, fu presentato il disegno di legge n. 4426 che ha dato origine alla legge 40/2001 sulle detenute madri ed al superamento della precedente normativa in base alla quale la detenzione domiciliare era prevista solo per le condannate fino a quattro anni (anche se costituenti residuo di maggior pena), se il figlio non aveva superato i dieci anni, altrimenti, se non c’erano tali condizioni, il figlio poteva seguire la madre in carcere fino ai tre anni di età.

    "La rottura della relazione madre-figlio - si leggeva nella relazione al disegno di legge del ministro Finocchiaro - è sempre drammatica e si rivela particolarmente dannosa nei casi di pene lunghe, quando l’eventuale ripristino di un rapporto significativo è necessariamente rimandato a un momento assai lontano nel tempo".

    "Questi bimbi innocenti - affermava l’allora sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone - soffrono quindi un doppio trauma, quello della vita reclusa fino a tre anni, e quello della separazione traumatica dalla madre poi. A volte, se mancano persone di fiducia o parenti a cui affidarli vengono mandati in istituto, passando così dall’istituzione totale del carcere a quella dell’istituto, senza la madre.Questa è una legge che contribuisce a dare corpo al processo di riforma verso il carcere trasparente intrapreso in questi anni".

    L’8 marzo 2001, in una data fortemente simbolica, venne finalmente pubblicata la legge per le "Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori". (3)

    La legge,riservata alle condannate madri di bambini che non hanno più di 10 anni, introduceva in maniera encomiabile l’istituto della carcerazione domiciliare speciale nell'abitazione della detenuta o in strutture di cura, assistenza o accoglienza.

    Tutte le detenute possono oggi usufruire del provvedimento, anche se hanno compiuto reati gravi, ad alcune condizioni: principalmente che abbiano scontato un terzo della pena e che, nei casi di ergastolo, abbiano scontato almeno 15 anni. Ed ancora, devono esistere le normali condizioni per ripristinare una normale convivenza tra madre e figlio e non deve esservi il pericolo che la donna compia gli stessi o simili atti per i quali è stata condannata.


    I benefici introdotti dalla nuova Legge

    La normativa di recente introdotta prevede, attualmente, l’applicazione di due tipi di benefici specifici per le madri con figli di età fino a dieci anni:

    La detenzione speciale domiciliare (art. 3);
    L’assistenza esterna dei figli minori (art. 5).
    Nella prima ipotesi - detenzione domiciliare speciale - il Tribunale di Sorveglianza può ammettere l’espiazione della pena presso il domicilio della madre (o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza), al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli minori di anni dieci, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena, ovvero dopo l’espiazione di almeno 15 anni nel caso di ergastolo, qualora non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. Al compimento del decimo anno di età del figlio, il beneficio può essere prorogato quando sussistano i requisiti per l’applicazione della semilibertà; altrimenti la donna potrà - in considerazione del comportamento tenuto, nonché della durata, della misura e dell’entità della pena residua - essere ammessa all’assistenza all’esterno dei figli minori.

    La norma recita testualmente:

    Art. 3, Legge 40/2001. Detenzione domiciliare speciale

    1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo.

    2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale.

    3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l’articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale.

    4. All’atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.

    5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.

    6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge e alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.

    7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.

    8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:

    a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e 5;

    b) disporre l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell’interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell’entità della pena residua.

    Dalla lettura della norma si desume che l’articolo fa riferimento a donne condannate a scontare pene lunghe, superiori ai quattro anni; viene applicato, infatti, qualora non sussistano le condizioni previste dall’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario (detenzione domiciliare), ovvero la condanna ad una pena inflitta, o anche residuo di pena, non superiore a quattro anni. La detenzione domiciliare "generica", dunque, unita a quella speciale prende in considerazione una fascia molto ampia di detenute madri.

    Nel secondo caso - assistenza esterna dei figli minori - viene estesa la portata applicativa dell’art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario sul lavoro esterno, prevedendo che le detenute possano essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno di figli di età non superiore a dieci anni. In tal modo, i figli minori avrebbero la possibilità di avere la madre accanto quasi tutti i giorni senza dover aspettare i pochi colloqui mensili che non soddisfano le loro esigenze, non consentendo la continuazione del ruolo educativo della madre e dello stretto legame che lega madre e figlio.

    In questo secondo caso la norma enuncia testualmente:

    Art. 5, Legge 40/2001. Assistenza all’esterno di figli minori

    Dopo l’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:

    "Articolo 21-bis. – (Assistenza all’esterno dei figli minori). - 1. Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall’articolo 21. Si applicano tutte le disposizioni relative al lavoro all’esterno, in particolare l’articolo 21, in quanto compatibili.

    La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre".

    Le Condizioni di concessione delle misure

    Fra le condizioni di ammissione alle misure, in particolare, vi è la non sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti ed è richiesta la concreta possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, condizioni queste che mal si adattano ad un tipo di reati come quelli connessi all’uso di sostanze stupefacenti e alla prostituzione, che tipicamente presentano un alto tasso di recidiva e di cui sono incriminate la maggior parte delle detenute-madri.

    Per la concessione dei benefici la competenza è del Tribunale di Sorveglianza, che dovrà regolare il periodo di tempo che la madre potrà trascorrere all’esterno della propria abitazione; nei casi in cui, senza giustificato motivo, il genitore si assenti per più di dodici ore (art. 4), i benefici potranno essere revocati ascrivendo il reato di evasione nel caso di una assenza più prolungata.

    La legge è intervenuta inoltre a modificare dapprima l’art. 146 del codice penale, sul rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, che viene interamente sostituito (art. 1) e prevede, nei confronti della madre, il differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena fino a quando il bambino non abbia un anno (prima era previsto fino a quando non avesse sei mesi), per permettere il completamento del ciclo di allattamento-svezzamento del bambino. Nello stesso articolo vengono aumentati i casi di rinvio per gravi malattie e, quindi, non solo per chi è affetto da Aids, ma anche per chi sia colpito da gravi deficienze immunitarie o da altre malattie particolarmente gravi, per effetto delle quali le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione o nel caso in cui una persona si trovi nella fase terminale della malattia. Sono stati aumentati anche i casi di non concessione o di revoca del provvedimento, che decade innanzitutto se la gravidanza si interrompe, e inoltre non solo nella previsione di morte del figlio o di affidamento a persona diversa dalla madre, ma anche ove la madre abbia abbandonato il figlio o sia stata dichiarata decaduta dalla patria potestà per aver violato o trascurato i doveri ad essa inerenti, sempre che l’interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi.

    Modifiche sono state poi apportate al testo dell’articolo 147 del codice penale- rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena - che prevede ora (art. 1, comma 2, 3, 4) la possibilità per la madre di rimanere col figlio fino al compimento del terzo anno di età (prima era possibile solo se la madre avesse partorito da più di sei mesi ma da meno di un anno e non ci fosse modo di affidare il figlio ad altri). Tale provvedimento non può essere adottato o viene revocato per gli stessi motivi dell’articolo precedente (se la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio, qualora il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre) e se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti.

    In materia di detenzione domiciliare speciale e di assistenza all’esterno dei figli minori, di cui sopra, sono stati perciò inseriti dalla Legge gli articoli 47 quinquies e sexies, dopo il 47 quater della legge 354/1975.

    La legge 40/2001 stabilisce inoltre anche dei limiti di applicabilità (art. 6) per i benefici contemplati, disponendo che essi non si applicano a coloro che sono stati dichiarati decaduti dalla potestà sui figli, e nel caso che la decadenza intervenga nel corso dell’esecuzione della misura, questa è immediatamente revocata. Infine l’art. 7 prevede che l’applicazione di uno dei benefici previsti dalla presente legge determina, per il tempo in cui il beneficio è applicato, la sospensione della pena accessoria della decadenza dalla potestà dei genitori e della pena accessoria della sospensione dell’esercizio della potestà dei genitori.

    Va sottolineato come attraverso l’ampliamento dei limiti alla concessione delle misure alternative alla detenzione, la legge si proponga di favorire l’instaurazione del rapporto tra madri detenute e i propri figli per facilitare il mantenimento di una relazione che risulta difficile già dalla nascita.

    La presenza di bambini residenti anche solo parzialmente in strutture penitenziarie, appare come una pratica contraria ai diritti umani più elementari sia nei riguardi dei bambini che dei genitori. La rottura dell’unità familiare padre – figlio – madre – ambiente sociale è dannosa e può arrecare gravi e permanenti danni al bambino, specialmente se iniziata in età neonatale e protratta per più anni.

    Ugualmente, nello svolgimento delle pratiche di affidamento ad altra famiglia o struttura di accoglienza, devono essere attentamente valutate tutte le variabili concorrenti alla decisione, qualora essa sia necessaria.

    Le esclusioni dalla misura

    La detenzione domiciliare speciale non può essere concessa a coloro che sono stati dichiarati decaduti dalla potestà sui figli, a norma dell’articolo 330 del codice civile. Nel caso che la decadenza intervenga nel corso dell’esecuzione della misura, questa è immediatamente revocata.

    I detenuti e gli internati per reati associativi (416 bis e 630 c.p.; art. 74, D.P.R. 309/90) possono essere ammessi alla detenzione domiciliare speciale solo se collaborano con la giustizia, oppure quando la loro collaborazione risulti impossibile, ad esempio perché tutte le circostanze del reato sono già state accertate (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 1).

    I detenuti e gli internati per altri reati gravi (commessi per finalità di terrorismo, omicidio, rapina aggravata, estorsione aggravata, traffico aggravato di droghe) possono essere ammessi alla detenzione domiciliare speciale solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 3).

    Chi è evaso, oppure ha avuto la revoca di una misura alternativa, non può essere ammesso alla detenzione domiciliare speciale per 3 anni (art. 58 quater, commi 1 e 2, O.P.). Non vi può essere ammesso per 5 anni nel caso abbia commesso un reato, punibile con una pena massima pari o superiore a 3 anni, durante un’evasione, un permesso premio, il lavoro all’esterno, o durante una misura alternativa (art. 58 quater, commi 5 e 7, O.P.).

