La Terza Ipotesi

scritti su femminismo e controllo demografico

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    Lupus in fabula

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    "Hanno trasformato la difesa della donna in una guerra all'umanità"
    Una femminista doc all'attacco del femminismo Onu
    Scritto da Roberto Persico a colloquio con Alessandra Nucci
    23/11/06


    Vent'anni fa è ritornata alla fede, «perché è la cosa più razionale», dopo venti in cui aveva battuto tutt'altri lidi. Da allora, dice, «sono diventata più razionale, e ho visto come le cose in cui credevo prima erano in realtà dei condizionamenti». Così Alessandra Nucci, un tempo femminista ribelle, oggi nonna fiera di esserlo, ha intrapreso quella che definisce «una rivisitazione senza perdere lo spirito libertario» delle posizioni di un tempo.

    Dunque è ancora femminista?
    Lo sono se femminismo vuol dire difesa della donna, se guarda alla verità e non all'ideologia. Ma il femminismo è pesantemente ideologico: si presenta come un orizzonte indiscutibile, ci rifila un sacco di imposizioni surrettizie, e soprattuto ha fatto sparire ogni alternativa. Le ragazze oggi non riescono neppure a immaginare che possa esistere un modello di donna diverso da quello imposto dalla mentalità dominante.

    Non è un po' esagerato?
    No. E non si tratta neppure della spontanea diffusione di una mentalità, ma di un progetto preciso, che ha al proprio servizio le agenzie internazionali.

    Addirittura.
    Lei ha mai sentito parlare del Comitato di monitoraggio per l'applicazione del trattato Cedav?

    No. Onestamente, neppure del trattato.
    Appunto. È un trattato delle Nazioni Unite sulle pari opportunità. E il Comitato di monitoraggio svolge un'opera attivissima e pressoché ignota. Ma efficacissima: chi si oppone a un'agenzia Onu che accusi uno Stato di discriminare le donne? E così si sviluppa uno Stato-balia planetario, che dolcemente ci abbraccia per dirci come dobbiamo pensare.

    E come dobbiamo pensare?
    Secondo una linea che lega il femminismo non alla difesa delle donne, ma al controllo delle nascite. Tutta la cosiddetta liberazione della donna si traduce alla fine in questo: nella "liberazione" dalla maternità, ossia nel suo rifiuto, prima culturale (l'idea tenacemente promossa che la maternità sia una sorta di handicap) e poi pratico.

    Per quale motivo?
    Qui andiamo lontano. Le origini del rifiuto della maternità sono da ricercare in un certo ambientalismo che considera l'uomo non lo scopo della creazione, ma il suo nemico...

    Ma non è l'idea di tutte le femministe.
    Certo che no. La stragrande maggioranza delle militanti è in buona fede. Solo i capi hanno chiara la strategia. Ma sono capaci di proporla in maniera così subdola da ottenere una quantità di adesioni, perché diventa mentalità dominante senza che ci si accorga che si tratta di una opzione. Come quando, da insegnante di letteratura inglese, proponevo la mia materia secondo canoni marxisti senza rendermene conto, semplicemente perché così veniva presentata ovunque.



    Articolo pubblicato su Tempi n.45 del 23/11/2006
    L'intervistata è autrice di un recente, interessante volume su questi temi:
    Alessandra NUCCI, La donna a una dimensione,
    Marietti 2006, pp. 254, euro 18.


    Edited by Reduan - 7/12/2008, 00:48
     
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    E l'Onu disse: dieci, cento, mille "gender"
    La "libera scelta" dell’identità sessuale. Una campagna aggressiva tra femminismo e marxismo
    Scritto da Marina Corradi
    07/12/06


    nuova versione del Nuovo Testamento pubblicata recentemente dall'Università di Oxford, il Padre Nostro comincia così: «Padre / Madre nostro, che sei nei cieli». L'espressione «figlio dell'uomo» è stata sostituita con «figlio dell'umano». E niente più «regno di Dio», espressione palesemente androcentrica e patriarcale. Non si tratta di casi isolati o amene sottigliezze da dotti, ma di uno dei tanti segni dell'avanzare della «prospettiva di genere».
    Adottare una prospettiva di genere, spiega un documento dell'Instraw, un istituto che fa parte dell'Onu, significa «distinguere tra ciò che è naturale e biologico e ciò che è costruito socialmente e culturalmente, e nel rinegoziare i confini tra il naturale e la sua inflessibilità, e il sociale». In parole povere, «prospettiva di genere» vuol dire dunque che nulla di originario, di «dato», esiste nelle differenze fra uomo e donna, e quindi tutto può, e deve, essere cambiato.

