Natura e cultura

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    Riporto un articolo di Frans B. M. de Waal, pubblicato su LE SCIENZE dossier, n. 7, primavera 2001 (pag. 80-85).
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    Natura e cultura, fine di una controversia

    Da quando posso ricordarlo biologi e sociologi hanno sempre accanitamente litigato. I primi sostengono con forza che i geni svolgono un ruolo importante nel comportamento umano, mentre i secondi ribadiscono che l'uomo è quale egli stesso si costruisce, indipendentemente dalla sua eredità biologica.
    Percepivo l'ardore di questo dibattito, negli anni settanta, ogniqualvolta nei seminari rivolti a un pubblico generico facevo riferimento alle differenze sessuali nel comportamento degli scimpanzé, come per esempio al fatto che i maschi fossero più aggressivi e più ambiziosi delle femmine. Si levavano cori di protesta. Stavo forse proiettando le mie opinioni personali su questi poveri animali?
    Quanto erano rigorosi i miei metodi? Perché mai mi ero preoccupato di confrontare i due sessi: avevo forse mire nascoste? Oggi, se dicessi le stesse cose farei sbadigliare la gente: tutti sanno che uomini e donne hanno prerogative diverse, e molti di noi hanno visto immagini ottenute con la tomografia a emissione di positroni (PET) nelle quali il cervello di soggetti impegnati in compiti di vario genere attiva aree diverse a seconda che si tratti di un maschio o di una femmina. In questo caso tocca a me avere delle riserve. Invece di celebrare la vittoria dell'approccio biologico, guardo ad alcune delle attuali dicotomie fra uomo e donna come a grossolane semplificazioni trasformate in qualcosa di "politicamente corretto" da una serie di colpi bassi maschili. Siamo lontani come non mai da una comprensione profonda delle interazioni fra geni e ambiente. La società ha permesso che il pendolo tornasse a oscillare dalla parte della responsabilità biologica, lasciando dietro a sé una gran quantità di scienziati disorientati. Eppure, si continua a formulare ogni concetto in termini di questa o quell'influenza, piuttosto che di entrambe.
    E' impossibile cercare di capire che cosa ci aspetta nei prossimi 50 anni, senza fermarci a riflettere su quelli appena trascorsi, sulla storia della controversia fra natura ed educazione. Il dibattito è così delicato perché qualunque posizione si prenda è gravata da serie implicazioni politiche. Si va dall'immotivata fede nella flessibilità umana, propria dei riformisti, all'ossessione per la consanguineità e la razza dei conservatori. A modo suo, ciascuna di queste posizioni ha provocato incalcolabili sofferenze umane nel secolo passato.



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    Cinquant'anni fa le due scuole di pensiero dominanti sul comportamento umano e animale partivano da opposti punti di vista. Insegnando ad animali azioni arbitrarie come abbassare una leva, i comportamentisti americani erano arrivati a considerare ogni comportamento come il prodotto di un apprendimento basato su tentativi ed errori. Questo processo era considerato così universale che le differenze fra specie erano irrilevanti: l'apprendimento riguardava tutti gli animali, uomo compreso. O, per dirla con le parole di Burrhus F. Skinner, fondatore del comportamentismo:"Colombo, ratto o scimmia? Non ha importanza di chi stiamo parlando!".
    Al contrario, la scuola di etologia in Europa si concentrò sul comportamento naturalistico. Ogni specie animale viene al mondo con un certo numero di "schemi di fissazione" che, col tempo, si modificano lievemente per influenze ambientali: questi e altri comportamenti specie-specifici rappresentano adattamenti evolutivi. Perciò nessuno deve insegnare all'uomo a ridere o a piangere: queste manifestazioni emotive sono innate, usate e capite da tutti. Allo stesso modo, il ragno non deve imparare a costruire la tela: nasce dotato di una batteria di filiere (tubuli collegati alle ghiandole sericigene) e di un programma di comportamento che lo "istruisce" sul modo di tessere i fili. A causa della loro semplicità, entrambi i punti di vista riscossero un enorme consenso. E sebbene entrambi si ricollegassero all'evoluzione, talvolta lo facevano in modo superficiale e appena accennato. I comportamentisti hanno posto l'accento sulla continuità fra l'uomo e gli altri animali, attribuendola all'evoluzione. Ma poiché per essi l'apprendimento era qualcosa di acquisito e non di innato, finivano con l'ignorare l'aspetto genetico, che invece è proprio ciò di cui si occupa l'evoluzione. Se infatti è vero che il concetto di evoluzione implica continuità, è altrettanto vero che esso implica diversità: ogni animale si è adattato a uno specifico stile di vita in uno specifico ambiente. Come dimostra la frase di Skinner riportata in precedenza, questo aspetto è stato ignorato. Allo stesso modo, alcuni etologi - le cui conoscenze di evoluzione erano piuttosto vaghe - avevano enfatizzato l'origine filogenetica anziché il processo di selezione naturale. Consideravano i caratteri comportamentali, come l'inibizione dell'aggressività, come qualcosa di utile alla specie.
    Il loro ragionamento era che se gli animali si uccidessero a vicenda durante la lotta, la specie non sopravviverebbe. Questo può essere vero, ma gli animali hanno ragioni perfettamente egoiste per evitare battaglie che potrebbero mettere in pericolo loro e i rapporti reciproci. Quindi, tali idee sono state oggi sostituite da teorie su come i tratti caratteriali vadano a vantaggio di chi li mette in opera e della sua prole; e gli effetti globali sulla specie sono considerati solo un sottoprodotto.


