Il rancore femminile
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Il rancore femminile

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    EINSTEIN
    Lo scienziato e il personaggio,
    dalla relatività speciale alla ricerca
    dell'unificazione della fisica

    (Prima edizione: marzo 2004).

    di Pietro Greco.

    Pag. 35:
    Gli anni del Politecnico sono anni felici per Albert, anche perché la famiglia si è sottratta al gorgo delle difficoltà economiche. Il corso di studi, liberamente interpretato dal giovane apolide, si conclude nel mese di agosto dell'anno 1900.
    Quando Albert Einstein sostiene l'esame finale. I voti (espressi da 1 a 6) sono buoni, ma non sono il massimo: 5 in fisica teorica, fisica sperimentale e astronomia; 5,5 in teoria delle funzioni; 4,5 per un saggio sulla conducibilità termica. Il fatto è, scrive Abraham Pais, che le prove universitarie effettuate secondo schemi imposti da altri sono per lui autentiche prove del fuoco [Pais, 1986]. Albert non le sopporta. Gli ci vorrà un anno per riprendere il gusto della fisica, dopo l'esame finale al Politecnico di Zurigo. Esame in cui, peraltro, risulta bocciata una studentessa a lui molto cara, Mileva Maric.
    Mileva ha un curriculum universitario di tutto rispetto. Nel corso di ciascuno degli anni accademici ha ottenuto voti migliori di quelli di Albert. E anche all'esame finale i voti sono discreti, tranne che in matematica. Un'insufficienza che risulta determinante. Mileva ripeterà l'esame l'anno successivo e di nuovo sarà bocciata. Dopo di che rinuncerà per sempre.
    Molto si è detto del ruolo decisivo quanto misconosciuto che avrebbe avuto Mileva nella elaborazione da parte di Albert della teoria della relatività ristretta, di lì a cinque anni [Highfield, 1993]. In realtà, nessun documento fa emergere questo ruolo. Nell'epistolario Einstein-Maric 1896/1900 raramente si parla di fisica.
    E quando se ne parla, a introdurre il discorso è sempre e solo Albert. E lei non risponde. Mai. Dopo il 1901, anno del secondo esame di Mileva al Politecnico di Zurigo, non risulta che la ragazza continui a occuparsi professionalmente di fisica.
    E' molto probabile che Mileva, come Michele Besso o Marcel Grossman, siano gli amici pazienti, fedeli e competenti cui Albert affida le sue riflessioni. E' molto probabile, per usare una metafora pugilistica, che fungano da sparring-partner. E che Mileva sia la prima tra questi sparring-partner. D'altra parte Albert la definisce più volte "la mia mano destra". Non risulta da alcuna documentazione però che Mileva, o Michele, o Marcel o Friedrich o qualche altro conoscente concorra in questi anni con Albert a elaborare una "nuova fisica".




