Il rancore femminile
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  • 1) Sì, le donne rinfacceranno sempre agli uomini "il passato che non passa" e continueranno a ricordarsi solo di quello che gli fa comodo, anche quando saranno diventate "il primo sesso"
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  • 2) No, in futuro il loro rancore svanirà. Il tempo è un gran dottore
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Il rancore femminile

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  1. silverback
     
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    http://www.ecologiasociale.org/pg/attaccoa...ienza_home.html
    Matematica al femminile
    Tratto da Scienza esperienza 19 marzo 2004

    Silvia Annaratone

    Per la prima volta nella storia una donna ha raggiunto una posizione di alto livello internazionale all'interno della comunità matematica. Si tratta della norvegese Ragni Piene da poco eletta a rappresentare i matematici di tutta la scandinavia presso l'IMU, l'International Mathematical Union. Sembrerebbe un bel segno che qualcosa sta cambiando rispetto alla tradizionale convinzione che le donne non sono "portate per la matematica".
    Ma sarà poi vero? In realtà se si va a guardare le cattedre universitarie in Europa si vede che la percentuale di quelle affidate a donne si aggira intorno al 2 per cento, laddove le donne laureate in matematica raggiungono quasi il quaranta per cento. Se poi si scende negli anni e si arriva all'infanzia e alla preadolescenza si scopre da test e riscontri di tipo scolastico che le bambine e i bambini riescono in matematica esattamente allo stesso modo.
    E allora dove sta l'inghippo? Difficile pensare che ci siano ragioni di tipo biologico come molti (uomini) vogliono pensare e alcuni hanno anche cercato di dimostrare, alimentando la leggenda di un "gene maschile della matematica".
    Una biologia che si manifesta intorno ai tredici anni (questa è l'età in cui apparentemente le ragazze cominciano a perdere interesse per la matematica) risulta quanto meno curiosa. Restano dunque le motivazioni di carattere psicologico, sociale e familiare. "Le donne hanno paura a competere con i maschi in quello che ritengono essere un ambito tipicamente maschile" spiega Sheila Tobias nel suo Come vincere la paura della matematica. Mentre i maschi sentono che la metematica può in qualche modo favorire la loro carriera futura le femmine non credono sarà loro di nessuna utilità, in parte per mancanza di modelli familiari e sociali e in parte per sfiducia nelle proprie capacità.
    Da alcune ricerche fatte in America nell'ambito della cosiddetta "teoria dell'attribuzione" si vede che mentre i ragazzi attribuiscono i loro successi in matematica all'abilità personale, le femmine li attribuiscono all'impegno profuso, laddove gli insuccessi vengono giustificati da parte dei maschi con un impegno insufficiente e da parte delle ragazze con la mancanza di bravura. D'altra parte a essere troppo brave in matematica si rischia di passare per mascoline o quanto meno strane, secchione e fredde.
    La donna che sa la matematica disturba e intimorisce e dunque perchè fare tanti sforzi (visto che di fatica si tratta comunque per tutti, maschi e femmine) per imparare qualcosa di cui non ci si può nemmeno fare vanto? Certo aiuterebbe la presenza di modelli positivi. Non a caso molte delle poche donne che hanno raggiunto posizioni di rilievo nella comunità matematica avevano alle spalle genitori entusiasti matematici.
    Ragni Piene, in un'intervista a New Scientist, racconta di quando lei e il fratello, sciando con il padre, insegnante di matematica in un College norvegese, giocavano con le equazioni e risolvevano rompicapo. E Sarah Flannery che a soli 18 anni inventa un nuovo algoritmo innovativo per crittografare dati in internet così racconta la sua infanzia matematica nel libro In Code: A Mathematical Journey scritto insieme al padre: "quasi ogni settimana, da quando aveva cinque anni, mio padre mi proponeva piccoli problemi matematici e rompicapo che mi resero fiduciosa nell'affrontare la risoluzione di un problema e mi insegnarono a ragionare e pensare in modo autonomo, dando spazio all'inventiva e alla creatività."
    Per le donna si tratta dunque "solo" di recuperare fiducia e superare certi pregiudizi che le vogliono letterine piuttosto che matematiche perchè così sono più "femminili" e, lasciatemi dire, meno pericolose. Certo la strada è tutta in salita. In certi paesi si assiste addirittura a una regressione rispetto agli sforzi che erano stati fatti in passato per favorire l'interesse delle donne per la matematica. Dal 1985, nelle écoles normales supérieures francesi (scuole da cui esce l'élite della matematica europea) non è più obligatorio ammettere lo stesso numero di maschi e di femmine e quest'anno su 39 studenti ammessi solo una è una donna.
    Va detto anche che il lavoro di ricerca in matematica, se ad altissimo livello, richiede spesso una dedizione e una sorta di alienazione dal mondo che poche donne sono disposte a barattare con una vita più ricca di interessi ed emozioni. Credo che nessuna donna avrebbe potuto o avrebbe voluto chiudersi in casa sette anni trascurando amici, famiglia e figli come fece Andrew Wiles per dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.
    Dunque ben venga un maggiore interesse da parte delle donne per la matematica, ma che questo non snaturi quelle che sono le caratteristiche più vitali e preziose attribuite alla femminilità. Non so se questo sarà mai possibile, ma certo è bello credere nella possibilità di una "matematica al femminile", qualsiasi cosa possa un giorno significare.


     
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  2. bartali
     
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    CITAZIONE (silverback @ 21/1/2009, 20:54)
    . Restano dunque le motivazioni di carattere psicologico, sociale e familiare. "Le donne hanno paura a competere con i maschi in quello che ritengono essere un ambito tipicamente maschile" spiega Sheila Tobias nel suo Come vincere la paura della matematica.