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    Il comportamentismo ha incominciato a perdere il proprio ascendente quando si è scoperto che l'apprendimento non è uguale in tutte le circostanze e per tutte le specie. Per esempio, di solito un ratto riesce a collegare azione ed effetto solo se il secondo segue immediatamente la prima; dunque l'animale impiegherebbe molto tempo a imparare a premere una leva se la ricompensa arrivasse parecchi minuti dopo. Quando, tuttavia, capita di star male a causa del cibo, un ritardo di ore fra il pasto e la senzazione spiacevole è ancora in grado di suscitare avversione per il cibo.
    Chiaramente, gli animali sono alunni specializzati e superano meglio quelle situazioni contingenti che risultano cruciali per la loro sopravvivenza. Mentre i comportamentisti erano costretti ad adottare le teorie della biologia evolutiva e a considerare l'esistenza di un mondo esterno al laboratorio, gli etologi e gli ecologisti stavano gettando le basi per la rivoluzione neodarwiniana degli anni settanta. In questo campo il pioniere fu l'olandese Nikolaas Tinbergen, che realizzò ingegnosi esperimenti sul ruolo del comportamento animale nella sopravvivenza. Egli comprese, per esempio, perché molti uccelli espellono dal nido i gusci delle uova dopo che si sono dischiuse.
    Poiché la superficie esterna al guscio è colorata a scopo mimetico, ma l'interno non lo è, i predatori come i corvi individuano facilmente le uova se i gusci vuoti restano lì vicino. Eliminare i pezzi di guscio è una risposta automatica favorita dalla selezione naturale, perché gli uccelli che praticano questo comportamento riescono a mantenere in vita un maggior numero di piccoli.
    Altri autori misero a punto teorie per spiegare quei comportamenti che, a prima vista, non sembrano favorire chi li mette in pratica, ma qualcun altro. Questa sorta di "altruismo" può essere osservato nelle formiche guerriere, che sacrificano la loro vita per difendere la colonia, o nei delfini che portano in superficie un compagno che sta annegando. I biologi hanno supposto che la selezione naturale consenta l'assistenza fra individui imparentati fra loro in quanto strumento per tramandare alle generazioni successive gli stessi geni. Oppure, nel caso di due animali non imparentati fra loro, per far sì che il favore compiuto da uno debba essere ricambiato in futuro.
    Le teorie sulle società di animali che collaborano fra loro sono state così convincenti che si è pensato di estenderle alla nostra specie. La cooperazione nella società umana fu vista come qualcosa che si basava sulle stesse premesse di valori familiari e contraccambio economico.
    Fu un esperto americano di formiche, Edward O. Wilson, ad affermare nel 1975 che buona parte del comportamento umano poteva essere vista sotto una prospettiva darwinista e che le scienze sociali avrebbero dovuto prepararsi a collaborare con la biologia. Fino ad allora le due discipline avevano condotto vita separata, ma dal punto di vista di un biologo la scienza sociale non è molto diversa dallo studio del comportamento animale focalizzato su una singola specie: la nostra. Poiché questo non è il modo in cui i sociologi vedono il loro lavoro, le proposte di unificare i due punti di vista non vennero recepite favorevolmente. Addirittura, uno degli offesi contestatori di Wilson, al termine di un suo seminario pubblico, gli versò sul capo acqua fredda. Per ragioni che spiegheremo più avanti, la sua nuova sintesi, denominata sociobiologia, venne assimilata alle politiche razziali e addirittura all'Olocausto. Sebbene le critiche fossero ovviamente scorrette - Wilson stava infatti offrendo spiegazioni evolutive e non suggerimenti politici - non dovremmo stupirci del fatto che parlare di biologia umana possa avere suscitato forti reazioni emotive.