    Pag. 39-40:
    Nella lettera a Mileva dell'ottobre 1900, Albert Einstein parla al plurale. E sempre al plurale parla l'anno dopo, nel 1901, in tre diverse lettere a proposito della "nostra memoria", quando commenta "se almeno avessimo la forza di continuare insieme questo stupendo cammino", e a proposito della "nostra teoria delle forze molecolari". Ancora più forte è l'evocazione, in una lettera del mese di marzo 1901, del tema già trattato nella lettera del settembre 1899, la relatività:"Sarò talmente felice e fiero quando saremo insieme e riusciremo a concludere con successo il nostro lavoro sul moto relativo!".
    Cosa significa questo parlare al plurale? Che Einstein e Mileva lavorano insieme a costruire i fondamenti di una ormai imminente rivoluzione in fisica o che, per un gioco affettuoso, Albert estende al suo sparring-partner intellettuale più vicino e più intimo, all'amata compagna, riflessioni che sono sue?
    La storica serba Desanka Trbuhovic-Gjuric ha scritto un libro, nel 1985, in cui cerca di accreditare l'idea che quello tra Albert e Mileva sia anche un sodalizio scientifico. Secondo la ricostruzione di Trbuhovic-Gjuric sarebbe stata Mileva a sollevare per prima il problema dell'etere come punto di riferimento universale e sarebbe stata lei a "dare espressione matematica ai concetti [di quella che sarebbe diventata, nda] la teoria della relatività ristretta" [Trbuhovic-Gjuric, 1985].
    La tesi della storica serba è che il sodalizio scientifico è reale e che Albert, in seguito, non avrebbe mai riconosciuto a Mileva questa sostanziale compartecipazione all'elaborazione nella teoria che avrebbe segnato una svolta nella storia della fisica. Nessuno può sapere come siano andate, davvero, le cose. Non ci sono documenti in proposito. Abbiamo, però, alcuni dati di fatto che possono aiutarci a capire.
    In primo luogo, mai Mileva rivendicherà una qualche sua compartecipazione ai risultati raggiunti da Albert, neppure dopo il divorzio e le polemiche conseguenti al divorzio (eh, sì: la coppia si sposerà e si separerà). Inoltre è difficile che Mileva possa essere, come dire, la mente matematica della relatività ristretta. Per due motivi, ben evidenziati da Abraham Pais: il primo è che Mileva non era molto forte in matematica, tant'è che è proprio per l'insufficienza in questa materia che non è riuscita per due volte a superare l'esame al Politecnico di Zurigo. La seconda è che nella teoria della relatività ristretta la matematica è poco presente. E quella che c'è, è matematica elementare [Pais, 1993].
    Probabilmente quello che la storia della fisica deve a Mileva è di aver saputo dare gli stimoli giusti e costruire il miglior clima affettivo e culturale possibile nella fase di massimo sviluppo della creatività di Albert Einstein.
    Ma ci stiamo inoltrando troppo nel mare, pericoloso, delle ipotesi.



    Pag. 61-63:
    Sebbene Albert Einstein abbia organizzato il lancio dei suoi tre razzi fiammeggianti fuori dall'Accademia e senza mai avere un confronto con qualche altro fisico professionista, ha molti debiti intellettuali. O, per dirla con Isaac Newton, è salito sulle spalle di molti giganti.
    Uno, naturalmente, è lo stesso Newton. Un altro, a maggior ragione, è Maxewll.
    Ci sono, ancora, Lorentz, Boltzmann, Hertz, Plank. Due, però, meritano una citazione a parte: Ernst Mach e Henri Poincaré. Perché i due, per esplicito riconoscimento dello stesso Einstein, sono le personalità scientifiche che lo hanno maggiormente influenzato [Cerroni, 1999]. Sia pure da lontano.


    [...]

