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  1. vero mummio 2
     
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    CITAZIONE (davide_v @ 25/9/2007, 16:23)
    yahoo.it

    Cassazione: nelle coppie non esiste il diritto all'amplesso

    ROMA - Non si puo' esigere dal partner, sia all' interno del matrimonio sia nell' ambito di una convivenza, alcun tipo di prestazione sessuale, specie se con forme di prepotenza, in quanto non esiste - all' interno dei rapporti di coppia - "un diritto all' amplesso". Lo sottolinea la Cassazione, condannando per violenza sessuale un marito che aveva costretto la moglie - dalla quale e' ora separato - ad avere un rapporto sessuale. La Suprema corte - confermando la condanna per stupro e sequestro di persona - ha respinto la tesi dell' uomo, Giuseppe Z., in base alla quale nell' ambito di una coppia e' da ritenersi che ci sia sempre "un consenso putativo" per il partner al rapporto sessuale. Con questa decisione i supremi giudici della terza sezione penale (sentenza 35408) hanno confermato il verdetto emesso nel maggio 2006 dalla Corte d'appello di Reggio Calabria.

    In merito al reato commesso dall' imputato e alla sua linea difensiva, la Cassazione ricorda che "in tema di reati contro la liberta' sessuale, costituisce violenza sessuale qualsiasi forma di costringimento psicofisico idonea ad incidere sull' altrui liberta' di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, dato che non esiste all' interno di un tale rapporto un 'diritto all' amplesso', né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale".Giuseppe aveva costretto la moglie e il figlioletto di alcuni mesi a seguirlo da Palermo in Calabria, per portarli dai propri parenti ed evitare che la donna si allontanasse da lui e dal clima di violenza che l'uomo aveva instaurato. Nel viaggio, poi, Giuseppe la aveva violentata e picchiata. (ANSA)


    CITAZIONE
    "in tema di reati contro la liberta' sessuale, costituisce violenza sessuale qualsiasi forma di costringimento psicofisico idonea ad incidere sull' altrui liberta' di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, dato che non esiste all' interno di un tale rapporto un 'diritto all' amplesso', né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale".

    Da tenere bene presente per future sentenze della Cassazione.

    Sentenza della suprema Corte nei confronti di un uomo di Trapani
    "Responsabile del crac matrimoniale e di aver leso la dignità della consorte"
    Cassazione, condannato il marito
    che non fa sesso con la moglie

    ROMA - Il marito che rifiuta di fare sesso per anni con la moglie per la corte di Cassazione è colpevole due volte: non solo del crac matrimoniale ma anche per avere leso la "dignità" della consorte in quanto "donna" e come "moglie". La suprema corte, richiamando i coniugi ai loro doveri coniugali, prende spunto dal caso analizzato per stabilire che i mariti che rifiutano di fare l'amore con la moglie, in caso di separazione, si devono fare carico anche dei danni morali arrecati alle consorti con il loro 'rifiuto'.

    Per essersi rifiutato "per ben sette anni di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con la moglie", Francesco G., un uomo di Trapani, si è visto rendere definitivo l'addebito della separazione dalla moglie Piera N. Non solo, per la Prima sezione civile (sentenza 6276/05), l'uomo, avendo negato l'amore, ha arrecato "gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner", causando una "situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso causa di irreversibili danni dell'equilibrio psicofisico".

    Invano il marito, cui già il Tribunale di Trapani (nel maggio 2000) e la Corte d'appello di Palermo (nel novembre 2001) avevano attribuito la colpa della separazione, si è difeso in Cassazione, sostenendo di avere interrotto i rapporti con la moglie perché "aveva preso le difese del fratello quando questi lo aveva ingiustamente accusato di essersi appropriato di somme appartenenti alla cooperativa edilizia da cui era stato realizzato l'appartamento coniugale e della quale era diventato presidente".

    La suprema Corte, allinenandosi "pienamente" al verdetto dei giudici di merito che avevano sottolineato come anche il comportamento tenuto dalla moglie "non era certo confrorme ai doveri di solidarietà verso il marito", non ha potuto fare a meno di evidenziare la "gravità" del comportamento del marito che rifiutandosi di fare sesso ha causato alla consorte "lesione alla dignità di donna e di moglie".

    Perché, come scrive il consigliere Sergio Del Core, non si può "dubitare che il rifiuto, protrattosi per ben sette anni, di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge costituisca gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner e situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso causa di irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico".

    Un rifiuto, quello della "prestazione sessuale" che, "ove volontariamente posto in essere non può che costituire addebitamento della separazione" in quanto rende "impossibile all'altro il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita dal punto di vista affettivo e l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato". Francesco G., il cui ricorso è stato dichiarato "inammissibile" dovrà sborsare anche 3.100 euro per avere portato la moglie in giudizio.

    (24 marzo 2005)


     
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