    La Revoca della misura

    La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.

    Il condannato ammesso al regime della detenzione domiciliare speciale che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, può essere proposto per la revoca della misura.

    Se l’assenza si protrae per un tempo maggiore il condannato è punito ai sensi dell’articolo 385 del codice penale (evasione) e la condanna per il reato di evasione comporta la revoca della misura.

    L’intervento della Corte Costituzionale

    Un importante contributo all’estensione delle tutele previste dalla Legge 40/2001 è venuto da una recente sentenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 350 del 5 dicembre 2003).

    Il Tribunale di sorveglianza di Bari, con ordinanza emessa il 23 dicembre 2002, sollevava, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lettera a), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevedeva la concessione del beneficio della detenzione domiciliare nei confronti della condannata madre di un figlio invalido al 100%, con lei convivente.

    Ad avviso del Tribunale, la norma contrastava con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza per la previsione di un trattamento difforme in ordine a situazioni familiari analoghe e del tutto equiparabili fra loro, quali sono quelle della madre di un figlio incapace perché minore di dieci anni, ma con un certo grado di autonomia quantomeno sul piano fisico, e della madre di un figlio disabile e totalmente incapace di provvedere da solo anche alle più elementari esigenze, il quale, ancorché maggiorenne, ha maggiori necessità di essere assistito dalla madre rispetto a un bambino di dieci anni.

    In conseguenza, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 350 del 5 dicembre 2003, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1, lettera a), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevedeva la concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata, e, nei casi previsti dal comma 1, lettera b), del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante.

    Secondo la Consulta la norma censurata appariva in aperto contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevedeva un sistema rigido che precludeva al giudice, ai fini della concessione della detenzione domiciliare,di valutare l’esistenza delle condizioni necessarie per un’effettiva assistenza psico-fisica da parte della madre condannata nei confronti del figlio portatore di handicap accertato come totalmente invalidante.

    Al di là del l tecnicismo del linguaggio giuridico, il principio affermato nella sentenza deve essere ritenuto un principio di alta giustizia e di grande umanità, una concreta prefigurazione del dovere della Repubblica, sancito dall’art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità, nel caso di specie la personalità del figlio handicappato.

    E nemmeno possono essere ritenute “ovvie” le finalità umanitarie affermate, il riconoscimento del particolare ruolo della famiglia nella socializzazione del soggetto debole o del disabile, quasi che l’evoluzione normativa che caratterizza il nostro ordinamento penitenziario scaturisse “motu proprio” dall’ ordine delle cose stabilite o dallo scorrere del tempo.

    Si tratta, apprezziamolo con profonda attenzione, di conquiste anche “culturali”, cui sottende, insieme con i principi di legalità e uguaglianza, una forte valorizzazione dei legami parentali e pedagogici, che devono essere sostenuti, all’occorrenza, anche da condizioni oggettive favorenti. L’azione educativa di genitori consapevoli passa attraverso l’attenzione e la sollecitudine con la quale essi si occupano del loro figlio, rimettendo soprattutto al centro delle relazioni di cura la diade madre-figlio e riducendo il rischio dello scollamento che, nelle situazioni critiche o patologiche, fa “precipitare” dalla mente dei genitori il bambino.

    Vertici di equità sociale e di civiltà come quello esemplificato dalla sentenza di cui sopra, in consonanza con le altre norme trattamentali che disciplinano l’esecuzione penale delle detenute madri, si possono meglio apprezzare se confrontati con le norme di ieri, di un periodo da noi non così remoto o lontano come quello che possiamo richiamare alla memoria.

    Una proposta di legge all’esame del Parlamento

    Non sono, inoltre, mancate in Parlamento nuove proposte di Legge in favore delle detenute madri nella direzione di un’ulteriore evoluzione della disciplina. (4)

    La II Commissione Giustizia, in sede referente,aveva concluso nella scorsa legislatura l’esame della proposta di legge recante “Tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” conferendo mandato al relatore a riferire favorevolmente all’Assemblea a cui, tuttavia,non è approdata.

    La proposta di legge è volta a dare una risposta concreta alle problematiche legate alla condizione delle detenute madri con figli minori atteso che le modifiche introdotte avevano il fine di favorire l’esigenza dei figli, specie in tenera età, di vivere con la madre, ma soprattutto di vivere in un ambiente che non fosse l’ambiente carcerario.

    A questo scopo la PdL introduce una importante modifica dell’art. 146 del c. p. che prevede il rinvio obbligatorio della esecuzione della pena nei confronti delle madri di prole di età inferiore ad un anno, mentre nella formulazione precedente era richiesto che la donna avesse partorito da sei mesi. Inoltre il beneficio viene revocato nel caso in cui la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà.

    L’art. 147 del c. p. prevede invece il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena ed è stato riformato, anch’esso nel senso di ampliare l’età minima della prole, infatti, mentre prima della riforma il beneficio poteva essere concesso alle madri che avessero partorito da almeno sei mesi ma da meno di un anno, la novella ha possibilità di concessione del beneficio per le madri con prole di età inferiore a tre anni sebbene tale beneficio non può essere adottato, ovvero se adottato è revocato, qualora sussista il concreto pericolo di commissione di delitti.

    Ora, è proprio su questo punto che la nuova proposta di legge si propone di intervenire. Infatti, la proposta muove dalla considerazione del contesto sociale da cui provengono le “detenute tipo”, donne che spesso vivono in contesti sociali degradati e che spesso hanno riportato più di una condanna penale. La barriera posta dall’articolo viene in tal modo ad impedire che un gran numero di madri possano vivere la propria maternità al di fuori delle mura degli istituti carcerari.

    Il punto centrale, davvero innovativo, della nuova proposta di legge consiste nella previsione di realizzare case-famiglia protette.

    In definitiva la proposta di Legge tende ad attuare un regime, che, seppur restrittivo della libertà personale di una madre, sia connotato da una maggiore “clemenza”, ciò in considerazione del fatto che in una società civile non si può consentire che dei bambini crescano in strutture, purtroppo, tutt’ora orientate a tutelare la sicurezza a scapito della riabilitazione.

    Tutti i bambini hanno diritto a crescere in un ambiente che salvaguardi lo sviluppo armonico della loro personalità, anche se sono nati da madri che si sono rese colpevoli di delitti puniti dalla legge con la detenzione.

    La proposta tende a salvaguardare anche le detenute madri straniere. In particolare esso mira ad evitare che l’espulsione dello straniero sia applicata dal giudice in modo automatico, a titolo di sanzione accessoria alla condanna, senza considerazione alcuna per le condizioni della persona condannata e –come si legge nella relazione di accompagnamento al pdl – “di un eventuale percorso di risocializzazione estremamente positivo compiuto dal detenuto”.

    La disposizione prevede specifiche ipotesi di revoca del decreto di espulsione, tra le quali è incluso il caso della madre detenuta straniera con figli minori, nonché casi di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari a tutela dei minori di madre straniera detenuta

    Conclusioni

    Sin qui il dato normativo vigente, le modifiche apportate dalla Corte Costituzionale e le proposte di legge presentate in Parlamento.

    Nonostante le molte previsioni normative volte a facilitare percorsi alternativi alla detenzione, alcune madri sono,tutt’ora,detenute con i propri figli di età inferiore ai a tre anni.

    Il carcere, anche nelle strutture in cui sono state realizzate sezioni nido, rimane un luogo incompa tibile con le esigenze di relazione tra madre e figlio e di un corretto sviluppo psicofisico del bam bino stesso

    Per contro la detenzione domiciliare, contraddistinta all'origine da finalità prevalentemente uma nitarie ed assistenziali, ha visto, attraverso i successivi interventi del legislatore, ampliare notevolmente il proprio ambito di applicazione e costituisce ora una modalità di esecuzione prevista per una pluralità di ipotesi, fra loro eterogenee e, in parte, sganciate dalle con dizioni soggettive del condannato.

    Non vi è dubbio come la detenzione domiciliare, inserita tra le misure alternative alla detenzione di cui al Titolo I, Capo VI dell'ordinamento penitenziario, realizza ormai, come affermato dalla Corte Costituzionale sin dalla sentenza n. 165 del 1996, una modalità meno afflittiva di esecuzione della pena.

    L'istituto - come la stessa Corte ha ritenuto nella sentenza n. 422 del 1999, successiva all'ampia riforma realizzata con la legge n. 165 del 1998 - ha assunto quindi aspetti più vicini e congrui alla ordinaria finalità rieducativa e di reinserimento sociale della pena, non essendo più limitato alla protezione dei “soggetti deboli” prima previsti come destinatari esclusivi della misura, ed essendo applicabile in tutti i casi di condanna a pena non superiore a due anni (anche se residuo di maggior pena), purché idoneo ad evitare il pericolo di recidiva.

    Conseguentemente la Corte, nella sentenza da ultimo citata, ha ritenuto che la stessa detenzione domiciliare concessa “d'ufficio” al condannato che ne abbia titolo non soltanto non è in contrasto, ma piuttosto realizza lo scopo rieducativo di cui all'art. 27 Costituzione. Nello stesso senso, la successiva ordinanza n. 532 del 2002 ha nuovamente affermato che la detenzione domiciliare è una “misura alternativa che presuppone l'esecuzione della pena” e che essa assume connotazioni del tutto peculiari, “avuto riguardo ai profili polifunzionali che la caratterizzano”.

    Per quanto riguarda, in particolare, la condizione della detenuta madre di prole di minore età,sebbene un rilevante ampliamento delle possibilità di accesso alla misura è stato previsto dalla recente legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori) tale normativa non appare esaustiva del problema del rapporto detenute madri-figli minori.

    L'evoluzione normativa dell'istituto della detenzione domiciliare concedibile alla madre di prole minore deve essere dunque connotata sempre di più dalla tendenza verso una sempre maggiore estensione delle condizioni che consentono tale misura, essendo chiaro l'intento del legislatore di tutelare il rapporto tra la madre (e, nei casi previsti, il padre) ed i figli, pur nella situazione di esecuzione della pena detentiva.