    ... L'altra importante fonte di ispirazione per Einstein è il francese Henri Poincaré.
    Considerato, insieme a David Hilbert, il più grande matematico di quel periodo. Poincaré è molto interessato ai problemi della relatività. E già nel 1898 aveva iniziato a interrogarsi sui problemi legati alla simultaneità degli eventi. Nel 1900, al Congresso mondiale dei matematici tenuto a Parigi, critica in modo serrato il concetto di etere. Ritorna sull'argomento nel 1902, quando scrive La science et l'hypothèse e sostiene esplicitamente che non esiste un tempo assoluto [Poincaré, 1989]. Nel 1904 in una relazione al Congresso internazionale di Arti e Scienza di Saint Louis, riprende il concetto di "tempo locale" di Lorenz e propone un "postulato di relatività". Poincaré effettua uno di quegli esperimenti mentali in cui Einstein si va affinando e immagina due osservatori che si muovono di moto uniforme e che tentano di sincronizzare i loro orologi mediante segnali luminosi.
    Quegli orologi non segneranno il tempo vero, ma solo un "tempo locale". Tutti i fenomeni sono percepiti, da un osservatore rispetto all'altro, come rallentati.
    E nessuno dei due avrà alcuna possibilità di sapere "se è in quiete o in moto assoluto" [citato in Pais, 1986]. Poincaré giunge a una conclusione:"Forse dobbiamo edificare una nuova meccanica, che riusciamo a malapena a intravedere [...], in cui la velocità della luce sia invalicabile" [citato in Pais, 1986]. La conclusione è giusta, ma si tratta di un'ipotesi qualitativa.
    Non c'è dubbio che, con queste due opere, Poincaré abbia contribuito come pochi altri a creare un clima favorevole alla crisi dei concetti di tempo e spazio assoluti.
    Un clima che, come documenta Arthur Miller, travalica gli ambienti della fisica e della matematica fino a diventare fonte di ispirazione per gli artisti [Miller, 2001]. E' anche ispirandosi a Poincaré che Picasso avrebbe dipinto nel 1906 Les Demoiselles d'Avignon, il quadro che inaugura il periodo cubista e che, a detta del critico Mario de Micheli, manda definitivamente in frantumi la concezione classica dello spazio [De Micheli, 2002].
    Albert Einstein ha letto La science et l'hypothèse. Ne ha a lungo discusso con i suoi amici dell'Accademia Olimpia e ne è stato, per suo stesso riconoscimento, profondamente influenzato.
    Alcuni ritengono, tuttavia, che Poincaré sia giunto in modo del tutto indipendente e addirittura prima di Einstein alla formulazione della teoria della relatività ristretta.
    Il 5 giugno del 1905, infatti, presenta una relazione all'Accademia delle Scienze di Parigi in cui si avvicina moltissimo a quella formulazione. Tuttavia l'opinione di gran parte degli studiosi è che la proposta di Poincaré presenti molti punti deboli e che sia Albert Einstein l'unico e autentico inventore della relatività ristretta [Cerroni, 1999].



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    LE SCIENZE, edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICAN,
    anno I, n. 6, dicembre 1998

    EINSTEIN
    quanti e relatività,
    una svolta nella fisica teorica

    di Silvio Bergia.

    Pag. 9:
    Il 1902 è l'anno della svolta. Muore Hermann Einstein e, venuta meno la voce più contraria, Albert sposa Mileva. Non solo, ma ottiene anche la cittadinanza svizzera e, soprattutto, grazie a Grossman, trova finalmente un impiego stabile all'Ufficio brevetti di Berna, città nella quale la coppia si trasferisce nel corso di quell'anno.
    Quello con Mileva era stato un matrimonio d'amore. Ma anche un matrimonio fra due persone che potevano parlare fra di loro di matematica e di fisica. Che questo dialogo vi sia stato è documentato in alcune lettere indirizzate da Einstein a Mileva.
    Poiché in qualcuna di esse Einstein parla di quella che noi avremmo in seguito imparato a chiamare relatività ristretta come della "nostra teoria", si è da più parti speculato sulla possibilità di un contributo decisivo di Mileva a quei risultati; quando non anche di un'espropriazione che Einstein avrebbe compiuto ai danni della sua compagna. In nostro autore, come commenteremo brevemente, esce tutt'altro che bene, nel complesso, dalla sua prima vicenda matrimoniale. Ma su questo punto è difficile prendere sul serio la tesi appena ricordata. Messi di fronte al fatto che il catalogo di Einstein è forte di oltre trecento titoli, mentre quello di Mileva è vuoto, appare molto più probabile che l'espressione einsteiniana abbia preso corpo in uno stato d'animo che gli faceva usare espressioni come Doxerl (bambolina) nel rivolgersi a Mileva.



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    SCIENZA NUOVA, edizione italiana di NEW SCIENTIST, ottobre 1998 - Anno 1 - N° 7, pag. 54-61.

    Il sogno del genio
    di Pietro Greco.