    Teoria di cui potremmo anche non preoccuparci più che tanto, se non fosse che tale «prospettiva» è una colonna portante dell'agenda dell'Onu. Se non fosse che quella parola inglese, «gender», ossessivamente ripetuta nei documenti delle conferenze del Cairo e di Pechino, e poi dell'Unione europea, sempre più si andrà insinuando nelle legislazioni nazionali, e giù nelle delibere degli enti locali e delle scuole, fino a plasmare la forma mentis delle persone. Come spiega con estrema efficacia un saggio appena pubblicato da Rubbettino, Maschi o femmine? La guerra del genere, della americana Dale O'Leary, traduzione italiana di Dina Nerozzi (pagine 208, euro 14,00).

    Chi è ancora convinto di un Dio che «maschio e femmina li creò» potrà forse meravigliarsi nelle pagine della O'Leary, pro-life americana andata a mettere il naso anche dietro le quinte, alle conferenze Onu del Cairo e di Pechino, e oltre. Quella parola, «genere», usata in luogo di «sesso» (dove «genere» indica proprio una categoria socialmente costruita, in opposizione a «sesso» che si riferisce alla distinzione biologica tra maschio e femmina, ndr), non è solo femministese per indicare la legittima domanda di pari opportunità della donna, afferma la O'Leary, ma una sorta di «Verbo» che l'Onu con il suo prestigio è in grado di imporre a tutti gli Stati membri.

    Grazie al peso acquistato all'interno delle strutture direttive dell'Onu di una cultura femminista radicale, il tentativo è quello di ridisegnare la società superando i limiti imposti dalla natura, considerata qualcosa di antiquato. Il nuovo mondo non dovrà più tollerare maschi e femmine, madri e padri, né definire l'eterosessualità «normale». Tutto dovrà essere - si legge nella prefazione - «precario, contrattabile e dipendente unicamente dalla volontà della maggioranza "democratica" del momento».

    Se l'esempio del Nuovo Testamento «genderizzato» dall'Università di Oxford vi era parso non così rilevante, fate caso alla raccomandazione dell'articolo 276 comma D della Piattaforma di Pechino: «Adottare misure affinché le tradizioni, la religione e le loro manifestazioni non siano causa di discriminazione nei confronti delle bambine». Madre nostra che sei nei cieli. Tra parentesi, le religioni monoteiste e in particolare il cristianesimo appaiono per la cultura del gender il vero nemico da abbattere, con quella arcaica pretesa di affermare un diritto naturale dell'uomo.

    Ma, si domanda a un certo punto la O'Leary, da dove viene a certo femminismo ultraradicale questa visione del mondo così conflittuale, dove le donne sono sempre oppresse, e gli uomini comunque oppressori? E di questo femminismo ultrà riesplora le radici marxiste andando a riaprire le pagine de L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato di Engels. Dove l'autore scriveva: «In un vecchio manoscritto mai pubblicato scritto da Marx e da me nel 1846, ho trovato queste parole: "La prima divisione del lavoro è quello tra uomo e donna per la riproduzione dei bambini". Oggi - continua Engels - posso aggiungere: la prima opposizione di classe che appare nella storia coincide con lo sviluppo dell'antagonismo uomo-donna nel matrimonio monogamico, e la prima oppressione di classe coincide con quella fatta dall'uomo sul sesso femminile». Da ciò derivava, per il socio di Marx, che «la prima condizione per la liberazione della moglie è quella di riportare tutto il sesso femminile nell'industria pubblica, e ciò richiede l'abolizione della famiglia monogama come unità economica della società».

    Quanto passa da Engels all'Instraw, istituto dell'Onu, che nel '95 scrive: «L'obiettivo è l'uguaglianza statistica tra uomini e donne in tutte le attività e tutte le cariche. Il maggior ostacolo all'uguaglianza statistica è la maternità, la vocazione delle donne a curare prima di tutto i loro figli. Pertanto, la maggior spinta alla "prospettiva di genere" è la decostruzione della maternità come unica vocazione delle donne». Insomma, per costruire il Nuovo Mondo occorre dissuadere le donne dalla maternità. (E' la stessa logica che mette in primo piano i "diritti riproduttivi" intesi solo come diritti a non avere figli: aborto, sterilizzazione, contraccezione, ndr).

    La strategia del «gender» è già a buon punto. Bandita la vecchia antidemocratica differenza, se la O'Leary ha ragione fra cinquant'anni saremo tutti correttamente neutri. Più felici, ne dubitiamo. Ma assolutamente uguali.


    pubblicato su Avvenire del 7-12-2006
     
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    Mogli, madri e brave lavoratrici Donne in crisi per le troppe sfide
    Lo studio: l’eccesso di responsabilità le spingerà a non sposarsi Le previsioni australiane: la metà delle 35enni resterà single
    Articolo da "Il Corriere della Sera" del 10 dicembre 2002.