    In particolare, come affermato nella sentenza n. 422 del 1999, la detenzione domiciliare risulta “volta ad assecondare il passaggio graduale allo stato di libertà pieno mediante un istituto che sviluppa la ripresa dei rapporti familiari ed intersoggettivi”, rapporti che appaiono tanto più meritevoli di tutela quando riguardino le relazioni tra i genitori e la prole.

    Anche per la madre di figli minori, come per tutti i soggetti che possono essere ammessi alla detenzione domiciliare, è peraltro escluso dalla legge un rigido automatismo nella concessione della misura, dovendo sussistere le condizioni rappresentate dal non essere intervenuta condanna per alcuno dei delitti indicati dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, ed essendo previste ipotesi di revoca del beneficio per il venir meno delle condizioni stabilite dalla legge (art. 47-ter, comma 7), o per il sopravvenire di fatti ostativi quali comportamenti incompatibili (art. 47-ter, comma 6) e la condanna per il delitto di evasione (art. 47-ter, comma 8), oltre a specifici divieti che ostano alla sua concessione (art. 58-quater).

    Allo stato, dunque, il presupposto soggettivo per accedere alla misura della detenzione domiciliare è che si tratti di madre (o, nei casi previsti, di padre) di prole di età inferiore ai dieci anni, mentre quello oggettivo è dato dalla circostanza che la pena, o il residuo di pena, da scontare sia di quattro anni.

    Nella evoluzione normativa,ad un allargamento del presupposto oggettivo, reso gradualmente più ampio sino al suo raddoppio (il limite di pena, o di residuo di pena, inizialmente fissato in due anni è stato innalzato dapprima a tre e poi a quattro anni), ha corrisposto anche una estensione di quello relativo all'età della prole, che originariamente fissato in tre anni è stato elevato dapprima a cinque e poi a dieci anni, secondo una tendenza alimentata da spirito di favore verso le esigenze di sviluppo e formazione del bambino il cui soddisfacimento potrebbe essere gravemente pregiudicato dall'assenza della figura genitoriale (sentenza n. 350 del 5 dicembre 2003).

    Proprio al fine di favorire il pieno sviluppo della personalità del figlio, la normativa all’esame prevede perciò la possibilità di una esecuzione della pena che avvenga nella forma della detenzione domiciliare, sebbene limitata all'ipotesi del genitore del minore di età inferiore ad anni dieci.

    Non è stata presa ancora in considerazione dal Legislatore la condizione del figlio minore,rispetto alla quale il riferimento all'età non può assumere un rilievo dirimente, in considerazione delle particolari esigenze di tutela psico-fisica il cui soddisfacimento si rivela strumentale nel processo rivolto a favorire lo sviluppo della personalità del soggetto.

    La salute psico-fisica di questo può essere infatti, e notevolmente, pregiudicata dall'assenza della madre, detenuta in carcere,e dalla mancanza di cure da parte di questa,non essendo tale condizione differente a quella del disabile grave, a qualsiasi età, a cui le cure e l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore.

    In questa prospettiva, la possibilità di concedere la detenzione domiciliare al genitore condannato, convivente con un figlio minore,appare funzionale all'impegno della Repubblica, sancito nel secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità.

    Alla luce delle considerazioni che precedono la normativa in commento appare in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevede un sistema rigido che preclude al giudice, ai fini della concessione della detenzione domiciliare, di valutare l'esistenza delle condizioni necessarie per un'effettiva assistenza psico-fisica da parte della madre condannata nei confronti del figlio minore prescindendo dall’età dello stesso e dalla durata della pena residuale.

    Ciò determina un trattamento difforme rispetto a situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della madre di un figlio incapace perché minore degli anni dieci e quella della madre di un figlio disabile e incapace di provvedere da solo anche alle sue più elementari esigenze,il quale, a qualsiasi età, ha maggiore e continua necessità di essere assistito dalla madre rispetto ad un bambino di età inferiore agli anni dieci.

    Appare,quindi,opportuno quanto necessario estendere la tutela previste per le madri detenute e garantire ad ogni bambino la continuità dei rapporti con i propri genitori laddove si consideri che sono 800.000 in Europa i bambini figli di genitori detenuti di cui 43.000 sono italiani.

    A tanto aggiungasi che negli anni nel mondo occidentale l’attenzione per l’infanzia è andata crescendo: accanto all’idea che i giovani dovessero essere controllati, disciplinati e indirizzati, si è venuta affermando anche l’idea che essi debbano essere socializzati e protetti e che si debbano riconoscere e soddisfare le loro esigenze psicologiche e affettive.

    Le idee di Rousseau, di Freud e, in seguito, di Maria Montessori, di Piaget e di Winnicott hanno progressivamente contribuito a delineare una “nuova” immagine del bambino e a rafforzare il convincimento, in un numero sempre più alto di persone e nelle istituzioni, che infanzia e fanciullezza debbano essere salvaguardate. (5)

    Non si tratta quindi di un piccolo problema, eppure sono ancora molto piccole, molto limitate le realtà organizzate che si occupano in Italia di garantire ad ogni bambino la possibilità di salvare, non interrompere, non veder disintegrare i rapporti con i suoi genitori.

    Quando si è tentato, con le cosiddette stanze dell’affettività, di riportare l’attenzione sul problema degli affetti negati dal carcere, subito la volgarità, l’amore per le sensazioni "basse" di tanta stampa le ha trasformate in luoghi dove permettere al detenuto di fare sesso: torniamo invece a par larne nei modi giusti, riportando l’attenzione sulla necessità che le persone detenute abbiano dei momenti di intimità, momenti nei quali la famiglia si ritrovi e abbia il tempo per condividere qual cosa che non sia lo squallore delle sale colloqui. (6)

    In definitiva, ci sono, nella vita delle persone, separazioni che creano ferite, traumi.

    La separazione è sopportabile quando mentalmente si riesce a conservare le immagini che riguardano la persona lontana, è traumatica quando il genitore sparisce, viene cancellato dalla vita del bambino, e quando il bambino non può più parlarne.

    Non dire dove si trova il genitore, perché si trova lì, per quanto tempo, vuol dire impedire al bambino di maturare e lasciarlo vivere in un universo immaginario molto più terrorizzante della realtà stessa.

    Mentre le madri con i figli in carcere soffrono per la costrizione e i traumi che i propri bambini

    subiscono senza averne colpa alcuna, le madri con i figli fuori si tormentano per la terribile sensazione di averli abbandonati.

    Non c'è dubbio che le donne detenute soffrono più degli uomini per la lontananza dagli affetti più cari, soprattutto poi le donne immigrate che hanno lasciato i figli nel proprio paese di origine, e che non hanno più contatto con loro. Le donne sono colpite più pesantemente degli uomini perché nella società sono loro a portare il maggior peso di responsabilità affettiva nei rapporti con i figli.
    Tenere separato un bambino in quanto figlio di una detenuta costituisce una violenza inaudita, che contraddice espressamente i contenuti della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, oltre a essere sul filo dell’incostituzionalità.

    “La pena", dice l’art. 27 della Costituzione Italiana, "non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità".

    Una pena che divide traumaticamente una donna da suo figlio o li costringe all’unione solo in condizioni di restrizione, è una pena disumana non soltanto per una, ma per due persone.

    "In un paese civile e per un'Amministrazione che voglia essere degna dello Stato che serve e rappresenta, i problemi umani non ammettono disattenzioni, distrazioni ed insensibilità, né ammettono rifiuti o ritardi, giacché il prezzo di questi è l'attesa spasmodica e la moltiplicazione delle sofferenze di chi chiede, è l'intollerabile inquietudine e rimorso di coscienza di chi, potendo fare tutto o almeno qualcosa, non fa nulla o fa meno di quello che potrebbe" (N. Amato ex direttore generale delle carceri italiane). (7)



    CITAZIONE
    Non c'è dubbio che le donne detenute soffrono più degli uomini per la lontananza dagli affetti più cari, soprattutto poi le donne immigrate che hanno lasciato i figli nel proprio paese di origine, e che non hanno più contatto con loro. Le donne sono colpite più pesantemente degli uomini perché nella società sono loro a portare il maggior peso di responsabilità affettiva nei rapporti con i figli.

     
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  2. Sandokan1317
     
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    La mia idea sulla detenzione femminile è questa :
    Identiche pene carcerarie per uomini e donne
    Nessuno sconto dovuto ai bambini ( possono essere affidati ad istituti e affini- una madre non deve avere il bimbo in cella).
    Ho letto , e tutti questi sofismi in favore delle donne mi disgustano.
    Stesso reato stessa pena .
     
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  3. COSMOS1
     
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    il problema è a cosa serva la pena:

    1. funzione risarcitoria

    2. funzione rieducativa

    3. funzione deterrente

    4. funzione vendicativa/punitiva


    sappiamo tutti che stando in carcere i detenuti non risarciscono alcun danno, non vengono rieducati, anzi, ci sono anche forti dubbi sul fatto che dissuadano altri dal commettere gli stessi crimin, sicuramente è barbaro pensare di far soffrire chi ha commesso un reato per il puro gusto di farlo soffrire

    quindi il carcere non ha alcun senso

    eppure è difficile pensare alla nostra società senza carcere...
     
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  4. tonireve
     
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    CITAZIONE
    il carcere non ha alcun senso

    Non è vero, il senso ce l'ha eccome.
    Serve ad impedire la reiterazione del reato.
    Ovvero a mettere soggetti che hanno dimostrato di essere pericolosi per la società in condizione di non nuocere ulteriormente.
    Angelo Izzo, se non l' avessero tirato fuori, non avrebbe commesso altri omicidi.
    E la funzione di deterrente, chiaramente, la si ha nel momento in cui si ha la certezza della pena, non la certezza dell' assoluzione.
    La funzione del carcere, in teoria, dovrebbe essere quella di rendere non conveniente il commettere dei reati.
    Se non si verifica questa condizione, ovviamente, il carcere non serve a niente e la società diventa un far west dove vige solo la legge del più forte.
    Quella, secondo me, è vera barbarie, altro che il carcere.
     