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  4. ventiluglio
     
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    Natura e Cultura... un ottimo argomento davvero, complimenti Silver per la scelta del topic.

    Molte delle più isopportabili sciocchezze femministe si basano infatti su un madornale e rozzo fraintendimento della questione, che certamente è antica come il mondo, ma nei confronti della quale il femminismo ha contribuito non poco a veicolare idiozie strampalate, così che oggigiorno è più che opportuno fare chiarezza.
    Grazie dunque delle - sempre chiare e documentate, come al tuo solito - informazioni che ci stai portando.


    Lorenzo
     
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  5. silverback
     
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    Generalmente si ritiene che alcuni comportamenti umani possano essere facilmente modificabili in quanto sono stati appresi, mentre altri resistono ai cambiamenti perché fanno parte della nostra eredità biologica. Gli ideologi di ogni razza si sono appropriati di questa concezione per sostenere la natura innata di certe caratteristiche umane (per esempio, differenze di razza nell'intelligenza) e la plasticità di altre (come l'abilità nel superare gli stereotipi legati al genere). Il comunismo si fondava sulla fiducia nella malleabilità umana. Poiché le persone, a differenza degli insetti sociali, sono in grado di reprimere il proprio individualismo in nome di un bene superiore, alcuni regimi hanno accompagnato le proprie rivoluzioni con massicci sforzi di indottrinamento. Tutto ciò, comunque, si è rivelato inutile. Il comunismo si è esaurito perché la sua struttura economica, priva di incentivi, non andava incontro alla natura umana. Sfortunatamente, ciò è successo solo dopo che esso aveva provocato gravi disagi alla popolazione. Più disastrosa fu l'applicazione di alcune teorie biologiche da parte del regime nazista. Anche in questo caso, la collettività (das Volk) era stata posta al di sopra dell'individuo, ma anziché confidare nell'intervento sociale, si scelse la manipolazione genetica. Le persone vennero classificate in categorie "superiori" e "inferiori", la prima delle quali doveva venire protetta da possibili contaminazioni da parte della seconda. Nell'orribile gergo medico dei nazisti, una collettività in salute richiedeva l'eliminazione di tutti gli elementi "cancerosi". Quest'idea venne portata agli estremi in un modo che la civiltà occidentale ha giurato di non dimenticare mai. Non si pensi comunque che le ideologie settarie fossero limitate a particolari luoghi o momenti storici. Nella prima metà del XX secolo, il movimento di eugenetica - che cercava di migliorare l'umanità "allevando solo gli individui più adatti" - godette di ampio seguito fra gli intellettuali, sia negli Stati Uniti sia in Gran Bretagna. Basato su idee ispirate alla Repubblica di Platone, considerava la sterilizzazione degli handicappati mentali e dei criminali una pratica perfettamente accettabile. E il darwinismo sociale - l'idea che in una libera economia capitalista il forte avrà la meglio sul debole, con il risultato di un generale miglioramento della popolazione - ispira ancora oggi il comportamento politico. In quest'ottica, il povero non dovrebbe essere aiutato nella sua lotta per l'esistenza, in modo da non alterare l'ordine naturale delle cose.
    Con queste premesse, è facile comprendere perché categorie di persone oppresse, come certe minoranze o le donne, non riescano a considerare la biologia in termini amichevoli. A queste risponderei avvertendo che il pericolo viene da entrambe le direzioni, dal determinismo biologico così come dal suo opposto, la negazione delle basilari necessità umane e la convinzione che possiamo essere qualsiasi cosa ci piaccia. Le comunità hippy degli anni sessanta, i kibbutz di Israele e la rivoluzione femminista cercarono di ridefinire gli esseri umani. Ma la negazione della gelosia sessuale, del legame genitore-figlio o delle differenze di genere sono sovrastrutture culturali che non tengono conto delle caratteristiche sviluppatesi nel corso della storia evolutiva umana.
    Nell'era attuale l'ecatombe della seconda guerra mondiale sta via via svanendo nella memoria collettiva, mentre le prove di un legame fra geni e comportamento si stanno facendo più evidenti.
    Gli studi su gemelli allevati separatamente sono noti a tutti, e con frequenza quasi settimanale i media riferiscono della scoperta di nuovi geni. Esistono le prove che geni specifici siano coinvolti nella schizofrenia, nell'epilessia e nella malattia di Alzheimer, e addirittura nella predisposizione a comportamenti come il consumo di alcool o la ricerca di emozioni forti.
    Anche le nostre conoscenze sulle differenze genetiche e neurologiche fra uomo e donna, così come su quelle fra omosessuali ed eterosessuali stanno aumentando. Per esempio, sappiamo che esistono somiglianze fra una piccola regione nel cervello dei transessuali e la corrispondente regione nel cervello femminile.