    MILANO - Ci sarà un motivo se l’Ufficio Britannico del Servizio ha previsto che nel 2020 una donna su quattro deciderà di restare single . O se gli studiosi di demografia australiani prevedono che il 45 per cento circa delle trentacinquenni (in giù) non si sposerà mai. O se a chiedere il divorzio sono, nella maggior parte dei casi, le donne (il 63%), che poi tendenzialmente non si risposano più. Catastrofiche sentenze, almeno per chi ancora alla coppia crede. Inquietanti se si pensa che la premessa - l’equilibrio nella coppia è utopia - parte da lontano. Così, anche se sono passati tre decenni, la frase con la quale una sociologa americana cercava di spiegare in concreto, secondo la scrittrice Susan Maushart, è più attuale che mai: «Certo il marito sparecchia la tavola, però la moglie l’ha apparecchiata, ha cucinato, ha lavato i piatti, ha riassettato la cucina e...». Peccato che nel frattempo la donna da moglie e moglie-madre, sia diventata moglie-madre-lavoratrice. Caricandosi sempre più di compiti nel tentativo di dimostrare a se stessa e agli altri che lei «ce la fa». Per questa nuova figura le proteste di uomini che si sentono sfruttati - raccolte da Isabella Bossi Fedrigotti ieri sul Corriere - sono già alle spalle. Passata la fase in cui se la prendeva con lui (immaturo, pigro, egoista eccetera), questa donna ora ha cominciato a guardarsi dentro.

    IN LIBRERIA - La Maushart è da poco in libreria con Il mestiere di moglie (edito da Baldini & Castoldi): un resoconto lucido e provocatorio del ménage familiare che, dopo aver spaventato il lettore con le cifre di cui sopra (e tantissime altre come quella che le donne sposate soffrono di depressione tre volte di più delle altre), arriva a ipotizzare il «salvataggio» nella revisione di ruoli e divisioni. Una parola! Se la stessa autrice è la prima a dire che il «matrimonio ha sempre funzionato per lui, ma non per lei». Il libro dell’autrice americana è l’ultimo di una lista che da un paio di mesi non fa che allungarsi. Tutti testi che vorrebbero aiutare una donna «stanca» ma sottilmente «colpevole» di non fermarsi nell’inutile, spesso, tentativo di essere brava moglie, brava madre, brava lavoratrice. Con un carico di compiti esagerato.Tanto daffare, per nulla: il lavoro e la famiglia. Se poi, per di più, come sottolinea Anselma Dall’Olio, «le donne continuano a restare fuori, per esempio, dai posti di comando e dalla politica. E questo lo sostengono i dati e non le chiacchiere». E un 2020 popolato di single non può che essere «un’evoluzione darwiniana. Prima non andava, ora non va, andrà così».


    EVOLUZIONI - Angela Missoni, tre figli e un matrimonio alle spalle, si riconosce in pieno nell’identikit della donna che per anni ha voluto essere «super». Poi la resa: «Solo dopo ho capito che era anche colpa mia, sognavo equilibri che non potevano esserci e trascinando mio marito in strade che io ero convinta di percorrere ma lui no». Così oggi la stilista si dice felice e soddisfatta di un rapporto che dura da anni in cui ognuno vive a casa propria, nel pieno rispetto delle proprie libertà. Un passaggio, il suo. L’evoluzione della specie potrebbe essere Marina Benziger, 38 anni, direttore della produzione e consigliere delegato di TeleAtlas, premio «Mont Blanc» come manager dell’anno, e tra le 35 donne in carriera e felici (nel lavoro e nella vita) raccontate da Cinzia Sasso nel suo Donne (edito da Sperling & Kupfer). Potrebbe perché lei non si sente tale: «Sono single, certo. Ma non mi auguro che un giorno una donna su quattro non si sposi. Ho un compagno da anni e anche grazie a lui sono quella che sono».


    STANCHE E MEGERE - Ma alla sociologa il disagio generale non è sfuggito: «E’ sempre più profondo perché investe sia le superdonne - sostiene Chiara Saraceno - sia quelle che hanno rinunciato a quella che chiamiamo una vita intera. L’uguaglianza è difficile, dagli studi emerge sempre il fatto che gli uomini fanno meno o niente. Ma anche la società ha fatto poco o nulla per venire incontro alle donne». Che da una parte, per la Saraceno, si sentono «stanche» e dall’altra «megere»: «Perché se osano chiedere passano come attentatrici della coppia». Un bel circolo vizioso: «Che non voglio pensare sfoci con le previsioni inglesi. Dobbiamo ancora credere nella coppia, solo occorre mettere un po’ d’ordine nella famiglia e nella società».
    Paola Pollo

     
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  5. Wishotel
     
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    Eh si Red . . . Il primo link me lo segnalò milo qualche settimana fa, dunque lo conoscevo.
    Per il resto che dire? Anche a me pare così . . .
    Ho creato (e stampato) un fascicoletto pieno zeppo di articoli con questi riferimenti.
    Il destinatario per ora è mia sorella che inizia davvero a soffrire un sacco per via dell'esagerata misandria che prova e che non riesce a spiegarsi.
    Io sono a Taranto, lei a Bologna (per lavoro) e mi si stringe il cuore perchè a 21 anni non tollera la presenza maschile (a volte neanche quella femminile).
    Mi chiama spesso piangendo perchè si sente sola.
    E' uno schifo Red, spero capisca quel che le farò leggere.
     