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  5. silverback
     
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    CITAZIONE (tonireve @ 7/6/2008, 17:41)
    Angelo Izzo, se non l' avessero tirato fuori, non avrebbe commesso altri omicidi.

    Più che sicuro.
    CITAZIONE
    E la funzione di deterrente, chiaramente, la si ha nel momento in cui si ha la certezza della pena, non la certezza dell' assoluzione.

    Esatto.

    CITAZIONE
    Quella, secondo me, è vera barbarie, altro che il carcere.

    Non solo secondo te.
    Anche secondo me.
     
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  6. Teiwaz
     
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    Mamma mia, Cosmos, meno male che ti ho dato del "troppo tollerante". Ho sbagliato. Tu sei la reincarnazione del Cristo.
    Va beh, scherzi a parte.
    Secondo la Legge la funzione deve essere rieducativa.
    Per il reo e il potenziale reo è un deterrente.
    Per il popolo la funzione è in parte punitiva e in parte rassicurante. Ovvero la pena è rassicurante per la comunità: ci si tranquillizza quando si vede che i giudici condannano gli imputati. Tuttavia la Costituzione stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, quindi la sua funzione prima è quest'ultima e non invece il conforto della società. Peccato che il proposito della Costituzione sia, oltre che utopistico, anche moralistico piuttosto che utile.
    Secondo me, comunque, dovrebbe essere semplicemente risarcitoria.
     
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  7. bartali
     
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    CITAZIONE (COSMOS1 @ 7/6/2008, 17:32)
    eppure è difficile pensare alla nostra società senza carcere...

    E' difficile pensare una società civile in cui il figlicidio ad opera della madre sia non punibile.
    Significherebbe accettare il teorema che le madri son tutte buone in quanto madri: un'idiozia

    Potremmo fare la stessa cosa con i mariti: il marito che uccide la moglie perché gli ha fatto girare i coglioni potrebbe giustificarsi con un raptus, cosa che, evidentemente, non avviene.

    L'analogia si basa sul rapporto di forze e sullo stretto legame parentale.
     
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  8. bartali
     
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    CITAZIONE (Ritavi @ 6/6/2008, 22:41)
    Privare un bambino della figura materna, in quanto figlio di una detenuta, costituisce una violenza inaudita, che contraddice espressamente i contenuti della Convezione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, oltre a essere sul filo dell’incostituzionalità.

    Nessun dubbio sul fatto che una madre in procinto di scontare una pena possa essere una cattiva madre.
    Direi ai signor mammisti che hanno scritto questa splendida teoria: privare un bambino delle sue necessità materiali fornite da un padre che delinque è un modo per garantire uno sviluppo ottimale del bambino?

    Altro discorso: La moglie di Totò u curtu, la Bagarella, è una brava persona? Perché?
    E' bello far i "duri e puri" delegando a terzi gli oneri.

    Edited by bartali - 7/6/2008, 21:54
     
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  9. Sandokan1317
     
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    Mi ero accorto di questa cosa con il topic - poi chiuso - sui Rom e i trans...
    Animo buono Cosmos, peccato che il mondo , a mio avviso , sia diverso. Rispetto l'opinione di Cosmos, ma non sono del suo stesso parere.
     
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  10. Scienziato apocrifo
     
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    Interessante questo articolo.
    Io non escluderei a priori l'idea che le donne, essendo creature che necessitano una maggiore tutela, abbiano un trattamento carcerario particolare.
    Tutto sta a decidere su cosa s'intende per parità.
    Se le donne vogliono essere trattate come bambini, ben venga: "mogliettina mia, riordina la stanza e a letto senza cena"
     
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  11. bartali
     
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    CITAZIONE (Scienziato apocrifo @ 8/6/2008, 12:53)
    Tutto sta a decidere su cosa s'intende per parità.
    Se le donne vogliono essere trattate come bambini, ben venga: "mogliettina mia, riordina la stanza e a letto senza cena"

    "Decidere" è una parola grossa per i bambini :D
     
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  12. Sandokan1317
     
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    Mah, detenzione particolare per le donne...
    Assolutamente contrario.
    Stesso reato stessa pena per entrambi.
     
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    Lichtenstein .. o San Marino, che anche loro hanno il rappresentante all'ONU

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    http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc...+DOC+XML+V0//IT

    Proposta di risoluzione del Parlamento Europeo:

    sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare

    (2007/2116 (INI))

    Il Parlamento europeo,

    – visti gli articoli 6 e 7 del trattato UE e l'articolo 4 della nuova Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata il 12 dicembre 2007(1) riguardanti la protezione dei diritti dell'uomo,

    – vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in particolare l'articolo 5, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, in particolare l'articolo 7, la Convenzione europea del 1987 per la prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CPT) e il suo protocollo opzionale relativo alla creazione di un sistema di visite regolari sui luoghi di detenzione predisposto da organi internazionali e nazionali indipendenti(2),

    – visto l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, i relativi protocolli e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,

    – viste la succitata CPT, che ha creato il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d'Europa, nonché le relazioni di detto Comitato,

    – visto l'insieme delle norme minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti, del 1957, e le dichiarazioni e i principi in materia adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite,

    – vista la Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989,

    – vista la risoluzione (73)5 del Consiglio d'Europa sull'insieme delle norme minime per il trattamento dei detenuti, la raccomandazione R(87)3 sulle norme penitenziarie europee e la raccomandazione R(2006)2 sulle norme penitenziarie europee,

    – viste le raccomandazioni adottate dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, in particolare la raccomandazione R (2006)1747 relativa all'elaborazione di una carta penitenziaria europea nonché la raccomandazione R (2000)1469 sulle madri e i neonati in carcere,

    – vista la sua risoluzione del 26 maggio 1989 sulla situazione di donne e bambini in carcere(3),, la sua risoluzione del 18 gennaio 1996 sulle cattive condizioni di detenzione nelle carceri dell'Unione europea(4), la sua risoluzione del 17 dicembre 1998 sulle condizioni carcerarie nell'Unione europea: ristrutturazione e pene sostitutive(5), e la sua raccomandazione del 9 marzo 2004 destinata al Consiglio sui diritti dei detenuti nell'Unione europea(6),

    – visto l'articolo 45 del suo regolamento,

    – vista la relazione della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere (A6-0033/2008),

    A. considerando che in virtù delle convenzioni internazionali(7) ed europee ogni persona che viene incarcerata deve essere trattata nel rispetto dei diritti dell'uomo e che le condizioni di detenzione devono essere conformi ai principi di dignità della persona umana, di non discriminazione e di rispetto della vita privata e familiare e formare oggetto di una valutazione regolare da parte di organismi indipendenti,

    B. considerando che le esigenze e situazioni specifiche delle donne detenute devono essere prese in considerazione nelle decisioni giudiziarie, nelle legislazioni penali e dalle istituzioni penitenziarie degli Stati membri,

    C. considerando che l'incarcerazione delle donne rimanda alla loro posizione nella società in generale, in cui le donne si trovano imprigionate in un sistema concepito e diretto essenzialmente dagli uomini per gli uomini,

    D. considerando che occorre porre in essere misure concrete adeguate ai bisogni specifici delle donne, in particolare l'applicazione di pene alternative,

    E. considerando che le donne incinte in ambiente carcerario non possono ricevere il sostegno, le informazioni e gli elementi necessari per portare avanti adeguatamente la gravidanza e la maternità, segnatamente un'alimentazione equilibrata, condizioni sanitarie idonee, aria fresca, esercizio fisico e cure prenatali e postnatali;

    F. considerando che tutti i detenuti, uomini e donne, devono beneficiare di pari accesso alle cure sanitarie, ma che le politiche penitenziarie devono prestare particolare attenzione alla prevenzione, al controllo e al trattamento, a livello sia fisico che mentale, dei problemi di salute specifici delle donne,
    G. considerando che la salute fisica e mentale della madre va posta in relazione a quella del bambino,

    H. considerando che un gran numero di donne detenute soffrono o hanno sofferto della dipendenza dagli stupefacenti o da altre sostanze(8) suscettibili di essere all'origine di disturbi mentali e comportamentali che richiedono uno specifico trattamento medico e un sostegno sociale e psicologico appropriato nell'ambito di una politica penitenziaria della salute di carattere globale,

    I. considerando che oggi è nota l'elevata incidenza nell'anamnesi delle donne detenute di episodi di violenza, abusi sessuali, maltrattamenti familiari e di coppia, l'elevata dipendenza economica e psicologica delle donne detenute nonché il rapporto diretto di tali episodi con la loro fedina penale e la presenza di sequele fisiche e psicologiche quali lo stress post-traumatico,
    J. considerando che il personale penitenziario deve essere sufficientemente formato e sensibilizzato alla considerazione della dimensione della parità tra donne e uomini e alle specifiche esigenze e situazioni delle donne detenute; considerando che è auspicabile un'attenzione speciale per le più vulnerabili tra loro, ovvero le minorenni e le disabili,

    K. considerando che il mantenimento dei legami familiari è uno strumento essenziale di prevenzione della recidiva e di reinserimento sociale, oltre che un diritto per tutti i detenuti, i loro figli(9) e gli altri membri della famiglia, e che l'esercizio di tale diritto è spesso particolarmente complicato per le donne a causa della scarsità e dunque della possibile lontananza dei centri di detenzione femminile,

    L. considerando che l'interesse superiore del bambino deve essere sempre preso in considerazione nelle decisioni relative alla sua separazione o al suo mantenimento con il genitore incarcerato, ferma restando, comunque, l'opportunità di fare in modo che l'altro genitore interessato possa esercitare la sua autorità parentale, e di porre in essere le procedure atte a preservare i legami affettivi con l'ambiente familiare d'origine (fratelli e sorelle, nonni e altri membri della famiglia),