    Ottima strategia per stimolare le donne ad impegnarsi "anima e core" alla matematica: asserire che hanno paura di competere con maschi (->appello all'invidia penis).

     
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  3. Wishotel
     
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    CITAZIONE (bartali @ 21/1/2009, 21:04)
    CITAZIONE (silverback @ 21/1/2009, 20:54)
    . Restano dunque le motivazioni di carattere psicologico, sociale e familiare. "Le donne hanno paura a competere con i maschi in quello che ritengono essere un ambito tipicamente maschile" spiega Sheila Tobias nel suo Come vincere la paura della matematica.

    Ottima strategia per stimolare le donne ad impegnarsi "anima e core" alla matematica: asserire che hanno paura di competere con maschi (->appello all'invidia penis).

    Nel senso che per te lo fanno per ottenere l'effetto contrario? Cioè, dicendole che han paura dovrebbero reagire mettendosi in competizione?

    Io in matematica avevo N.C. , ho sempre lasciato perdere, a priori.
     
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  4. bartali
     
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    CITAZIONE (Wishotel @ 22/1/2009, 00:33)
    Nel senso che per te lo fanno per ottenere l'effetto contrario? Cioè, dicendole che han paura dovrebbero reagire mettendosi in competizione?

    Hai capito brava! :D
     
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  5. silverback
     
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    http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/l...et-semini-eius/
    CITAZIONE
    Venerdì, 12 Ottobre 2007
    ET SEMINI EIUS

    Nel giorno in cui si festeggia, felicemente, Doris Lessing, accade di leggere qualcosa che incrina lievemente il buon umore. Parlo delle polemiche sul giudice tedesco che ha concesso “attenuanti etniche e culturali” ad uno stupratore e torturatore, in quanto sardo. La levata di scudi è stata immediata e ovvia. E giusta, giustissima: certo.

    Eppure, una piccola riflessione NON sulla Sardegna, ma sull’Italia tutta, sarebbe opportuna. Siamo o no il paese con un numero impressionante di violenze domestiche sulle donne e di delitti in famiglia commessi da uomini a danno delle proprie fidanzate e compagne? Siamo o no il paese in assoluta, impressionante retroguardia per quanto riguarda l’occupazione femminile e la partecipazione maschile alla cura dei figli e della casa? Siamo o no il paese dove anche per pubblicizzare i maccheroni si utilizzano fanciulle nude e sospiranti?

    L’indignazione degli editorialisti (uomini), sinceramente, puzza di ipocrisia: e fa il bis con quella che accolse, pochi mesi fa, le accuse del Financial Times (chi, noi? Figurarsi!). Nella migliore delle ipotesi, si sventola il “matriarcato” vigente, secondo il quale le signore, ma certo, sono sempre state quelle che gestiscono il vero potere. In casa, naturalmente.


    Non riesco a pensare diversamente quando leggo le dichiarazioni di Salvatore Niffoi: «Mia moglie è la mia prima lettrice, è la mia editor più raffinata, il suo giudizio è fondamentale. Perché nella mia famiglia come nella maggioranza delle famiglie sarde vige ancora saldamente il matriarcato». Appunto.

    Peraltro, è bellissimo che la signora Niffoi sia l’editor del proprio marito. Quasi tutte le mogli degli scrittori sono le loro prime lettrici, le loro muse, le loro appassionate sostenitrici e, alle cene, ridono a tutte le loro battute. E’ il viceversa che scarseggia.

    Chissà cosa ne direbbe la nostra nuova Nobel. Che ebbe il coraggio di sostenere, nel 1983, cose assai scomode (una la riporta oggi Laura Lilli: “le femministe si sono autocastrate, limitandosi ai discorsi fra loro”). E che nel 2001 dichiarò, per esempio, di sentirsi disgustata dai libri “brutti e inutili” delle giovani scrittrici inglesi. Chick lit, per intenderci. Disse, esattamente, Lessing: “È doloroso, alla mia età, vedere tutte queste ragazze superficiali e ignoranti far finta di essere orgogliose della loro femminilità “. Da una delle autrici in questione arrivò la risposta : “Con i miei libri ho solo cercato di dare voce alle donne della mia generazione, non alle vecchie”. Era Helen Fielding, la creatrice di Bridget Jones.

     
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  6. doppler effect
     
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    CITAZIONE (silverback @ 21/1/2009, 20:54)
    Credo che nessuna donna avrebbe potuto o avrebbe voluto chiudersi in casa sette anni trascurando amici, famiglia e figli come fece Andrew Wiles per dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.

    CITAZIONE (silverback @ 21/1/2009, 20:54)
    Credo che nessuna donna avrebbe potuto o avrebbe voluto chiudersi in casa sette anni trascurando amici, famiglia e figli come fece Andrew Wiles per dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.

    Tutto questo giro di parole per non dire:

    che nessuna donna avrebbe potuto dimostrare l'ultimo teorema di Fermat.

    L'ultimo teorema di Fermat ha dato la possibilità a tutti i matematici moderni di cimentarsi a trovare la dimostrazione, in tempi dove le donne hanno la libertà e nessun vincolo nello studio della matematica.

    Ma nessuno donna è riuscita a dimostrarlo, quindi è meglio dire quanto sopra.

    Io cmq non credo che Andrew Wiles abbia trascurato famiglia e amici per 7 anni, sicuramente nelle sue otto - none ore di lavoro necessitava di silenzio e concentrazione ma terminate queste faceva quello che tutti fanno.
     
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  7. TullioConforti
     
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    QUOTE (Wishotel @ 22/1/2009, 00:33)
    Io in matematica avevo N.C. , ho sempre lasciato perdere, a priori.