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    Lupus in fabula

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    Eugenia Roccella Cavallari (Roma, 1953) è una giornalista e saggista italiana.

    Figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, Franco Roccella, entra a 18 anni nel Movimento di liberazione della donna diventandone leader. Si fa portavoce in quegli anni di molte battaglie femministe.

    Laureata in lettere, Eugenia Roccella è dottore di ricerca presso l'Università La Sapienza. Negli anni Ottanta ha lasciato i Radicali, colpevoli, a suo dire, di ricadute anti-individuali nel loro individualismo e di sponsorizzare un'idea di libertà senza limiti che non fa altro che ottenere un'illibertà assoluta.

    Si è avvicinata così alle posizioni della morale cattolica collaborando, pur non essendo cattolica, con il quotidiano Avvenire, Il Foglio e con la rivista bimestrale di cultura politica Ideazione; in queste testate si occupa di problematiche relative alla bioetica.
    (Wikipedia)


    I diritti riproduttivi sono in realtà “diritti a non riprodursi”
    Intervista alla giornalista Eugenia Roccella, autrice del libro “Dopo il femminismo” Ideazione editrice.

    ROMA, mercoledì, 22 giugno 2005 (ZENIT.org).
    - I cosiddetti “diritti riproduttivi” sono in realtà “diritti a non riprodursi”, ha affermato la giornalista Eugenia Roccella sostenendo che la pianificazione familiare è lo strumento delle lobby antinataliste per operare un controllo demografico ed eugenetico nei Paesi poveri.

    In questa intervista a ZENIT, la giornalista svela cosa si nasconde dietro all’ideologia antinatalista di istituzioni internazionali come l’ONU e l’Unione Europea.

    Lei sostiene che i cosiddetti “diritti riproduttivi” sono un inganno per favorire la pianificazione familiare e selezionare geneticamente le nascite. Ci può spiegare l’evoluzione dei “diritti riproduttivi” e come l’antinatalismo è diventato eugenismo?

    Roccella: Va chiarito in primo luogo che i cosiddetti “diritti riproduttivi” sono, in realtà, diritti a NON riprodursi, e si sono concretizzati nel controllo dei Governi sulla fertilità femminile e in una politica di diffusione mondiale di aborto, contraccezione e soprattutto sterilizzazione. Generalmente si crede che l’assunzione di questi diritti da parte degli organismi internazionali sia stata una conquista del movimento delle donne, ma dai documenti si evince con chiarezza che non è stato così.

    Storicamente, il diritto alla pianificazione familiare è nato dalla pressione di potenti lobby antinataliste internazionali (per esempio la Fondazione Rockfeller), aiutate dalla volontà dell’Occidente di esercitare un controllo demografico sul Terzo Mondo. Basta consultare, in fondo al libro, l’ottima documentazione curata da Assuntina Morresi che dimostra quanto le associazioni di matrice eugenista abbiano inciso sulle politiche dell’ONU, attraverso ONG come, per esempio, l’IPPF.

    Antinatalismo ed eugenetica sono stati fin dall’inizio strettamente intrecciati: l’idea di costruire un mondo migliore attraverso la selezione genetica era molto diffusa agli inizi del ‘900, e godeva di larga credibilità anche in ambienti colti. Lo scopo era di impedire di riprodursi agli esseri umani considerati di seconda categoria, cioè geneticamente imperfetti, anche attraverso la coercizione.

    L’assunzione delle teorie eugeniste da parte del regime nazista ne ha provocato il discredito e la condanna internazionale, ma le associazioni nate con questo scopo (tra cui appunto l’IPPF) sono sopravvissute, cambiando il proprio linguaggio e utilizzando in modo furbo e spregiudicato, dopo gli anni Settanta, alcuni slogan del movimento delle donne, come la “libertà di scelta”.

    In realtà le conferenze internazionali sulla popolazione (cioè sul controllo demografico) hanno sempre preceduto le conferenze sulle donne, e ne hanno preparato le parole d’ordine: per esempio, è alla Conferenza del Cairo del ‘94 su popolazione e sviluppo che la vecchia “pianificazione familiare” viene sostituita dalla nuova definizione di “diritti riproduttivi”. L’anno successivo, la definizione sarà adottata acriticamente e fatta propria dalla Conferenza delle donne a Pechino, senza cambiare una virgola.