    M. considerando che firmando la succitata convenzione sui diritti del fanciullo, al pari di altri strumenti internazionali(10), le parti si sono impegnate ad assicurare a tutti i bambini, senza alcuna forma di discriminazione e indipendentemente dallo stato giuridico dei genitori, il godimento di tutti i diritti previsti dalla convenzione, in particolare il diritto a cure mediche appropriate, allo svago e all'istruzione, e che tale impegno deve altresì essere applicato per i figli che vivono assieme al loro genitore incarcerato,

    N. considerando che al di là della repressione di un atto illegale, il ruolo degli istituti penitenziari dovrebbe mirare altresì al reinserimento sociale e professionale, tenuto conto delle situazioni di esclusione sociale e di povertà che caratterizzano spesso il passato di numerosi detenuti sia uomini che donne(11) ,

    O. considerando che molte detenute sono implicate, al momento della loro incarcerazione, in procedure giudiziarie pendenti (procedura di abbandono, di accoglienza temporanea o di adozione di minori, divorzio o separazione, espulsione dal domicilio, ecc.) che le pongono in una situazione di vulnerabilità e in uno stato permanente di incertezza e di stress,
    P. considerando che le persone detenute spesso non sono a conoscenza delle risorse sociali disponibili e che, in molti casi, il fatto di non essere in possesso dei documenti amministrativi relativi alla loro situazione (carta d'identità, tesserino della sicurezza sociale, libretto di famiglia) perché li hanno perduti o perché sono scaduti, impedisce loro, nella pratica, di esercitare i diritti accordati ai cittadini di ciascuno Stato membro,

    Q. considerando che l'aumento del numero di donne detenute può essere attribuito in parte al degrado delle condizioni economiche delle donne,
    R. considerando che il pari accesso dei detenuti, uomini e donne, all'occupazione, alla formazione professionale e al tempo libero durante la detenzione è fondamentale per il loro equilibrio psicologico e il loro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro,

    S. considerando che non basta permettere ai detenuti, uomini e donne, di accedere alle offerte, per quanto variegate, in materia di istruzione, formazione, occupazione, tempo libero ed interventi personali, e che è necessario mettere a punto programmi di accompagnamento che facilitino la loro partecipazione alla preparazione e allo svolgimento del loro percorso di reinserimento,

    T. considerando che le donne detenute devono poter accedere senza discriminazione alcuna a un'occupazione retribuita e al volontariato, nonché a misure di formazione professionale e civica diversificate atte a favorire il loro reinserimento dopo l'espiazione della pena e adatte alle esigenze del mercato del lavoro,
    U. considerando che il successo del reinserimento sociale dei detenuti e delle detenute nonché la prevenzione della recidiva si basano sulla qualità dell'inquadramento fornito durante la detenzione, in particolare attraverso partenariati instaurati con imprese e organismi di assistenza sociale, nonché sul monitoraggio e l'assistenza socioprofessionale, offerti dopo l'espiazione della pena,

    V. considerando che esiste un bisogno manifesto di dati e di statistiche ripartite per genere, globali, chiare e aggiornate,

    Condizioni di detenzione

    1. incoraggia gli Stati membri a investire risorse sufficienti a favore dell'ammodernamento e dell'adeguamento delle rispettive infrastrutture penitenziarie per dare attuazione alla succitata raccomandazione R(2006)2 del Consiglio d'Europa onde assicurare condizioni di detenzione rispettose della dignità umana e dei diritti fondamentali, in particolare in materia di alloggio, sanità, igiene, alimentazione, aerazione e luce;

    2. ribadisce la sua richiesta alla Commissione e al Consiglio affinché adottino, sulla base dell'articolo 6 del trattato UE, una decisione quadro sulle norme minime di protezione dei diritti dei detenuti, conformemente a quanto raccomandato dal Consiglio d'Europa nella sua succitata raccomandazione R (2006)2 ed invita il Consiglio a diffondere e promuovere l'applicazione delle regole penitenziarie del Consiglio d'Europa ai fini di una maggiore armonizzazione delle condizioni di detenzione in Europa, in particolare per quanto attiene al rispetto dei bisogni specifici delle donne, nonché la chiara affermazione dei diritti e degli obblighi dei detenuti e delle detenute;

    3. invita la Commissione a includere nella sua relazione annuale sui diritti dell'uomo una valutazione del rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti e delle detenute nonché delle condizioni speciali di detenzione previste per le donne;

    4. esorta gli Stati membri e i paesi candidati all'adesione a ratificare il protocollo opzionale alla CPT che stabilisce un sistema di controllo indipendente dei luoghi di detenzione, e invita il Consiglio e la Commissione a promuovere la ratifica di tale convenzione e del suo protocollo nell'ambito della politica estera dell'Unione europea;

    5. ricorda che la conformità della gestione dei centri di detenzione con le norme giuridiche nazionali e internazionali dovrebbe essere stabilita mediante ispezioni regolari da parte delle autorità competenti;

    6. invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per garantire l'ordine negli istituti penitenziari nonché la sicurezza del personale e di tutti i detenuti, mettendo fine alle situazioni di violenza e di abuso cui sono particolarmente esposte le donne e le persone appartenenti a minoranze etniche o sociali;

    7. ricorda la "specificità" delle prigioni femminili ed insiste sull'introduzione di strutture di sicurezza e di reinserimento concepite per le donne;
    8. invita gli Stati membri a integrare la dimensione della parità tra uomini e donne nella rispettiva politica penitenziaria e nei rispettivi centri di detenzione nonché a tenere maggiormente presenti le specificità femminili e il passato spesso traumatizzante delle donne detenute, soprattutto attraverso la sensibilizzazione e la formazione appropriata del personale medico e carcerario e la rieducazione delle donne ai valori fondamentali:

    a) integrando la dimensione di genere nella raccolta dei dati in tutti i settori in cui è possibile, al fine di evidenziare i problemi e i bisogni delle donne;

    b) creando, in ciascuno Stato, una commissione d'inchiesta e sistemi di mediazione permenente per una sorveglianza effettiva delle condizioni di detenzione, al fine di individuare e correggere i fattori di discriminazione che continuano a colpire le donne nel sistema carcerario;
    c) sollevando la questione dei bisogni delle donne detenute nel quadro dei dibattiti locali, regionali e nazionali, al fine di incoraggiare l'adozione di misure positive relative alle risorse sociali, alle condizioni di alloggio, alla formazione, ecc.;
    9. invita gli Stati membri a garantire un accesso uguale e non discriminatorio per le donne alle cure mediche di qualsiasi tipo, che devono essere di qualità equivalente a quelle dispensate al resto della popolazione, per prevenire e trattare efficacemente le malattie specificamente femminili(12);

    10. ricorda la necessità di adottare misure a favore di una migliore presa in considerazione delle specifiche esigenze delle donne detenute in materia d'igiene in relazione alle infrastrutture penitenziarie e alle dotazioni igieniche necessarie;
    11. invita gli Stati membri ad adottare una politica penitenziaria della salute di natura globale che identifichi e curi sin dall'incarcerazione le turbe fisiche e mentali, nonché a fornire assistenza medica e psicologica a tutti i detenuti, uomini e donne, che soffrono di dipendenze, rispettando nel contempo le specificità femminili;
    12. invita gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie al fine di fornire un sostegno psicologico a tutte le donne detenute, in particolare a quelle che allevano da sole i propri figli e alle minorenni delinquenti, con l'obiettivo di accordare loro una migliore protezione e di migliorare le loro relazioni familiari e sociali e, pertanto, le loro possibilità di reinserimento; raccomanda di formare e sensibilizzare il personale penitenziario alla particolare vulnerabilità di queste detenute;

    13. raccomanda che la detenzione delle donne incinte e delle madri che accudiscono figli in tenera età sia prevista solo in ultima istanza e che, in questo caso estremo, queste ultime possano ottenere una cella più spaziosa, possibilmente individuale, e si vedano accordata particolare attenzione soprattutto per quanto riguarda l'alimentazione e l'igiene; considera inoltre che le donne incinte debbano poter beneficiare di controlli prenatali e postnatali di qualità nonché di corsi di educazione parentale di qualità equivalente a quelli offerti fuori dall'ambiente penitenziario;

    14. sottolinea che nei casi in cui il parto in prigione si è svolto normalmente il bambino è generalmente sottratto alla madre entro le 24/72 ore successive alla nascita, ed invita la Commissione e gli Stati membri a prevedere altre soluzioni;

    15. sottolinea la necessità che il sistema giudiziario vigili sul rispetto dei diritti del bambino in sede di esame delle questioni connesse alla detenzione della madre;

    Mantenimento di legami familiari e relazioni sociali

    16. raccomanda che pene sostitutive della detenzione siano comminate in misura maggiore, come le alternative sociali, segnatamente per le madri, allorché la sanzione prevista e il rischio per la sicurezza pubblica risultano scarsi, nella misura in cui la loro detenzione può determinare gravi perturbazioni nella vita familiare, soprattutto quando esse sono a capo di famiglie monoparentali o hanno figli in tenera età o si trovano a carico persone non autosufficienti o disabili; ricorda che le autorità giudiziarie dovrebbero tener conto di tali elementi nella scelta della pena, in particolare per tutelare l'interesse superiore del bambino del genitore perseguito; raccomanda altresì di prevedere la possibilità di far beneficiare i detenuti uomini con a carico figli minori o che assolvono ad altre responsabilità familiari, di misure analoghe a quelle previste per le madri;

    17. sottolinea che le ripercussioni dell'isolamento e del disagio sulla salute delle detenute incinte possono avere conseguenze nefaste o pericolose per il bambino, e delle quali occorre tener conto molto seriamente al momento di decidere in merito alla detenzione;

    18. insiste altresì sulla necessità che l'amministrazione giudiziaria si informi circa l'esistenza di bambini prima di decidere in merito ad una detenzione preventiva, o al momento della condanna, e che si accerti che siano state prese misure per salvaguardare l'integralità dei loro diritti;