    :lol:
     
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  8. ilmarmocchio
     
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    Voi non lo sapete , ma dietro Wiles, c'era sua moglie. E' stato grazie a lei che Wiles ha dimostrato il teorema...anzi, rettifico, e' stata la moglie, che poi ha suggerito la soluzione
    al marito. Sorpresi ?
     
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  9. silverback
     
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    CITAZIONE (ilmarmocchio @ 18/2/2009, 21:58)
    Voi non lo sapete , ma dietro Wiles, c'era sua moglie. E' stato grazie a lei che Wiles ha dimostrato il teorema...anzi, rettifico, e' stata la moglie, che poi ha suggerito la soluzione
    al marito. Sorpresi ?

    Beh, sì, tipo certe storielle femministe secondo le quali sarebbe stata la Maric e non Einstein a formulare la Teoria della Relatività...

    http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=...20di%20Einstein

    CITAZIONE
    Lei stessa era un'insigne scienziata il cui lavoro ha avuto una grande influenza sulla produzione scientifica del marito
    La misteriosa figura di Mileva Maric, moglie di Einstein
    Per quasi un secolo di questa straordinaria figura di donna e scienziata non si sapeva nulla, nemmeno dove fosse sepolta

    Belgrado - La storia della Serbia vanta grandissime menti scientifiche come Nikola Tesla o Mileva Maric, ricordati solo da piccole esposizioni in musei con pochi visitatori. In particolare, la storia di Mileva Maric, scienziata serba e moglie di Albert Einstein, la cui influenza sul lavoro scientifico di Einstein e sulla stessa teoria della relativita' rimane un mistero. Dopo il divorzio con Mileva sembra che lo scienziato tedesco abbia nascosto tutto cio’ che riguardava il loro rapporto e solo pochi documenti della loro vita insieme sono stati conservati. Forse e' proprio per non sminuire il mito del genio di Einstein, rivelando che dietro alle sue scoperte vi è stato il duro lavoro della moglie, che l’esistenza e il contributo di Mileva sono caduti nell’oblio.

    A quell'epoca, presso i circoli accademici e intellettuali non veniva concesso molto spazio alle donne. Per tale motivo Mileva non pote’ studiare presso l’università di Belgrado, e così si rivolse al Politecnico scientifico di Zurigo (ETH) per applicarsi nello studio della medicina; dopo poco tempo decise di iscriversi alla facoltà di fisica e matematica, diventando una delle poche donne al mondo che si occupavano di questo tipo di studi. L’incontro con Einstein e il loro amore portò alla nascita della prima figlia Liza, al matrimonio nel 1902, in seguito al quale vennero al mondo altri due figli: Eduard e Hans Albert.

    In quel periodo alternava lo studio alla cura dei figli. Tuttavia le cose con il marito andavano di male in peggio e Einstein, nel 1919, decise di allontanarsi da lei. Dopo la separazione fortemente voluta dallo scienziato, Mileva Maric fu presto dimenticata. Per molti anni non si seppe nemmeno dove era stata sepolta, fino a quando, il 23 giugno 2004, grazie all’impegno del pittore Peter Stojanovic, fondatore del Centro Nikola Tesla di Sankt Galen, la sua tomba è stata ritrovata nel cimitero Nordhaim di Zurigo.

    Petar Stojanovic, nato in Austria ma di origine serba, da molto tempo si interessava alla vita e al lavoro di Mileva Maric-Einstein, decidendo persino di trasferirsi a Zurigo per poter condurre ricerche direttamente sul campo. “Il trasferimento dall’Austria alla Svizzera, mi ha permesso di trovare numerosi documenti relativi alla vita di Mileva Maric. Così ho incontrato la dottoressa Ana Pia Mansen, direttrice dell’ Archivio di Zurigo, grazie alla quale sono riuscito a scoprire dove Mileva e’ stata sepolta a Zurigo il 4 agosto del 1948”.

    Come Petar Stojanovic, anche lo scrittore Dorde Krstic, autore del libro “Mileva e Albert Einstein - amore e lavoro scientifico“ (Mileva & Albert Einstein: Love and Joint Scientific Work), che da anni vive in Slovenia, ha voluto fare tutto il possibile affinche’ quest’importante pezzo importante di storia della scienza non venisse dimenticato. “So che la casa della famiglia Maric a Novi Sad è in pessime condizioni, perché è stata costruita nel 1907 e fino ad oggi non è mai stata restaurata. Sono in contatto con il direttore del Museo della città, Milan Paroski, a cui ho fornito tutta la documentazione di Mileva in mio possesso. Ritengo che la Mileva, una delle piu’ grandi menti femminili del suo tempo, meriti oggi un riconoscimento da parte della sua città, Novi Sad”.

    Infatti, nonostante tra poco ricorrerà l’anniversario dei 60 anni della sua morte, la casa in cui visse con i genitori in via Kisacka 20 a Novi Sad non e’ stata ancora restaurata, per farne un monumento storico. Da molti anni, con la scusa dei “non chiari rapporti legali e di proprietà” , e dei lunghi tempi della burocrazia, la casa dei genitori di Mileva continua ad essere logorata dal tempo, dall’ignoranza e dalla negligenza dei politici.

    Il successore legale dell’abitazione è il nipote di Einstein, Bernard Cesar Einstein, il quale l’ha regalata alla città di Novi Sad, autorizzando l’amico di famiglia Dorde Krstic a trasformare la casa dei familiari di Mileva, nel ‘museo’ di Mileva Maric e Albert Einstein. “Novi Sad avrà così, in esclusiva, un museo dove sarà possibile scoprire la vita di Mileva Maric”, ha dichiarato in un’intervista Krstic, aggiungendo che verranno esposti circa cinquanta documenti e prove, a testimonianza della vita in comune della coppia Maric-Einstein.