    Il femminismo è stato, paradossalmente, una comoda maschera per attuare pratiche di controllo sui corpi delle donne spesso selvagge e violente, in particolare nei paesi terzi. Nel libro, tra l’altro, raccontiamo alcuni casi esemplari, come le politiche antinataliste adottate in Cina, Iran, India, Bangladesh, dove la povertà e l’assenza di meccanismi democratici consolidati hanno reso le donne facili vittime di sperimentazione di contraccettivi rischiosi per la salute, di sterilizzazioni di massa e aborti forzati.

    E’ opinione diffusa che il movimento femminista ha contribuito al raggiungimento dei diritti delle donne. Lei sostiene invece che ci sono molte ambiguità ed equivoci. Può spiegarci quali sono?
    Roccella: Il femminismo è una galassia di movimenti e pensieri diversi, assolutamente non omogenea. Gli organismi internazionali ne hanno adottato una versione rigidamente emancipazionista, che tende a equiparare il più possibile donne e uomini. Questo si traduce per esempio nell’idea, mai esplicitamente affermata ma sempre presente, che la maternità costituisca un impedimento alla realizzazione delle donne, e non un elemento centrale dell’identità di genere, da valorizzare e custodire. Si è creato così, nell’ONU e nell’Unione Europea, un femminismo istituzionale tutto imperniato sui diritti individuali e sulla parità, che ha eletto i diritti riproduttivi a proprio obiettivo qualificante.

    Esiste invece un pensiero femminista di segno opposto (il cosiddetto pensiero della differenza) che ritiene che il mito dell’eguaglianza impedisca alle donne di pensare se stesse in maniera autonoma, e che la differenza sessuale, radicata nel corpo, sia non soltanto un fatto biologico, ma qualcosa che investe l’intera esperienza dell’essere donna. Con questo femminismo la Chiesa da tempo tiene aperto un dialogo, basta leggere la lettera di Papa Wojtyla sul genio delle donne, e soprattutto quella, più recente, indirizzata ai vescovi e firmata dall’allora Cardinale Ratzinger.

    Oggi però, a livello internazionale, è il femminismo “dei diritti” che ha vinto, imponendo i diritti riproduttivi come una bandiera da agitare sempre e comunque. Invece le priorità delle donne, nelle varie aree geografiche, sono diverse: in Africa c’è il problema, urgente e drammatico, di arginare la mortalità da parto e quella neonatale; c’è poi il problema delle malattie sessualmente trasmissibili e della malnutrizione.

    Secondo quanto lei ha scritto, “libertà e salute delle donne” e “diritti riproduttivi” fanno parte di un “nuovo lessico” espressione di “un progetto culturale” che non favorisce né le donne né la famiglia. Può illustrarci il perché?
    Roccella: La definizione “diritti riproduttivi” non proviene dal femminismo, ma dalla specificazione dei diritti umani che è in atto all’ONU. Lo slogan del movimento delle donne, anche quando negli anni Settanta lottava per l’aborto, era “maternità come libera scelta”: l’accento era posto sull’assenso femminile alla maternità, mentre adesso lo stesso termine “maternità”, e persino il termine “procreazione”, sono banditi da tutti i testi internazionali.

    Ad ogni appuntamento internazionale si apre una lotta terminologica che ad un osservatore estraneo potrebbe apparire incomprensibile. Ma dietro le differenze semantiche si nasconde lo scontro sui concetti. Per esempio, la sparizione di vocaboli come madre e padre, in favore di definizioni prive di caratterizzazione sessuale, come “progetto parentale” o “genitorialità”, e la stessa sostituzione delle parole uomo e donna con un termine neutro, “genere”, tendono ad annullare la differenza sessuale e la specificità dei ruoli di madre e padre.

    C’è un progetto culturale molto diffuso, e in parte inconsapevole, che mira a sganciarsi il più possibile dal diritto naturale, fondamento dei diritti umani. Se non c’è più un diritto naturale inalienabile che garantisca l’eguaglianza degli esseri umani (per esempio per quanto riguarda il diritto alla vita e alla libertà personale), tutto diventa contrattabile e relativo. Rafael Salas, ex direttore dell’UNFPA (il Fondo dell’ONU per la Popolazione), ha sostenuto che le spaventose violazioni dei diritti umani attuate in Cina durante gli anni della politica del figlio unico non erano percepite dai cinesi come tali. Aborti forzati, abbandono e uccisione dei neonati, secondo Salas, erano metodi che “per le loro norme culturali non erano affatto coercitivi”! Questo è relativismo etico: ma è chiaro che si tratta di una concezione che porta alla distruzione dell’idea stessa dei diritti umani.