    19. invita gli Stati membri ad aumentare il numero dei centri di detenzione femminili e a ripartirli meglio sul loro territorio in modo da facilitare il mantenimento dei legami familiari e di amicizia delle donne detenute, nonché a dar loro la possibilità di partecipare a cerimonie religiose;

    20. raccomanda agli Stati membri di incoraggiare le istituzioni penitenziarie ad adottare norme elastiche per quanto concerne le modalità, la frequenza, la durata e gli orari delle visite che dovrebbero essere permesse ai membri della famiglia, agli amici e a terzi;

    21. invita gli Stati membri a facilitare il ravvicinamento familiare e in particolare le relazioni dei genitori incarcerati con i loro figli, a meno che ciò sia in contrasto con l'interesse del bambino, predisponendo strutture di accoglienza la cui atmosfera sia diversa da quella dell'universo carcerario e permettano attività comuni e un contatto affettivo adeguato;

    22. esorta gli Stati membri a conformarsi ai rispettivi obblighi internazionali(13) assicurando la parità dei diritti e di trattamento dei figli che vivono con il genitore detenuto, nonché a creare condizioni di vita adatte alle loro esigenze in unità totalmente indipendenti e quanto più lontane dall'ambiente carcerario ordinario, permettendo loro di inserirsi nei sistemi di custodia o negli istituti scolastici tradizionali e prevedendo un regime ampio e flessibile di uscite in compagnia di membri della famiglia o del personale di associazioni per la protezione dell'infanzia, suscettibili di favorirne il corretto sviluppo fisico, mentale, morale e sociale, e prevedendo infrastrutture adeguate nonché personale qualificato, capace di assistere le madri detenute nelle loro responsabilità educative e di assistenza; raccomanda altresì, nel caso di figli minori in prigione, di facilitare l'esercizio dell'autorità parentale all'altro genitore interessato;

    23. constata con rammarico che un gran numero di donne detenute sono madri nubili e che perdono il contatto con i loro figli, talvolta in via definitiva; chiede alla Commissione e agli Stati membri di definire e di porre in essere politiche alternative al fine di evitare la separazione totale;

    24. invita con fermezza gli Stati membri a fornire a tutti i detenuti un aiuto giuridico gratuito incentrato sulle questioni penitenziarie e, nel caso delle donne detenute, specializzato in diritto della famiglia, onde poter rispondere alle questioni relative all'accoglienza, all'adozione, alla separazione, all

    http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc...+DOC+XML+V0//IT

    Proposta di risoluzione del Parlamento Europeo:

    sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare

    (2007/2116 (INI))

    Il Parlamento europeo,

    – visti gli articoli 6 e 7 del trattato UE e l'articolo 4 della nuova Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata il 12 dicembre 2007(1) riguardanti la protezione dei diritti dell'uomo,

    – vista la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in particolare l'articolo 5, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, in particolare l'articolo 7, la Convenzione europea del 1987 per la prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CPT) e il suo protocollo opzionale relativo alla creazione di un sistema di visite regolari sui luoghi di detenzione predisposto da organi internazionali e nazionali indipendenti(2),

    – visto l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, i relativi protocolli e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,

    – viste la succitata CPT, che ha creato il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d'Europa, nonché le relazioni di detto Comitato,

    – visto l'insieme delle norme minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti, del 1957, e le dichiarazioni e i principi in materia adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite,

    – vista la Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989,

    – vista la risoluzione (73)5 del Consiglio d'Europa sull'insieme delle norme minime per il trattamento dei detenuti, la raccomandazione R(87)3 sulle norme penitenziarie europee e la raccomandazione R(2006)2 sulle norme penitenziarie europee,

    – viste le raccomandazioni adottate dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, in particolare la raccomandazione R (2006)1747 relativa all'elaborazione di una carta penitenziaria europea nonché la raccomandazione R (2000)1469 sulle madri e i neonati in carcere,

    – vista la sua risoluzione del 26 maggio 1989 sulla situazione di donne e bambini in carcere(3),, la sua risoluzione del 18 gennaio 1996 sulle cattive condizioni di detenzione nelle carceri dell'Unione europea(4), la sua risoluzione del 17 dicembre 1998 sulle condizioni carcerarie nell'Unione europea: ristrutturazione e pene sostitutive(5), e la sua raccomandazione del 9 marzo 2004 destinata al Consiglio sui diritti dei detenuti nell'Unione europea(6),

    – visto l'articolo 45 del suo regolamento,

    – vista la relazione della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere (A6-0033/2008),

    A. considerando che in virtù delle convenzioni internazionali(7) ed europee ogni persona che viene incarcerata deve essere trattata nel rispetto dei diritti dell'uomo e che le condizioni di detenzione devono essere conformi ai principi di dignità della persona umana, di non discriminazione e di rispetto della vita privata e familiare e formare oggetto di una valutazione regolare da parte di organismi indipendenti,

    B. considerando che le esigenze e situazioni specifiche delle donne detenute devono essere prese in considerazione nelle decisioni giudiziarie, nelle legislazioni penali e dalle istituzioni penitenziarie degli Stati membri,

    C. considerando che l'incarcerazione delle donne rimanda alla loro posizione nella società in generale, in cui le donne si trovano imprigionate in un sistema concepito e diretto essenzialmente dagli uomini per gli uomini,

    D. considerando che occorre porre in essere misure concrete adeguate ai bisogni specifici delle donne, in particolare l'applicazione di pene alternative,

    E. considerando che le donne incinte in ambiente carcerario non possono ricevere il sostegno, le informazioni e gli elementi necessari per portare avanti adeguatamente la gravidanza e la maternità, segnatamente un'alimentazione equilibrata, condizioni sanitarie idonee, aria fresca, esercizio fisico e cure prenatali e postnatali;

    F. considerando che tutti i detenuti, uomini e donne, devono beneficiare di pari accesso alle cure sanitarie, ma che le politiche penitenziarie devono prestare particolare attenzione alla prevenzione, al controllo e al trattamento, a livello sia fisico che mentale, dei problemi di salute specifici delle donne,
    G. considerando che la salute fisica e mentale della madre va posta in relazione a quella del bambino,

    H. considerando che un gran numero di donne detenute soffrono o hanno sofferto della dipendenza dagli stupefacenti o da altre sostanze(8) suscettibili di essere all'origine di disturbi mentali e comportamentali che richiedono uno specifico trattamento medico e un sostegno sociale e psicologico appropriato nell'ambito di una politica penitenziaria della salute di carattere globale,

    I. considerando che oggi è nota l'elevata incidenza nell'anamnesi delle donne detenute di episodi di violenza, abusi sessuali, maltrattamenti familiari e di coppia, l'elevata dipendenza economica e psicologica delle donne detenute nonché il rapporto diretto di tali episodi con la loro fedina penale e la presenza di sequele fisiche e psicologiche quali lo stress post-traumatico,
    J. considerando che il personale penitenziario deve essere sufficientemente formato e sensibilizzato alla considerazione della dimensione della parità tra donne e uomini e alle specifiche esigenze e situazioni delle donne detenute; considerando che è auspicabile un'attenzione speciale per le più vulnerabili tra loro, ovvero le minorenni e le disabili,

    K. considerando che il mantenimento dei legami familiari è uno strumento essenziale di prevenzione della recidiva e di reinserimento sociale, oltre che un diritto per tutti i detenuti, i loro figli(9) e gli altri membri della famiglia, e che l'esercizio di tale diritto è spesso particolarmente complicato per le donne a causa della scarsità e dunque della possibile lontananza dei centri di detenzione femminile,

    L. considerando che l'interesse superiore del bambino deve essere sempre preso in considerazione nelle decisioni relative alla sua separazione o al suo mantenimento con il genitore incarcerato, ferma restando, comunque, l'opportunità di fare in modo che l'altro genitore interessato possa esercitare la sua autorità parentale, e di porre in essere le procedure atte a preservare i legami affettivi con l'ambiente familiare d'origine (fratelli e sorelle, nonni e altri membri della famiglia),

    M. considerando che firmando la succitata convenzione sui diritti del fanciullo, al pari di altri strumenti internazionali(10), le parti si sono impegnate ad assicurare a tutti i bambini, senza alcuna forma di discriminazione e indipendentemente dallo stato giuridico dei genitori, il godimento di tutti i diritti previsti dalla convenzione, in particolare il diritto a cure mediche appropriate, allo svago e all'istruzione, e che tale impegno deve altresì essere applicato per i figli che vivono assieme al loro genitore incarcerato,

    N. considerando che al di là della repressione di un atto illegale, il ruolo degli istituti penitenziari dovrebbe mirare altresì al reinserimento sociale e professionale, tenuto conto delle situazioni di esclusione sociale e di povertà che caratterizzano spesso il passato di numerosi detenuti sia uomini che donne(11) ,

    O. considerando che molte detenute sono implicate, al momento della loro incarcerazione, in procedure giudiziarie pendenti (procedura di abbandono, di accoglienza temporanea o di adozione di minori, divorzio o separazione, espulsione dal domicilio, ecc.) che le pongono in una situazione di vulnerabilità e in uno stato permanente di incertezza e di stress,
    P. considerando che le persone detenute spesso non sono a conoscenza delle risorse sociali disponibili e che, in molti casi, il fatto di non essere in possesso dei documenti amministrativi relativi alla loro situazione (carta d'identità, tesserino della sicurezza sociale, libretto di famiglia) perché li hanno perduti o perché sono scaduti, impedisce loro, nella pratica, di esercitare i diritti accordati ai cittadini di ciascuno Stato membro,

    Q. considerando che l'aumento del numero di donne detenute può essere attribuito in parte al degrado delle condizioni economiche delle donne,
    R. considerando che il pari accesso dei detenuti, uomini e donne, all'occupazione, alla formazione professionale e al tempo libero durante la detenzione è fondamentale per il loro equilibrio psicologico e il loro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro,

    S. considerando che non basta permettere ai detenuti, uomini e donne, di accedere alle offerte, per quanto variegate, in materia di istruzione, formazione, occupazione, tempo libero ed interventi personali, e che è necessario mettere a punto programmi di accompagnamento che facilitino la loro partecipazione alla preparazione e allo svolgimento del loro percorso di reinserimento,