    Krstic indaga e raccoglie testimonianze e documenti sulla vita di Mileva da piu’ di 50 anni, e in questo grande lavoro è stato aiutato dal figlio Hans, che ha lavorato in America come professore universitario fino al 2001, anno in cui è morto. I documenti conservati nella’appartamento zurighese di Mileva, sono misteriosamente scomparsi, cosi’ come i dati che per anni sono rimasti nell’archivio Einstein a Gerusalemme.

    Radmila Milentijevic, professoressa di storia europea presso l’Università di New York, è stata tra i pochi fortunati a poter consultare quell’archivio chiuso al pubblico, prima che quei dati sparissero. “Einstein era un ebreo-tedesco, un fisico e un insigne scienziato, reso famoso dal Premio Nobel, che in Israele è visto come un’icona”, afferma Radmila Milentijevic. La professoressa serba spiega di essere riuscita a visionare tali documenti per 20 giorni, trovando moltissime informazioni che, ha annunciato, riporterà all’interno del libro che verrà dato alle stampe prossimamente, prima in lingua inglese e poi nella lingua madre di Mileva, il serbo.

    Anche la professoressa Milentijevic ritiene che il lavoro di Einstein sia stato ‘ricamato’ anche, e soprattutto, grazie al duro lavoro della moglie, e che il suo contributo alla teoria della relatività e ad altre scoperte di Einstein, sia stato enorme e volutamente dimenticato per quasi un secolo. In particolare Radmila Milentijevic afferma che l’ambizioso fisico si sia impossessato del lavoro di Mileva .Mentre tutto ciò che appartiene ad Einstein è conservato come ‘icona’ - come una delle sue lettere all’asta per 8000 pound – tutto ciò che apparteneva e può ricondurre a Mileva, sarebbe stato perso o dimenticato, se non fosse stato per il lavoro di poche persone che hanno contribuito a custodirlo e tramandarlo.

    La stessa città di Novi Sad, ha capito quanto prezioso sia stato il lavoro di Mileva Maric solo negli ultimi anni, decidendo di aprire un museo a lei dedicato e un Premio presso l’Università omonima. E’ strano però osservare come i serbi spesso dimenticano che parte della loro cultura appartiene al patrimonio intellettuale dell’umanita’, disprezzando la scienza, limitando il sistema educativo, umiliando coloro che vi lavorano e riservando la loro ammirazione a generali ignoranti e guerrafondai .

    Biljana Vukicevic
    www.rinascitabalcanica.com

    14/1/2009






    Commenti a questo articolo (1)
    1.Che meraviglia!
    Una rivincita delle donne! Spesso si sente dire,da qualche uomo non molto intelligente, che le scoperte scientifiche le dobbiamo solo agli uomini, nonostante oggi, sia emersa la maggior predisposizione agli studi delle donne, rispetto agli uomini! Il problema non era l'intelligenza femminile: il problema era il maschilismo imperante, accentratore, che non avrebbe mai ammesso di poter stare in secondo piano! Ci sono state tantissime donne e scienziate che hanno comunque portato il loro contributo al mondo, in ogni ramo: ma non hanno mai potuto trovare la luce che meritavano..perche' il maschio e la sua cultura stupida, non lo permettevano. Angie
    (da Angelica - 18/02/2009)



    Più tardi posto qualcosa io...
     
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  10. LesPaul
     
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    Quanto razzismo cova in queste donne???
     
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  11. silverback
     
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    EINSTEIN
    Lo scienziato e il personaggio,
    dalla relatività speciale alla ricerca
    dell'unificazione della fisica

    (Prima edizione: marzo 2004).

    di Pietro Greco.

    Pag. 35:
    Gli anni del Politecnico sono anni felici per Albert, anche perché la famiglia si è sottratta al gorgo delle difficoltà economiche. Il corso di studi, liberamente interpretato dal giovane apolide, si conclude nel mese di agosto dell'anno 1900.
    Quando Albert Einstein sostiene l'esame finale. I voti (espressi da 1 a 6) sono buoni, ma non sono il massimo: 5 in fisica teorica, fisica sperimentale e astronomia; 5,5 in teoria delle funzioni; 4,5 per un saggio sulla conducibilità termica. Il fatto è, scrive Abraham Pais, che le prove universitarie effettuate secondo schemi imposti da altri sono per lui autentiche prove del fuoco [Pais, 1986]. Albert non le sopporta. Gli ci vorrà un anno per riprendere il gusto della fisica, dopo l'esame finale al Politecnico di Zurigo. Esame in cui, peraltro, risulta bocciata una studentessa a lui molto cara, Mileva Maric.
    Mileva ha un curriculum universitario di tutto rispetto. Nel corso di ciascuno degli anni accademici ha ottenuto voti migliori di quelli di Albert. E anche all'esame finale i voti sono discreti, tranne che in matematica. Un'insufficienza che risulta determinante. Mileva ripeterà l'esame l'anno successivo e di nuovo sarà bocciata. Dopo di che rinuncerà per sempre.
    Molto si è detto del ruolo decisivo quanto misconosciuto che avrebbe avuto Mileva nella elaborazione da parte di Albert della teoria della relatività ristretta, di lì a cinque anni [Highfield, 1993]. In realtà, nessun documento fa emergere questo ruolo. Nell'epistolario Einstein-Maric 1896/1900 raramente si parla di fisica.
    E quando se ne parla, a introdurre il discorso è sempre e solo Albert. E lei non risponde. Mai. Dopo il 1901, anno del secondo esame di Mileva al Politecnico di Zurigo, non risulta che la ragazza continui a occuparsi professionalmente di fisica.
    E' molto probabile che Mileva, come Michele Besso o Marcel Grossman, siano gli amici pazienti, fedeli e competenti cui Albert affida le sue riflessioni. E' molto probabile, per usare una metafora pugilistica, che fungano da sparring-partner. E che Mileva sia la prima tra questi sparring-partner. D'altra parte Albert la definisce più volte "la mia mano destra". Non risulta da alcuna documentazione però che Mileva, o Michele, o Marcel o Friedrich o qualche altro conoscente concorra in questi anni con Albert a elaborare una "nuova fisica".