    Altrettanto accade con le donne. In ambito internazionale si punta a superare la disparità sociale e culturale tra uomo e donna attraverso l’introduzione dell’idea di genere. Secondo la teoria del genere i ruoli sessuali sono totalmente avulsi dalla biologia e dal corpo, e sono sostanzialmente costruzioni culturali su cui si può intervenire liberamente. Che questo porti alla destrutturazione della famiglia tradizionale è evidente, basta guardare cosa è successo in Spagna con Zapatero, che ha attuato una semplice riforma lessicale. Ma alcune donne non si rendono conto che in questo modo si distrugge anche il senso della differenza sessuale e della maternità, in una parola dell’esperienza di essere donna.

    Sui grandi temi che riguardano la difesa della vita e della famiglia naturale la Santa Sede si è di sovente scontrata con le organizzazioni internazionali, Nazioni Unite e Unione Europea in particolare. Lei ha intitolato un capitolo del libro “L’Europa contro il Vaticano”. Potrebbe illustrarci la sostanza della controversia?
    Roccella: L’impostazione culturale prevalente, in Europa, è un massimalismo laicista che ritiene le religioni potenziali portatrici di istanze fondamentaliste. L’Unione Europea adotta però molte cautele, sia politiche che verbali, nei confronti del mondo islamico. Si tratta di cautele che sarebbero comprensibili se non creassero un visibile squilibrio nei confronti del Vaticano, che invece viene attaccato con perfetta serenità ogni volta che è possibile. Il risultato è che il cattolicesimo appare come il più acerrimo nemico delle donne in ambito internazionale, perché si oppone all’ideologia dei diritti riproduttivi e del controllo demografico.
    www.zenit.org

    Edited by Reduan - 10/3/2008, 23:27
     
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  7. sil72
     
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    Tutto grave e condivisibile.
    Sono cose che già avevo letto e meditato, e mi sembrano vere.
    Però bisogna anche far presente una cosa: se la donna è minacciata, lo è anche l'uomo. A volte, questo non è posto in primo piano, anche perché questi pericoli sono spesso sottolineati da ex femministe o femministe.
    E' vero, esistono tanti tipi di femminismo e io mi guarderei da tutti: se esiste il 'genio femminile', come ha detto anche il Papa, esisterà anche il 'genio maschile', no?
    Questa è una cosa che bisogna sottolineare altrimenti il discorso ruota sempre e comunque intorno alla donna e, in un mondo che sembra voler far sparire il maschio dalla faccia della Terra, alla fine, si scopre, guarda caso, che la vittima è sempre la donna.
    Vittime sono in egual misura entrambi i sessi.
    Ma il punto fondamentale non è nemmeno questo.
    Il punto è, a mio parere, che questo disegno globale e pervicace è opera di una forza che troppo spesso, oggi, viene misconosciuta e taciuta, proprio mentre opera più ferocemente che mai: il Diavolo.
    Proprio il demonio di cui ci parla la religione cattolica, il diavolo in senso letterale.
    Io credo in Dio, e credo anche al Diavolo. E' facile vedere la sua mano in ogni cosa: è omicida e menzognero. Genera confusione e scimmiotta l'opera di Dio. Promette da sempre al genere umano di farci simili a Dio.
    Da lui si genera ogni progetto che disconosce l'origine divina dell'uomo e della donna, la loro complementarietà naturale, la sacralità della vita che essi generano insieme, e la bontà complessiva del creato.
    Il diavolo vuole distruggere l'uomo perché è opera di Dio. Secoli di positivismo ci hanno fatto dubitare di Dio Padre. Adesso egli vuole produrre l'estremo affondo: farci mutare la natura umana, separare il corpo dall'anima, l'uomo dalla donna, renderci sempre più omicidi (pensiamo agli aborti, alla distruzione degli embioni umani oltre che alle 'solite' guerre) e pieni di menzogna. Esseri indefiniti, sterili, meccanici, confusi, senza più Dio né padri e madri, senza più futuro.
    non per niente, se ci pensate, in questo momento di follia senza precedenti, è proprio la Chiesa cattolica, in particolare nella persona del Papa, che porta avanti un discorso coerente e rigoroso sulla natura umana. Pensateci: non c'è altra autorità, mi sembra, sulla faccia della Terra che si opponga sempre e puntualmente ed instancabilmente a tante delle cose che anche a noi, in questo sito, suscitano orrore e paura.
    Io credo che questo accada perché la Chiesa Cattolica conosce molto bene questo avversario che ha di fronte.
    So che la Chiesa ha posizioni con cui tanti hanno difficoltà a concordare, ma secondo me in questo momento si impone una riflessione seria, sgombra da animosità ed eventuali pregiudizi, sulle parole del Papa.
    Cerchiamo di ascoltare quello che ha da dire, leggiamo i suoi discorsi per intero.
    La questione maschile, per me, è al cuore della crisi in cui satana ha gettato il mondo intero, e la Chiesa è la sola che affronta questo nemico a viso aperto. Di questo, la ringrazierò in eterno, e non lo dico per scherzo.
     