    T. considerando che le donne detenute devono poter accedere senza discriminazione alcuna a un'occupazione retribuita e al volontariato, nonché a misure di formazione professionale e civica diversificate atte a favorire il loro reinserimento dopo l'espiazione della pena e adatte alle esigenze del mercato del lavoro,
    U. considerando che il successo del reinserimento sociale dei detenuti e delle detenute nonché la prevenzione della recidiva si basano sulla qualità dell'inquadramento fornito durante la detenzione, in particolare attraverso partenariati instaurati con imprese e organismi di assistenza sociale, nonché sul monitoraggio e l'assistenza socioprofessionale, offerti dopo l'espiazione della pena,

    V. considerando che esiste un bisogno manifesto di dati e di statistiche ripartite per genere, globali, chiare e aggiornate,

    Condizioni di detenzione

    1. incoraggia gli Stati membri a investire risorse sufficienti a favore dell'ammodernamento e dell'adeguamento delle rispettive infrastrutture penitenziarie per dare attuazione alla succitata raccomandazione R(2006)2 del Consiglio d'Europa onde assicurare condizioni di detenzione rispettose della dignità umana e dei diritti fondamentali, in particolare in materia di alloggio, sanità, igiene, alimentazione, aerazione e luce;

    2. ribadisce la sua richiesta alla Commissione e al Consiglio affinché adottino, sulla base dell'articolo 6 del trattato UE, una decisione quadro sulle norme minime di protezione dei diritti dei detenuti, conformemente a quanto raccomandato dal Consiglio d'Europa nella sua succitata raccomandazione R (2006)2 ed invita il Consiglio a diffondere e promuovere l'applicazione delle regole penitenziarie del Consiglio d'Europa ai fini di una maggiore armonizzazione delle condizioni di detenzione in Europa, in particolare per quanto attiene al rispetto dei bisogni specifici delle donne, nonché la chiara affermazione dei diritti e degli obblighi dei detenuti e delle detenute;

    3. invita la Commissione a includere nella sua relazione annuale sui diritti dell'uomo una valutazione del rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti e delle detenute nonché delle condizioni speciali di detenzione previste per le donne;

    4. esorta gli Stati membri e i paesi candidati all'adesione a ratificare il protocollo opzionale alla CPT che stabilisce un sistema di controllo indipendente dei luoghi di detenzione, e invita il Consiglio e la Commissione a promuovere la ratifica di tale convenzione e del suo protocollo nell'ambito della politica estera dell'Unione europea;

    5. ricorda che la conformità della gestione dei centri di detenzione con le norme giuridiche nazionali e internazionali dovrebbe essere stabilita mediante ispezioni regolari da parte delle autorità competenti;

    6. invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per garantire l'ordine negli istituti penitenziari nonché la sicurezza del personale e di tutti i detenuti, mettendo fine alle situazioni di violenza e di abuso cui sono particolarmente esposte le donne e le persone appartenenti a minoranze etniche o sociali;

    7. ricorda la "specificità" delle prigioni femminili ed insiste sull'introduzione di strutture di sicurezza e di reinserimento concepite per le donne;
    8. invita gli Stati membri a integrare la dimensione della parità tra uomini e donne nella rispettiva politica penitenziaria e nei rispettivi centri di detenzione nonché a tenere maggiormente presenti le specificità femminili e il passato spesso traumatizzante delle donne detenute, soprattutto attraverso la sensibilizzazione e la formazione appropriata del personale medico e carcerario e la rieducazione delle donne ai valori fondamentali:

    a) integrando la dimensione di genere nella raccolta dei dati in tutti i settori in cui è possibile, al fine di evidenziare i problemi e i bisogni delle donne;

    b) creando, in ciascuno Stato, una commissione d'inchiesta e sistemi di mediazione permenente per una sorveglianza effettiva delle condizioni di detenzione, al fine di individuare e correggere i fattori di discriminazione che continuano a colpire le donne nel sistema carcerario;
    c) sollevando la questione dei bisogni delle donne detenute nel quadro dei dibattiti locali, regionali e nazionali, al fine di incoraggiare l'adozione di misure positive relative alle risorse sociali, alle condizioni di alloggio, alla formazione, ecc.;
    9. invita gli Stati membri a garantire un accesso uguale e non discriminatorio per le donne alle cure mediche di qualsiasi tipo, che devono essere di qualità equivalente a quelle dispensate al resto della popolazione, per prevenire e trattare efficacemente le malattie specificamente femminili(12);

    10. ricorda la necessità di adottare misure a favore di una migliore presa in considerazione delle specifiche esigenze delle donne detenute in materia d'igiene in relazione alle infrastrutture penitenziarie e alle dotazioni igieniche necessarie;
    11. invita gli Stati membri ad adottare una politica penitenziaria della salute di natura globale che identifichi e curi sin dall'incarcerazione le turbe fisiche e mentali, nonché a fornire assistenza medica e psicologica a tutti i detenuti, uomini e donne, che soffrono di dipendenze, rispettando nel contempo le specificità femminili;
    12. invita gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie al fine di fornire un sostegno psicologico a tutte le donne detenute, in particolare a quelle che allevano da sole i propri figli e alle minorenni delinquenti, con l'obiettivo di accordare loro una migliore protezione e di migliorare le loro relazioni familiari e sociali e, pertanto, le loro possibilità di reinserimento; raccomanda di formare e sensibilizzare il personale penitenziario alla particolare vulnerabilità di queste detenute;

    13. raccomanda che la detenzione delle donne incinte e delle madri che accudiscono figli in tenera età sia prevista solo in ultima istanza e che, in questo caso estremo, queste ultime possano ottenere una cella più spaziosa, possibilmente individuale, e si vedano accordata particolare attenzione soprattutto per quanto riguarda l'alimentazione e l'igiene; considera inoltre che le donne incinte debbano poter beneficiare di controlli prenatali e postnatali di qualità nonché di corsi di educazione parentale di qualità equivalente a quelli offerti fuori dall'ambiente penitenziario;

    14. sottolinea che nei casi in cui il parto in prigione si è svolto normalmente il bambino è generalmente sottratto alla madre entro le 24/72 ore successive alla nascita, ed invita la Commissione e gli Stati membri a prevedere altre soluzioni;

    15. sottolinea la necessità che il sistema giudiziario vigili sul rispetto dei diritti del bambino in sede di esame delle questioni connesse alla detenzione della madre;

    Mantenimento di legami familiari e relazioni sociali

    16. raccomanda che pene sostitutive della detenzione siano comminate in misura maggiore, come le alternative sociali, segnatamente per le madri, allorché la sanzione prevista e il rischio per la sicurezza pubblica risultano scarsi,

    Ho evidenziato solo i punti in cui si prendevano in considerazione le esigenze delle detenute in quanto "donne" tralasciando quelli in cui si prendevano le esigenze delle detenute in quanto madri.
     
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    Lichtenstein .. o San Marino, che anche loro hanno il rappresentante all'ONU

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    Prefazione Adriano Sofri per “Lisistrata Incatenata”

    Il paradosso di partenza della nostra questione è presto detto. Il corpo delle donne sembra fatto apposta per la prigione. Sembra così, voglio dire, agli uomini maschi. Il corpo delle donne deve essere castigato per il solo fatto di esistere, prima e a prescindere da qualunque trasgressione. Pensateci: si dice proprio così. Avere un abbigliamento castigato, uno sguardo castigato, un comportamento castigato. Castigato e femminile sono pressoché sinonimi –o lo erano, ma la partita è tutt’altro che chiusa. Sicchè la reclusione corporale è un destino arcaico e sempre riaggiornato delle donne: nella parte più interna della casa, o perfino dentro un abito che le infagotti, ne cancelli la forma, le sottragga alla vista altrui e le renda semicieche, invisibili e non vedenti. Il burka, prigione portabile, è una combinazione antica e modernissima di detenzione domiciliare e di traduzione penitenziaria. Il burka meglio del chador, grazie alla grata davanti agli occhi, corrispondente scrupoloso della grata della cella carceraria o della clausura monastica; benchè il chador nella sua versione khomeinista più ortodossa gli faccia concorrenza con il suo lugubre nero d’ordinanza. Infatti la prigione portatile dell’uniforme femminile è già un’anticipazione di sudario. Dunque, il corpo delle donne sembra fatto per essere chiuso, recluso, domato e sepolto, prima vivo poi morto; e sempre messo a disposizione del suo padrone o dell’interposto guardiano: senza reato, senza colpa nè condanna, salve quelle che la cultura patriarcale ha sempre sospettato e temuto e invidiato nella natura femminile. E all’altro capo, le donne non commettono reati, se non in misura e virulenza irrisoria. Siamo ancora, nel 2008, con tutti i ministeri per le pari opportunità, nemmeno al 5 per cento di quota femminile sul totale dei delitti. Così la reclusione specificamente carceraria delle donne, benchè nutrita dalla povera schiera di nuove arrivate dal mondo secondo e terzo e quarto, e nonostante il modello Usa annunci formidabili progressi, resta mediamente in tutta Europa un’appendice minuscola della criminalità, che è prerogativa maschile. Nemmeno il Parlamento italiano, che ancora oggi si è premurato di restare al di sotto della quota del 25 per cento di donne che l’Unione Europea aveva fissato come il minimo della decenza, si sogna di emulare l’irrilevanza della percentuale a delinquere delle donne. Si sa che questa marginalità si traduce nel fatto che non esistono, se non in misura minima e trascurata, carceri specificamente femminili, e invece sezioni femminili annesse a carceri maschili, dove tutto, dai muri alle mentalità, è pensato per cancellare la femminilità.
    Negli ultimi tempi qualche cortina di fumo è stata levata a offuscare la fastidiosa verità di questa più colossale manifestazione della differenza fra uomini e donne. La principale, non occorre dirlo, è il clamore attorno alle “madri assassine”, cavallo di battaglia della morbosità mediatica e della destituzione dell’immagine nonviolenta della donna a partire dal suo tabù stereotipo, l’abnegazione materna. Sufficienti a riempire un triste edificio specializzato a Castiglione delle Stiviere, infanticidio e figlicidio non bastano comunque a intaccare la sostanza della questione, che è la sproporzione nel delitto fra donne e uomini. Più esattamente, la crescita esponenziale dei delitti di uomini contro donne. Sapete: l’omicidio del coniuge si chiama uxoricidio, che alla lettera vuol dire uccisione della moglie, come se fosse inteso dall’origine che è quella la cosa normale, e che il reciproco non può che essere scandalosamente straordinario. Dite la verità: di fronte a un trafiletto che intitoli “Donna uccide il marito...” vi stropicciate gli occhi e tornate a leggere, più che di fronte alla proverbiale antinotizia “Uomo morde cane”. Mi dispiace di non avere il dato esatto, ma la percentuale di uomini assassini di donne sul totale dei detenuti per omicidio è ormai rilevantissima, e si è dovuto coniare il tutto nuovo termine di femminicidio, mentre le donne che nel loro piccolo si sono impegnate a rendere la pariglia sono rarissime, e da estrarre dalla neutra categoria di “vedove”.
    Questo significa che la gran parte di donne associate alle maschilissime galere ci arrivano avendo già sperimentato di persona in varia dose la violenza maschile e sociale. (“Nella maggior parte dei casi le donne arrivano in prigione distrutte da anni, se non da una vita intera, di abusi psichici e sessuali da parte degli uomini”. Così Jane Evelyn Atwood, che ha lavorato per anni a fotografare donne detenute). Perfino uno degli aspetti più apprezzabili della trasformazione che nonostante tutto investe il sistema penale, cioè la moltiplicazione di dirigenti, e particolarmente di direttrici di carcere, donne, fa sentire i suoi effetti benefici –dove sono benefici- soprattutto sulle carceri maschili.