    Pag. 39-40:
    Nella lettera a Mileva dell'ottobre 1900, Albert Einstein parla al plurale. E sempre al plurale parla l'anno dopo, nel 1901, in tre diverse lettere a proposito della "nostra memoria", quando commenta "se almeno avessimo la forza di continuare insieme questo stupendo cammino", e a proposito della "nostra teoria delle forze molecolari". Ancora più forte è l'evocazione, in una lettera del mese di marzo 1901, del tema già trattato nella lettera del settembre 1899, la relatività:"Sarò talmente felice e fiero quando saremo insieme e riusciremo a concludere con successo il nostro lavoro sul moto relativo!".
    Cosa significa questo parlare al plurale? Che Einstein e Mileva lavorano insieme a costruire i fondamenti di una ormai imminente rivoluzione in fisica o che, per un gioco affettuoso, Albert estende al suo sparring-partner intellettuale più vicino e più intimo, all'amata compagna, riflessioni che sono sue?
    La storica serba Desanka Trbuhovic-Gjuric ha scritto un libro, nel 1985, in cui cerca di accreditare l'idea che quello tra Albert e Mileva sia anche un sodalizio scientifico. Secondo la ricostruzione di Trbuhovic-Gjuric sarebbe stata Mileva a sollevare per prima il problema dell'etere come punto di riferimento universale e sarebbe stata lei a "dare espressione matematica ai concetti [di quella che sarebbe diventata, nda] la teoria della relatività ristretta" [Trbuhovic-Gjuric, 1985].
    La tesi della storica serba è che il sodalizio scientifico è reale e che Albert, in seguito, non avrebbe mai riconosciuto a Mileva questa sostanziale compartecipazione all'elaborazione nella teoria che avrebbe segnato una svolta nella storia della fisica. Nessuno può sapere come siano andate, davvero, le cose. Non ci sono documenti in proposito. Abbiamo, però, alcuni dati di fatto che possono aiutarci a capire.
    In primo luogo, mai Mileva rivendicherà una qualche sua compartecipazione ai risultati raggiunti da Albert, neppure dopo il divorzio e le polemiche conseguenti al divorzio (eh, sì: la coppia si sposerà e si separerà). Inoltre è difficile che Mileva possa essere, come dire, la mente matematica della relatività ristretta. Per due motivi, ben evidenziati da Abraham Pais: il primo è che Mileva non era molto forte in matematica, tant'è che è proprio per l'insufficienza in questa materia che non è riuscita per due volte a superare l'esame al Politecnico di Zurigo. La seconda è che nella teoria della relatività ristretta la matematica è poco presente. E quella che c'è, è matematica elementare [Pais, 1993].
    Probabilmente quello che la storia della fisica deve a Mileva è di aver saputo dare gli stimoli giusti e costruire il miglior clima affettivo e culturale possibile nella fase di massimo sviluppo della creatività di Albert Einstein.
    Ma ci stiamo inoltrando troppo nel mare, pericoloso, delle ipotesi.



    Pag. 61-63:
    Sebbene Albert Einstein abbia organizzato il lancio dei suoi tre razzi fiammeggianti fuori dall'Accademia e senza mai avere un confronto con qualche altro fisico professionista, ha molti debiti intellettuali. O, per dirla con Isaac Newton, è salito sulle spalle di molti giganti.
    Uno, naturalmente, è lo stesso Newton. Un altro, a maggior ragione, è Maxewll.
    Ci sono, ancora, Lorentz, Boltzmann, Hertz, Plank. Due, però, meritano una citazione a parte: Ernst Mach e Henri Poincaré. Perché i due, per esplicito riconoscimento dello stesso Einstein, sono le personalità scientifiche che lo hanno maggiormente influenzato [Cerroni, 1999]. Sia pure da lontano.


    [...]

    ... L'altra importante fonte di ispirazione per Einstein è il francese Henri Poincaré.
    Considerato, insieme a David Hilbert, il più grande matematico di quel periodo. Poincaré è molto interessato ai problemi della relatività. E già nel 1898 aveva iniziato a interrogarsi sui problemi legati alla simultaneità degli eventi. Nel 1900, al Congresso mondiale dei matematici tenuto a Parigi, critica in modo serrato il concetto di etere. Ritorna sull'argomento nel 1902, quando scrive La science et l'hypothèse e sostiene esplicitamente che non esiste un tempo assoluto [Poincaré, 1989]. Nel 1904 in una relazione al Congresso internazionale di Arti e Scienza di Saint Louis, riprende il concetto di "tempo locale" di Lorenz e propone un "postulato di relatività". Poincaré effettua uno di quegli esperimenti mentali in cui Einstein si va affinando e immagina due osservatori che si muovono di moto uniforme e che tentano di sincronizzare i loro orologi mediante segnali luminosi.
    Quegli orologi non segneranno il tempo vero, ma solo un "tempo locale". Tutti i fenomeni sono percepiti, da un osservatore rispetto all'altro, come rallentati.
    E nessuno dei due avrà alcuna possibilità di sapere "se è in quiete o in moto assoluto" [citato in Pais, 1986]. Poincaré giunge a una conclusione:"Forse dobbiamo edificare una nuova meccanica, che riusciamo a malapena a intravedere [...], in cui la velocità della luce sia invalicabile" [citato in Pais, 1986]. La conclusione è giusta, ma si tratta di un'ipotesi qualitativa.
    Non c'è dubbio che, con queste due opere, Poincaré abbia contribuito come pochi altri a creare un clima favorevole alla crisi dei concetti di tempo e spazio assoluti.
    Un clima che, come documenta Arthur Miller, travalica gli ambienti della fisica e della matematica fino a diventare fonte di ispirazione per gli artisti [Miller, 2001]. E' anche ispirandosi a Poincaré che Picasso avrebbe dipinto nel 1906 Les Demoiselles d'Avignon, il quadro che inaugura il periodo cubista e che, a detta del critico Mario de Micheli, manda definitivamente in frantumi la concezione classica dello spazio [De Micheli, 2002].
    Albert Einstein ha letto La science et l'hypothèse. Ne ha a lungo discusso con i suoi amici dell'Accademia Olimpia e ne è stato, per suo stesso riconoscimento, profondamente influenzato.
    Alcuni ritengono, tuttavia, che Poincaré sia giunto in modo del tutto indipendente e addirittura prima di Einstein alla formulazione della teoria della relatività ristretta.
    Il 5 giugno del 1905, infatti, presenta una relazione all'Accademia delle Scienze di Parigi in cui si avvicina moltissimo a quella formulazione. Tuttavia l'opinione di gran parte degli studiosi è che la proposta di Poincaré presenti molti punti deboli e che sia Albert Einstein l'unico e autentico inventore della relatività ristretta [Cerroni, 1999].



