Il rancore femminile
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  • 2) No, in futuro il loro rancore svanirà. Il tempo è un gran dottore
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Il rancore femminile

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  1. *Wolverine*
     
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    CITAZIONE (silverback @ 19/2/2009, 02:17)
    SCIENZA NUOVA, edizione italiana di NEW SCIENTIST, ottobre 1998 - Anno 1 - N° 7, pag. 54-61.

    Il sogno del genio
    di Pietro Greco.

    Pag. 55-56:
    Michele Besso non è solo il migliore amico di Einstein. Che gli resta spiritualmente accanto anche quando Albert lascia la Svizzera prima per Praga, poi per Berlino e infine per Princeton. E' il suo confidente scientifico. L'uomo che, come rileva Pierre Speziali, tra il 1903 e il 1905, "con le sue critiche e i suoi suggerimenti", stimola il giovane Albert e lo costringe "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero", rendendolo "sempre più severo di fronte a se stesso" (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    Nel 1905 Albert Einstein pubblica finalmente quei tre famosi saggi sull'effetto fotoelettrico e la natura corpuscolare dei quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività ristretta che, come dirà Louis de Broglie, "sono tre razzi fiammeggianti che nel buio della notte improvvisamente gettano una breve ma potente illuminazione su una immensa regione sconosciuta" (Ronald Clark, Einstein: the Life and the Times, Avon, 1984). Sono naturalmente tutta farina, quelle idee, del sacco di Einstein. Ma, aiutando l'amico a individuare i giusti obiettivi e a calibrare l'esatta rotta di quei tre razzi fiammeggianti, Michele Besso ha reso, come giustamente sostiene Paul Rossier, "un immenso servizio" alla scienza (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    L'amico Michele Besso non si limita a svolgere questa funzione, per così dire, maieutica del pensiero scientifico di Einstein. E', soprattutto nella prima fase del loro rapporto amicale, il consigliere culturale che fornisce a Einstein indirizzi precisi e preziosi dove allenare il suo genio. E', infine, l'amico di penna che per quarant'anni, dopo quel 1905, lo segue premuroso sia nelle pene della separazione dalla prima moglie, Mileva, sia nell'amarezza della separazione dalle conseguenze epistemologiche che Einstein ritiene legate allo sviluppo della nuova fisica: la meccanica dei quanti.
    Un'amarezza, lucida e dolorosa, non risolta, che ritorna appunto nell'ultima lettera di Albert Einstein a Michele Besso.


    Caro Michele,
    la tua esposizione della teoria della relatività
    generale ne mette in luce molto bene l'aspetto
    genetico. E' però anche importante, in un secondo
    tempo, analizzare l'intera questione da un punto
    di vista logico-formale. Infatti, fino a quando non
    si potrà determinare il contenuto empirico della
    teoria, a causa di difficoltà matematiche
    momentaneamente insormontabili, la semplicità
    logica rimane l'unico, anche se naturalmente
    insufficiente, criterio del valore della teoria.
    ... Il fatto che io non sappia se questa teoria
    [unitaria del campo] sia vera dal punto di vista
    fisico dipende unicamente dalla circostanza che
    non si riesce ad affermare qualcosa sull'esistenza
    e sulla costruzione di soluzioni in ogni punto
    esenti da singolarità di simili sistemi non lineari
    di equazioni.
    ... Io considero però assolutamente possibile
    che la fisica possa non essere fondata sul concetto
    di campo, cioè su una struttura continua.
    Allora, di tutto il mio castello in aria, compresa la
    teoria della gravitazione, non resterebbe praticamente
    niente.

    Cordiali saluti
    tuo A. E.

    (Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.,
    lettera 210 [E. 97])

    Ancora una volta, l'ultima, Michele Besso ha costretto Albert Einstein a essere "severo di fronte a se stesso", ma anche "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero".
    Ancora una volta Einstein non lo delude.
    Il fisico registra, con palpabile delusione ma implacabile lucidità, le "difficoltà matematiche insormontabili" che incontra la sua teoria unitaria del campo.
    Riconosce che la teoria risponde a una (sua personale) esigenza logica, ma che non è (ancora) una teoria "vera" dal punto di vista fisico.
    E questo non è poco per chi, essendo il più noto fisico vivente, alla ricerca di una "vera" teoria unitaria del campo ha dedicato ben oltre trent'anni di lavoro, sfidando la solitudine e l'isolamento scientifici. E non temendo la sconfitta.

    Bella, questa lettera di Einstein a Michele Besso, non l' avevo mai letta.

    CITAZIONE (silverback @ 19/2/2009, 02:17)
    Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della "nostra teoria", si è da più parti speculato sulla possibilità di un contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche di un'espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagna. In nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt'altro che bene, nel complesso, dalla sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte al fatto che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l'espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d'animo che gli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.

    Io credo che Silvio Bergia abbia centrato il punto. Infatti, è più che probabile che Einstein usasse certe espressioni perché innamorato, e quindi tendesse ad attribuire alla moglie meriti che lei, molto probabilmente, non aveva. Effettivamente è poco credidibile che una donna, bocciata per due volte in matematica all' esame finale al Politecnico di Zurigo, possa avere dato un contributo fondamentale alla teoria della relatività. Credo altresì che l' essere innamorati fotta letteralmente gli uomini. Viceversa, dubito che una donna, per quanto innamorata, attribuisca gratuitamente dei meriti al proprio compagno...
     
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