    Il carcere è, per chiunque vi caschi dentro, un luogo di panico. Ci si sente in balia d’altri, come nel più oscuro dei sequestri. Non importa che qui si tratti dello Stato, e non di banditi privati e mascherati. In qualsiasi momento lo Stato, o l’agguato di qualcun altro, può arrivare in maschera ad afferrarvi nel vostro sonno angosciato, a spogliarvi, pestarvi, trascinarvi, violentarvi. Questo essere nudi corpi senza diritti e senza difesa in balia d’altri è una condizione peculiare per le donne, per le quali è già nella esistenza libera una minaccia incombente, nelle strade notturne senza illuminazione o tra le pareti di casa. Angela Davis, la militante nera che aveva fatto tesoro della sua personale detenzione per occuparsi del carcere degli altri, raccontava il contenuto di interviste con detenute. “Molte delle donne intervistate ci hanno raccontato una storia... Di sera, prima di andare a dormire e prima che le luci vengano spente, le donne nel dormitorio sono animate. Siedono sui loro letti - non è permesso loro di sedere sul letto di un’altra. Parlano, conversano, sono completamente sveglie, quando improvvisamente gli sfiatatoi iniziano a funzionare. Nel giro di pochi minuti tutte le donne cadono in un sonno profondo. E quando dormono un gruppo di operatori sanitari arriva, sposta i corpi che dormono sui lettini a rotelle e li trasporta in un laboratorio. Là vengono condotti esperimenti sui loro corpi. Poi vengono riportate indietro e rimesse nei loro letti. Si svegliano e non hanno nessun ricordo di ciò che è accaduto. Alcune delle donne hanno raccontato questa storia come se fosse realmente avvenuta. Con parole loro direbbero: ‘Gli sfiatatoi hanno iniziato a funzionare la scorsa notte, c'era qualcosa negli sfiatatoi che ci ha messo fuori gioco, poi sono venuti e ci hanno fatto questo’. Altre hanno fatto racconti come se fosse la trama di un film, alcune hanno detto: ‘E se questo dovesse accadere?’ ‘E se, quando gli sfiatatoi si accendono e andiamo a dormire, è questo che avviene?’ .”

    Le donne detenute dunque sono troppo poche, e troppo poco criminali, perchè si dedichi loro un’attenzione appropriata. Nel caso della galera, la prima e più fatale di tutte le differenze, quella di sesso, viene più sottovalutata e trascurata che altrove; eppure molto più che altrove si fa sentire. Ho detto che la gran maggioranza delle donne detenute ci arrivano avendo saggiato da vittime la violenza maschile e sociale: è così per le tossicodipendenti, per le donne che si sono prostituite, per le straniere che sono state impiegate a trasportare droga nella pancia o a battere le strade, o, nel caso delle giovani rom, a mendicare o rubare. In un numero elevato di casi (i tre quarti, secondo alcune statistiche europee) le donne detenute hanno almeno un figlio, e questo basta a rendere il loro carcere incomparabile con quello maschile, perchè la distanza e la separazione obbligata delle donne dai figli –tanto più dai figli restati in un altro continente- è ben altrimenti dolorosa che quella dei padri. Nel caso, peculiarmente tragico, di donne detenute con figli piccolissimi detenuti con loro –che continuano a essere alcune decine, nonostanti le buone intenzioni di legislatrici e volontari- non si può dire se sia più tremenda la vita in gabbia di quell’infanzia o la sua interruzione quando l’età imponga di separarla dalla madre.
    Torniamo un momento a quel bel concetto spagnolo, per così dire –in Italia è roba da ridere- delle Pari Opportunità. C’è qualcuno che auspichi francamente che anche in questo campo la parità fra donne e uomini sia presto raggiunta, magari istituendo per obbligo di legge una quota rosa negli omicidi, nelle rapine, nella grande criminalità organizzata? (In un certo senso, si tratta di un segnale di ritardo: le donne sono tenute al margine di tutte le carriere e della stessa carriera criminale.
    Inoltre il maschilismo può mutarsi in paternalismo nel valutare i comportamenti femminili. E' tipico che nei manicomi, con qualunque eufemismo si vogliano chiamare, la presenza femminile sia stata molto maggiore. Quando le donne ci dispiacciono, le dichiariamo pazze. Del resto, veri “progressi” criminali li hanno fatti le donne di mafia, e non solo nella matriarcale Calabria, come documentano da anni le studiose dell’Università cosentina). Oso sperare di no, e che almeno in questo ambito di competenze (ma non solo) a una parità si tenda piuttosto dall’altro lato, con una riduzione progressiva dei farabutti maschi e non con una promozione del bullismo femminile. Ma allora, anche solo a partire dal riconoscimento di questa ovvietà, bisognerebbe ammettere che, fatta eccezione per quella davvero minima quota di donne criminali di rango, la galera femminile vada sic et simpliciter abolita. Non ce n’è bisogno, di galera femminile. Anzi, c’è bisogno che non esista. Questa è la vera ricetta che un medico coscienzioso deve compilare, subito dopo aver auscultato respiri e sospiri e rantoli delle sezioni femminili delle nostre belle prigioni. Questo è il succo della questione sanitaria. Siccome niente di quello che è ragionevole e morale è destinato a essere riconosciuto e tanto meno realizzato, allora si potrà simulare di occuparsi “realisticamente” della questione sanitaria. Ho appena scritto, qui sopra, “un medico”: per fortuna anche le galere si sono popolate di medici donne, che è un gran cambiamento. Non siamo ancora alle specialiste in disturbi urologici maschili, che prima o poi, fuori e dentro, dovranno saldare il conto con secoli di ostetriche donne e ginecologi maschi. Ma mi chiedo come il medico penitenziario o di asl o misto possa regolarsi di fronte alla tranquilla domanda di una detenuta alle sue compagne: “Non vi è capitato che al primo anno di carcerazione vi si è bloccato il ciclo mestruale?” (La traggo, la domanda, da quel prezioso giacimento di notizie e pensieri che è l’archivio di “Ristretti orizzonti” e del lavoro svolto fra volontarie e detenute alla Giudecca di Venezia. Segnalo in particolare il volume “Donne in sospeso”, testimonianze di detenute della Giudecca, con prefazioni di Franca Ciampi e Simona Vinci). E, se al fondo della brutalità e dell’ottusità penitenziaria, della tradizione millenaria della segregazione e dello schiacciamento dei corpi (come nella tortura) sta la demolizione e la mortificazione della sessualità, bisogna riconoscere che fra la cella maschile e quella femminile c’è una misura di simmetria, ma soprattutto una asimmetria e una differenza. Uomini che si lasciano andare o “si sfondano di flessioni e di seghe”; donne che si lasciano andare o si truccano e si pettinano. Sono corpi, mutilati, umiliati, tenuti al morso, ma nel carcere maschile si tormenta il corpo di fuori, nella sezione femminile il corpo di dentro: l’intimità, la maternità, o il suo rifiuto, e comunque una trasformazione puntata verso il dentro piuttosto che verso l’esterno. C’è una parentela, fra detenuti e detenute, ma più ancora una distanza. Scrivono lettere, si scrivono lettere infiammate, si danno appuntamento per domani. Domani, se arriverà, saranno sfebbrati di colpo e avranno un sapore di cenere in gola. In una di quelle belle conversazioni di cui l’archivio padovano-veneziano che ho citato conserva le registrazioni, a proposito della paura dell’incontro rinnovato col sesso o con l’amore all’uscita, una detenuta dice: “Preferisco ricominciare con qualcuno che abbia fatto la mia stessa esperienza del carcere”, e un’altra dice: “Non potrei mai farlo con uno che avesse conosciuto il carcere” –e forse una stessa persona potrebbe dire ambedue le frasi.

    Adriano Sofri

    :sick: :sick: :sick: :cry:

     
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  15. bartali
     
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    Beh, Adriano Sofri si dovrebbe informare su quante donne campano allegramente con i soldi portati a casa dagli uomini-criminali prima di dar fiato alla bocca. Come ogni mestiere rischioso anche nel rubare le donne preferiscono delegare agli uomini ma non disdegnano di usare i loro disonesti guadagni.
     
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21 replies since 6/6/2008, 21:41   678 views
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