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  8. Milo Riano
     
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    Concordo anche su questo. Io non sono credente però il tuo discorso ha senso anche per me. Leggevo un articolo sul Foglio, scritto dal teologo Mancuso, che diceva più o meno così: se Dio è l' Essere, il Diavolo è il Nulla! In tempi di nichilismo...
     
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    Lupus in fabula

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    Nemmeno io sono credente; tuttavia rispetto molto le opinioni di chi invece crede.
    Le tesi qui pubblicate, peraltro, non sono subordinate alla fede. Sarebbe a dire che si può credere o no in un Dio, ma questo non inficia la validità dei dati e delle argomentazioni, a mio avviso.

    Edited by Reduan - 7/12/2008, 00:52
     
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  10. wookyee
     
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    Sì, concordo anche io con quanto hai scritto Sil.
    Putroppo però quando il discorso poi verte sulle religioni e in particolare su quella cattolica, succede questo:

    CITAZIONE
    Si tratta di cautele che sarebbero comprensibili se non creassero un visibile squilibrio nei confronti del Vaticano, che invece viene attaccato con perfetta serenità ogni volta che è possibile. Il risultato è che il cattolicesimo appare come il più acerrimo nemico delle donne in ambito internazionale, perché si oppone all’ideologia dei diritti riproduttivi e del controllo demografico.

     
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  11. tonireve
     
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    CITAZIONE
    non per niente, se ci pensate, in questo momento di follia senza precedenti, è proprio la Chiesa cattolica, in particolare nella persona del Papa, che porta avanti un discorso coerente e rigoroso sulla natura umana. Pensateci: non c'è altra autorità, mi sembra, sulla faccia della Terra che si opponga sempre e puntualmente ed instancabilmente a tante delle cose che anche a noi, in questo sito, suscitano orrore e paura.
    Io credo che questo accada perché la Chiesa Cattolica conosce molto bene questo avversario che ha di fronte.
    So che la Chiesa ha posizioni con cui tanti hanno difficoltà a concordare, ma secondo me in questo momento si impone una riflessione seria, sgombra da animosità ed eventuali pregiudizi, sulle parole del Papa.
    Cerchiamo di ascoltare quello che ha da dire, leggiamo i suoi discorsi per intero.
    La questione maschile, per me, è al cuore della crisi in cui satana ha gettato il mondo intero, e la Chiesa è la sola che affronta questo nemico a viso aperto. Di questo, la ringrazierò in eterno, e non lo dico per scherzo.

    Io non sono credente, ma il punto di vista della chiesa l' ho sempre ascoltato, anche se non sempre condiviso.
    Non ho pregiudizi di sorta.
    Tuttavia devo dire che dalla chiesa ho sentito finora parlare di aborto, eutanasia, divorzio, e va tutto bene, ma ancora attendo di udire una sola parola riguardo ai diritti degli uomini.
    Ho sentito invece parlare spesso di diritti delle donne.
    Certo, la situazione è migliorata considerando che qualche tempo fa sembrava che potesse diventare Papa pure Elvira Banotti, tanta era la tolleranza nei confronti delle donne qualsiasi cosa dicessero.
    Io tuttavia da una persona colta e intelligente come questo Papa qui mi aspetterei almeno due parole sul fatto che nella nostra società sono discriminati gli uomini, non le donne...
    Fatico molto a credere che uno come lui possa ignorarlo.
    Ho piuttosto la sgradevole impressione che non voglia esporsi più di tanto...
    E' un silenzio che digerisco molto a fatica.
     
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  12. bartali
     
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    CITAZIONE (sil72 @ 10/3/2008, 23:51)
    Io credo che questo accada perché la Chiesa Cattolica conosce molto bene questo avversario che ha di fronte.
    So che la Chiesa ha posizioni con cui tanti hanno difficoltà a concordare, ma secondo me in questo momento si impone una riflessione seria, sgombra da animosità ed eventuali pregiudizi, sulle parole del Papa.
    Cerchiamo di ascoltare quello che ha da dire, leggiamo i suoi discorsi per intero.

    eh no! La CC non inizia e finisce da Ratzinger. Non confondiamo le questioni.

    CITAZIONE (tonireve @ 11/3/2008, 01:02)
    Tuttavia devo dire che dalla chiesa ho sentito finora parlare di aborto, eutanasia, divorzio, e va tutto bene, ma ancora attendo di udire una sola parola riguardo ai diritti degli uomini.