    -------------------------------------------------------------------------------------------


    LE SCIENZE, edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICAN,
    anno I, n. 6, dicembre 1998

    EINSTEIN
    quanti e relatività,
    una svolta nella fisica teorica

    di Silvio Bergia.

    Pag. 9:
    Il 1902 è l'anno della svolta. Muore Hermann Einstein e, venuta meno la voce più contraria, Albert sposa Mileva. Non solo, ma ottiene anche la cittadinanza svizzera e, soprattutto, grazie a Grossman, trova finalmente un impiego stabile all'Ufficio brevetti di Berna, città nella quale la coppia si trasferisce nel corso di quell'anno.
    Quello con Mileva era stato un matrimonio d'amore. Ma anche un matrimonio fra due persone che potevano parlare fra di loro di matematica e di fisica. Che questo dialogo vi sia stato è documentato in alcune lettere indirizzate da Einstein a Mileva.
    Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della "nostra teoria", si è da più parti speculato sulla possibilità di un contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche di un'espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagna. In nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt'altro che bene, nel complesso, dalla sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte al fatto che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l'espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d'animo che gli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.



    -------------------------------------------------------------------------------------


    SCIENZA NUOVA, edizione italiana di NEW SCIENTIST, ottobre 1998 - Anno 1 - N° 7, pag. 54-61.

    Il sogno del genio
    di Pietro Greco.

    Pag. 55-56:
    Michele Besso non è solo il migliore amico di Einstein. Che gli resta spiritualmente accanto anche quando Albert lascia la Svizzera prima per Praga, poi per Berlino e infine per Princeton. E' il suo confidente scientifico. L'uomo che, come rileva Pierre Speziali, tra il 1903 e il 1905, "con le sue critiche e i suoi suggerimenti", stimola il giovane Albert e lo costringe "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero", rendendolo "sempre più severo di fronte a se stesso" (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    Nel 1905 Albert Einstein pubblica finalmente quei tre famosi saggi sull'effetto fotoelettrico e la natura corpuscolare dei quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività ristretta che, come dirà Louis de Broglie, "sono tre razzi fiammeggianti che nel buio della notte improvvisamente gettano una breve ma potente illuminazione su una immensa regione sconosciuta" (Ronald Clark, Einstein: the Life and the Times, Avon, 1984). Sono naturalmente tutta farina, quelle idee, del sacco di Einstein. Ma, aiutando l'amico a individuare i giusti obiettivi e a calibrare l'esatta rotta di quei tre razzi fiammeggianti, Michele Besso ha reso, come giustamente sostiene Paul Rossier, "un immenso servizio" alla scienza (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    L'amico Michele Besso non si limita a svolgere questa funzione, per così dire, maieutica del pensiero scientifico di Einstein. E', soprattutto nella prima fase del loro rapporto amicale, il consigliere culturale che fornisce a Einstein indirizzi precisi e preziosi dove allenare il suo genio. E', infine, l'amico di penna che per quarant'anni, dopo quel 1905, lo segue premuroso sia nelle pene della separazione dalla prima moglie, Mileva, sia nell'amarezza della separazione dalle conseguenze epistemologiche che Einstein ritiene legate allo sviluppo della nuova fisica: la meccanica dei quanti.
    Un'amarezza, lucida e dolorosa, non risolta, che ritorna appunto nell'ultima lettera di Albert Einstein a Michele Besso.


    Caro Michele,
    la tua esposizione della teoria della relatività
    generale ne mette in luce molto bene l'aspetto
    genetico. E' però anche importante, in un secondo
    tempo, analizzare l'intera questione da un punto
    di vista logico-formale. Infatti, fino a quando non
    si potrà determinare il contenuto empirico della
    teoria, a causa di difficoltà matematiche
    momentaneamente insormontabili, la semplicità
    logica rimane l'unico, anche se naturalmente
    insufficiente, criterio del valore della teoria.
    ... Il fatto che io non sappia se questa teoria
    [unitaria del campo] sia vera dal punto di vista
    fisico dipende unicamente dalla circostanza che
    non si riesce ad affermare qualcosa sull'esistenza
    e sulla costruzione di soluzioni in ogni punto
    esenti da singolarità di simili sistemi non lineari
    di equazioni.
    ... Io considero però assolutamente possibile
    che la fisica possa non essere fondata sul concetto
    di campo, cioè su una struttura continua.
    Allora, di tutto il mio castello in aria, compresa la
    teoria della gravitazione, non resterebbe praticamente
    niente.