    Pag. 55-56:
    Michele Besso non è solo il migliore amico di Einstein. Che gli resta spiritualmente accanto anche quando Albert lascia la Svizzera prima per Praga, poi per Berlino e infine per Princeton. E' il suo confidente scientifico. L'uomo che, come rileva Pierre Speziali, tra il 1903 e il 1905, "con le sue critiche e i suoi suggerimenti", stimola il giovane Albert e lo costringe "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero", rendendolo "sempre più severo di fronte a se stesso" (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    Nel 1905 Albert Einstein pubblica finalmente quei tre famosi saggi sull'effetto fotoelettrico e la natura corpuscolare dei quanti di luce, sul moto browniano e sulla relatività ristretta che, come dirà Louis de Broglie, "sono tre razzi fiammeggianti che nel buio della notte improvvisamente gettano una breve ma potente illuminazione su una immensa regione sconosciuta" (Ronald Clark, Einstein: the Life and the Times, Avon, 1984). Sono naturalmente tutta farina, quelle idee, del sacco di Einstein. Ma, aiutando l'amico a individuare i giusti obiettivi e a calibrare l'esatta rotta di quei tre razzi fiammeggianti, Michele Besso ha reso, come giustamente sostiene Paul Rossier, "un immenso servizio" alla scienza (Pierre Speziali, "Introduzione", in Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.).
    L'amico Michele Besso non si limita a svolgere questa funzione, per così dire, maieutica del pensiero scientifico di Einstein. E', soprattutto nella prima fase del loro rapporto amicale, il consigliere culturale che fornisce a Einstein indirizzi precisi e preziosi dove allenare il suo genio. E', infine, l'amico di penna che per quarant'anni, dopo quel 1905, lo segue premuroso sia nelle pene della separazione dalla prima moglie, Mileva, sia nell'amarezza della separazione dalle conseguenze epistemologiche che Einstein ritiene legate allo sviluppo della nuova fisica: la meccanica dei quanti.
    Un'amarezza, lucida e dolorosa, non risolta, che ritorna appunto nell'ultima lettera di Albert Einstein a Michele Besso.


    Caro Michele,
    la tua esposizione della teoria della relatività
    generale ne mette in luce molto bene l'aspetto
    genetico. E' però anche importante, in un secondo
    tempo, analizzare l'intera questione da un punto
    di vista logico-formale. Infatti, fino a quando non
    si potrà determinare il contenuto empirico della
    teoria, a causa di difficoltà matematiche
    momentaneamente insormontabili, la semplicità
    logica rimane l'unico, anche se naturalmente
    insufficiente, criterio del valore della teoria.
    ... Il fatto che io non sappia se questa teoria
    [unitaria del campo] sia vera dal punto di vista
    fisico dipende unicamente dalla circostanza che
    non si riesce ad affermare qualcosa sull'esistenza
    e sulla costruzione di soluzioni in ogni punto
    esenti da singolarità di simili sistemi non lineari
    di equazioni.
    ... Io considero però assolutamente possibile
    che la fisica possa non essere fondata sul concetto
    di campo, cioè su una struttura continua.
    Allora, di tutto il mio castello in aria, compresa la
    teoria della gravitazione, non resterebbe praticamente
    niente.

    Cordiali saluti
    tuo A. E.

    (Albert Einstein, Corrispondenza..., op. cit.,
    lettera 210 [E. 97])

    Ancora una volta, l'ultima, Michele Besso ha costretto Albert Einstein a essere "severo di fronte a se stesso", ma anche "a presentare con esattezza l'espressione del proprio pensiero".
    Ancora una volta Einstein non lo delude.
    Il fisico registra, con palpabile delusione ma implacabile lucidità, le "difficoltà matematiche insormontabili" che incontra la sua teoria unitaria del campo.
    Riconosce che la teoria risponde a una (sua personale) esigenza logica, ma che non è (ancora) una teoria "vera" dal punto di vista fisico.
    E questo non è poco per chi, essendo il più noto fisico vivente, alla ricerca di una "vera" teoria unitaria del campo ha dedicato ben oltre trent'anni di lavoro, sfidando la solitudine e l'isolamento scientifici. E non temendo la sconfitta.


    Edited by silverback - 19/2/2009, 20:37
     
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