    Esattamente! Messo qualche esperto cattolico sotto torchio mi ha risposto semplicemente "che abbraccino la loro croce".
    :D :D :D
     
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  13. sil72
     
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    Anche io ho la sensazione che la Chiesa ed il Papa (che, per volontà di Gesù ne è il Capo, almeno questo è quanto devono credere i cattolici, da qui il mio porre l'accento sulla sua importanza) siano restii ad affrontare la questione maschile.
    E' come se, su questo punto, fossero rimasti indietro rispetto ai tempi, mentre non temono di confrontarsi puntualmente su ogni nuova scoperta scientifica ed ogni questione sociale. Il che è strano.
    Io ho l'impressione che in questo atteggiamento si fondano varie ragioni.
    Ma qui dirò quella che mi sembra più importante.
    La Chiesa cattolica è stata ferocemente tacciata di maschilismo. Forse teme di squalificarsi in partenza affrontando troppo di petto certe questioni. Pensiamo alla sua posizione sul celibato dei preti e sul sacerdozio femminile: essa appare irremovibile. Tanti non aspettano altro che di sbranarla per questo.
    Io ho quindi l'impressione che la Chiesa cerchi di prendere la questione da un altro lato, di prenderla 'alla larga', diremmo qui. Condannando il femminismo che ritiene uomini e donne interscambiabili, cerca di riportare entrambi alla loro vera natura. Ma lo fa con prudenza (a volte troppa, lo riconosco), sempre attenta a non svalutare mai la donna, a non offenderla, a non ricadere in quegli atteggiamenti (veri o presunti) per cui la Chiesa è stata vista come una forza oscurantista, maschilista, retrograda.
    Il risultato è che la Chiesa è accusata di essere anti-femminista, perché richiama fondamentalmente la donna al suo ruolo insostituibile di madre e di moglie (ruoli che nel cattolicesimo sono idealmente inscindibili, tra l'altro), ma accoglie (o sembra accogliere) del femminismo certe istanze che vorrebbero la donna moralmente superiore all'uomo.

    Poi, però, se prendete il Catechismo della Chiesa Cattolica non trovate mai affermazioni di questo tenore (almeno io finora non ne ho trovate), ma al contrario la proclamazione, ripetuta ed inequivocabile, della assoluta parità, nella diversità, tra uomo e donna.

    "2334: creando l'uomo 'maschio e femmina', Dio dona la dignità personale in egual modo all'uomo e alla donna."
    2335: ciascuno dei due sessi, con eguale dignità, anche se in modo differente, è immagine della potenza e della tenerezza di Dio"
    eccetera.

    Questo mi fa pensare che certi atteggiamenti siano una concessione allo spirito dei tempi, o forse segno di una 'cattiva coscienza'.
    Detto questo, non approvo questa apparente (o reale) 'vigliaccheria' da parte della Chiesa o persino del Papa. So però l'importanza che Egli ha per ogni vero cattolico, e cerco di sopportare pazientemente le sue parole quando non mi trovano d'accordo.
    Spero di essermi spiegata, ma chiedetemi pure qualsiasi cosa, se avete dei dubbi. Del resto, io stessa sono in mezzo a tanti dubbi, ogni giorno.
    Con affetto, Sil.
     
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    Lupus in fabula

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    Che la Chiesa di fronte alla questione femminista abbia fatto un pò, (specie negli anni passati), la "politica del giunco" , secondo me non ci piove.
    I motivi precisi penso che non li sapremo mai, forse alcuni sono intuibili e li ha descritti Sil.

    Ma teniamo anche presente che la Chiesa non è Italia, non è solo europa e non è solo occidente.
    Le parole del Papa valgono per i credenti di tutto il mondo e, le stesse parole, ascoltate da un italiano hanno un significato, ascoltate da un albanese magari ne hanno un altro.
    La questione maschile ha un senso per un italiano, mentre ne ha un altro per un albanese che vive in Albania o per l'africano che vive in Africa.
    Ma la parola del Papa, verosimilmente, deve valere per tutti allo stesso modo, da qui può nascere la necessità, a mio avviso, di tenere la "giusta via di mezzo" e non affrontare esplicitamente la questione.
     
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  15. sil72
     
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    Reduan, questa tua ipotesi è in effetti interessante.
    La questione maschile in molti paesi del mondo è al di là da venire, e forse non nascerà mai. E' vero.
    Mi resta però un dubbio: la Chiesa non esita ad affrontare anche questioni tipiche di realtà locali, e certo la realtà italiana la conosce bene e le sta particolarmente a cuore.
    Sarebbe bello che spendesse qualche parola in più, ad esempio per i problemi specifici dei padri separati, o sottolineando con particolare forza il mutuo rispetto che i coniugi si devono l'un l'altro.
    Io credo che nella Chiesa ci sia la fede, espressa anche in forma di dogmi, e poi c'è anche tanta politica.
    E sappiamo bene quale atteggiamento ha la maggior parte dei politici sulla questione maschile e femminile...
    Ma io, d'accordo con Reduan, vorrei dare alla Chiesa cattolica, diciamo al pensiero cattolico ortodosso, qualche possibilità in più.
    Voglio credere che abbiano anche delle motivazioni più valide di quello che sembra a volte per questo loro silenzio e per certi incensamenti del femminile.
    Lo spero.
     
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33 replies since 9/3/2008, 23:23   943 views
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