    Cordiali saluti
    tuo A. E.

    (Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.,
    lettera 210 [E. 97])

    Ancora una volta, l'ultima, Michele Besso ha costretto Albert Einstein a essere "severo di fronte a se stesso", ma anche "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero".
    Ancora una volta Einstein non lo delude.
    Il fisico registra, con palpabile delusione ma implacabile lucidità, le "difficoltà matematiche insormontabili" che incontra la sua teoria unitaria del campo.
    Riconosce che la teoria risponde a una (sua personale) esigenza logica, ma che non è (ancora) una teoria "vera" dal punto di vista fisico.
    E questo non è poco per chi, essendo il più noto fisico vivente, alla ricerca di una "vera" teoria unitaria del campo ha dedicato ben oltre trent'anni di lavoro, sfidando la solitudine e l'isolamento scientifici. E non temendo la sconfitta.


    Edited by silverback - 19/2/2009, 20:37
     
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  12. juliya
     
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    CITAZIONE (bartali @ 21/1/2009, 21:04)
    Ottima strategia per stimolare le donne ad impegnarsi "anima e core" alla matematica: asserire che hanno paura di competere con maschi (->appello all'invidia penis).

    beh sì, potrebbe, forse ...considerando che...magari non so... volendo...
    no non funziona. :D
     
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  13. ilmarmocchio
     
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    x Silverback : la mia storiella inventata sulla moglie di Wiles era proprio pensata come riferimento all'affare Einstein-Mileva . Vedrai che tra qualche tempo risultera' che Aristole, Newton, Leonardo ecc. erano DONNE TRAVESTITE DA UOMINI

    P.s. anchio leggo Le Scienze ( da 1988) che mi sembra l'unica rivista scientifica valida in Italia, anche se' e' peggiorata negli anni
     
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  14. *Wolverine*
     
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    CITAZIONE (silverback @ 19/2/2009, 02:17)
    SCIENZA NUOVA, edizione italiana di NEW SCIENTIST, ottobre 1998 - Anno 1 - N° 7, pag. 54-61.

    Il sogno del genio
    di Pietro Greco.

    Pag. 55-56:
    Michele Besso non è solo il migliore amico di Einstein. Che gli resta spiritualmente accanto anche quando Albert lascia la Svizzera prima per Praga, poi per Berlino e infine per Princeton. E' il suo confidente scientifico. L'uomo che, come rileva Pierre Speziali, tra il 1903 e il 1905, "con le sue critiche e i suoi suggerimenti", stimola il giovane Albert e lo costringe "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero", rendendolo "sempre più severo di fronte a se stesso" (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    Nel 1905 Albert Einstein pubblica finalmente quei tre famosi saggi sull'effetto fotoelettrico e la natura corpuscolare dei quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività ristretta che, come dirà Louis de Broglie, "sono tre razzi fiammeggianti che nel buio della notte improvvisamente gettano una breve ma potente illuminazione su una immensa regione sconosciuta" (Ronald Clark, Einstein: the Life and the Times, Avon, 1984). Sono naturalmente tutta farina, quelle idee, del sacco di Einstein. Ma, aiutando l'amico a individuare i giusti obiettivi e a calibrare l'esatta rotta di quei tre razzi fiammeggianti, Michele Besso ha reso, come giustamente sostiene Paul Rossier, "un immenso servizio" alla scienza (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    L'amico Michele Besso non si limita a svolgere questa funzione, per così dire, maieutica del pensiero scientifico di Einstein. E', soprattutto nella prima fase del loro rapporto amicale, il consigliere culturale che fornisce a Einstein indirizzi precisi e preziosi dove allenare il suo genio. E', infine, l'amico di penna che per quarant'anni, dopo quel 1905, lo segue premuroso sia nelle pene della separazione dalla prima moglie, Mileva, sia nell'amarezza della separazione dalle conseguenze epistemologiche che Einstein ritiene legate allo sviluppo della nuova fisica: la meccanica dei quanti.
    Un'amarezza, lucida e dolorosa, non risolta, che ritorna appunto nell'ultima lettera di Albert Einstein a Michele Besso.


    Caro Michele,
    la tua esposizione della teoria della relatività
    generale ne mette in luce molto bene l'aspetto
    genetico. E' però anche importante, in un secondo
    tempo, analizzare l'intera questione da un punto
    di vista logico-formale. Infatti, fino a quando non
    si potrà determinare il contenuto empirico della
    teoria, a causa di difficoltà matematiche
    momentaneamente insormontabili, la semplicità
    logica rimane l'unico, anche se naturalmente
    insufficiente, criterio del valore della teoria.
    ... Il fatto che io non sappia se questa teoria
    [unitaria del campo] sia vera dal punto di vista
    fisico dipende unicamente dalla circostanza che
    non si riesce ad affermare qualcosa sull'esistenza
    e sulla costruzione di soluzioni in ogni punto
    esenti da singolarità di simili sistemi non lineari
    di equazioni.
    ... Io considero però assolutamente possibile
    che la fisica possa non essere fondata sul concetto
    di campo, cioè su una struttura continua.
    Allora, di tutto il mio castello in aria, compresa la
    teoria della gravitazione, non resterebbe praticamente
    niente.

    Cordiali saluti
    tuo A. E.

    (Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.,
    lettera 210 [E. 97])

    Ancora una volta, l'ultima, Michele Besso ha costretto Albert Einstein a essere "severo di fronte a se stesso", ma anche "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero".
    Ancora una volta Einstein non lo delude.
    Il fisico registra, con palpabile delusione ma implacabile lucidità, le "difficoltà matematiche insormontabili" che incontra la sua teoria unitaria del campo.
    Riconosce che la teoria risponde a una (sua personale) esigenza logica, ma che non è (ancora) una teoria "vera" dal punto di vista fisico.
    E questo non è poco per chi, essendo il più noto fisico vivente, alla ricerca di una "vera" teoria unitaria del campo ha dedicato ben oltre trent'anni di lavoro, sfidando la solitudine e l'isolamento scientifici. E non temendo la sconfitta.

    Bella, questa lettera di Einstein a Michele Besso, non l' avevo mai letta.

    CITAZIONE (silverback @ 19/2/2009, 02:17)
    Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della "nostra teoria", si è da più parti speculato sulla possibilità di un contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche di un'espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagna. In nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt'altro che bene, nel complesso, dalla sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte al fatto che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l'espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d'animo che gli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.

    Io credo che Silvio Bergia abbia centrato il punto. Infatti, è più che probabile che Einstein usasse certe espressioni perché innamorato, e quindi tendesse ad attribuire alla moglie meriti che lei, molto probabilmente, non aveva. Effettivamente è poco credidibile che una donna, bocciata per due volte in matematica all' esame finale al Politecnico di Zurigo, possa avere dato un contributo fondamentale alla teoria della relatività. Credo altresì che l' essere innamorati fotta letteralmente gli uomini. Viceversa, dubito che una donna, per quanto innamorata, attribuisca gratuitamente dei meriti al proprio compagno...
     
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  15. silverback
     
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    CITAZIONE (ilmarmocchio @ 19/2/2009, 09:44)
    x Silverback : la mia storiella inventata sulla moglie di Wiles era proprio pensata come riferimento all'affare Einstein-Mileva .

    Sì, lo avevo intuito...
    In merito, leggi pure qua:
    http://www.universitadelledonne.it/nobel%20negati.htm
    CITAZIONE
    Quello di Mileva Maric è un caso che ha suscitato molte polemiche: moglie del fisico di Ulm per sedici anni, divise con lui i momenti cruciali della formulazione della teoria della relatività. Studiavano e lavoravano insieme, al punto che si definivano "ein stein" ("una sola pietra"). Il lavoro di Mileva si confuse talmente con quello di Albert che non è più possibile ricostruirlo e capire quanto meritasse il Nobel assegnato al marito.

    Riguardo alle altre, c'è da dire che effettivamente avrebbero meritato il Premio Nobel, solo che i fatti non stanno esattamente come li raccontano le nostre amatissime e slealissime femministe.
    Per esempio, riguardo al Nobel negato a Rosalind Franklin,
    CITAZIONE
    Diede un contributo rilevante alla biologia molecolare, fornendo le prove sperimentali della struttura del DNA. Per questa scoperta ricevettero il Nobel i suoi colleghi Crick e Watson che realizzarono il modello a doppia elica grazie alle fotografie della diffrazione ai raggi X del DNA scattate dalla Franklin, sottratte dal laboratorio della scienziata. La verità fu rivelata solo molti anni dopo, dallo stesso Watson, nel suo libro "La doppia elica", dove lo scienziato racconta l'episodio del furto in termini scherzosi.

    oltre a raccontare i fatti un po' "a modo loro", nessuna delle nostre care signore evidenzia questo:
    http://lescienze.espresso.repubblica.it/ar...del_DNA/1287700
    CITAZIONE
    A cinquanta anni di distanza, cambia la storia della scoperta di Watson e Crick
    Chi fotografò la doppia elica del DNA?

    La paternità dell’immagine che ispirò Watson e Crick non sarebbe di Rosalind Franklin ma di un suo studente
    APPROFONDIMENTI
    SPECIALE: DNA: 50 anni dopo
    La celebre ‘fotografia 51’ del DNA, che secondo James Watson cinquant’anni fa condusse lui e Francis Crick direttamente alla scoperta della doppia elica, non fu realizzata da Rosalind Franklin come si riteneva, ma da Raymond Gosling, suo studente di dottorato al King’s College di Londra. La foto è sempre stata attribuita a Rosalind Franklin, chimico di talento a cui si devono molte immagini a raggi-X del DNA. Questa foto, in particolare, ha rappresentato l’incredibile contribuito della Franklin alla scoperta, per la quale, alcuni dicono, non ha mai ricevuto gli onori che meritava. Fu infatti Maurice Wilkins, di cui era collaboratrice, a ricevere il premio Nobel nel 1962 insieme a Watson e Crick. La sua vita e il suo contributo alla ricerca sono stati di recente raccontati da Brenda Maddox nel libro “Rosalind Franklin. The Dark Lady of DNA” (HarperCollins, 2002). “Sono stato io a fare quella foto” ha rivelato Gosling, e Brenda Maddox sulla rivista online “BioMedNet News” ha affermato di ritenere possibile questa rivendicazione. Secondo il racconto di James Watson, la vista di questa particolare immagine cristallografica fu una rivelazione che spinse i due scienziati di Cambridge verso la scoperta della struttura della doppia elica. La foto era stata mostrata a Watson per caso da Maurice Wilkins, assistente capo del dipartimento di Rosalind Franklin. Anche se la paternità della foto non diminuisce il ruolo cruciale della Franklin, dovrebbe cambiare quello di Gosling. “Ritengo che il vero martire della storia del DNA sia Gosling, e non Franklin” ha commentato James Tait, il ricercatore che nel 1953 rivelò la struttura molecolare dell’aldosterone, che all’epoca ebbe molta più notorietà di quella della doppia elica.


    (01 maggio 2003)



    Edited by silverback - 24/2/2009, 18:18
     
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