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  6. silverback
     
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    L'elenco di queste scoperte scientifiche si allunga giorno dopo giorno, producendo una massa di dati che è difficile ignorare. E' comprensibile che coloro che hanno trascorso la vita a condannare l'idea che il comportamento umano sia influenzato dall'eredità genetica si dimostrino riluttanti a cambiare idea. Ma il loro atteggiamento contrasta ormai con quello dell'opinione pubblica che sembra avere accettato l'idea che i geni siano coinvolti praticamente in tutto ciò che siamo e facciamo. Allo stesso tempo, la resistenza a paragonarci con gli altri animali si è dissipata grazie ai programmi televisivi di argomento naturalistico che ci hanno mostrato come gli animali siano più intelligenti e interessanti di quanto fossimo soliti credere. Studi sugli scimpanzé e sui bonobo, come quelli effettuati da Jane Goodall e da me, dimostrano che innumerevoli abitudini e potenzialità umane, dalla politica all'allevamento dei figli, alla violenza e persino alla morale, trovano analogie nella vita dei nostri parenti animali più vicini. Come possiamo mantenere il dualismo del passato - fra umani e animali e fra corpo e mente - alla luce di tutte queste prove che ci indicano il contrario?
    Questo, però, non risolve il problema dell'abuso ideologico, anzi lo aggrava. Finché gli uomini faranno politica, descriveranno la natura umana in questo o in quel modo, a seconda dei loro scopi.
    Alla Destra piace sottolineare che l'essere umano sia naturalmente egoista, mentre la Sinistra sostiene che la nostra specie si è evoluta per diventare sociale e cooperativa. Entrambe le posizioni sono in parte corrette e ciò dimostra che vi è qualcosa di sbagliato nel determinismo genetico più ingenuo. E' necessario far capire al pubblico che i geni, di per sé, sono come semi sparsi a terra: privi della capacità di produrre alcunché. Quando si afferma che un carattere è ereditario, tutto ciò che si vuole dire è che parte della sua variabilità può essere spiegata da fattori genetici. Come ha sottolineato anni fa Hans Kummer, primatologo svizzero, cercare di determinare quale percentuale di un carattere sia determinata per via genetica e quale dall'ambiente è tanto inutile quanto il domandarci se il rullare che sentiamo in lontananza è prodotto dal musicista o dal tamburo. D'altro canto, se cogliamo suoni distinti in occasioni diverse, possiamo domandarci legittimamente se la variazione sia causata da musicisti diversi o da strumenti diversi. Questo è l'unico tipo di domanda che la scienza si pone quando confronta gli effetti genetici con quelli derivati dall'ambiente.
    Prevedo che nel campo delle scienze sociali ci sarà un continuo aggiornamento dei legami esistenti fra geni e comportamento, una conoscenza molto più precisa di come il cervello lavori e una graduale adozione del paradigma evolutivo. Il ritratto di Charles Darwin abbellirà finalmente le pareti dei Dipartimenti di psicologia e sociologia! Ma mi auguro che tutto ciò sia accompagnato da un continuo controllo delle implicazioni politiche ed etiche delle scienze del comportamento.
    Tradizionalmente, gli scienziati si sono comportati come se non fosse affar loro il modo in cui sono utilizzate le informazioni che essi producono. In alcuni periodi hanno addirittura contribuito attivamente agli abusi politici. Un'eccezione degna di nota è rappresentata da Albert Einstein, che può fungere da modello della consapevolezza morale necessaria nelle scienze sociali. Se mai la storia ci insegnerà qualcosa, sarà la necessità di rimanere all'erta nei confronti di possibili interpretazioni errate o di rischiose semplificazioni. Nessuno è in una posizione migliore degli scienziati stessi per mettere in guardia contro le storture e per spiegare le complessità di una teoria.



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  7. silverback
     
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    La direzione in cui il pensiero potrà svilupparsi può forse essere illustrata con un esempio relativo ai punti di contatto fra antropologia culturale ed evolutiva. Sigmund Freud e molti antropologi tradizionali, come Claude Lévi-Strauss, hanno ipotizzato che il tabù dell'incesto umano serva a sopprimere i desideri sessuali fra i membri di una stessa famiglia. Freud credeva che le eccitazioni sessuali più precoci dei giovani adolescenti fossero invariabilmente di carattere incestuoso. Di conseguenza, il tabù dell'incesto veniva visto come la vittoria finale della cultura sulla natura.
    Al contrario, Edward Westermarck, un sociologo finlandese che visse all'incirca all'epoca di Freud, ipotizzò che l'intimità familiare precoce (come quella fra madre e figlio o tra fratelli) uccidesse il desiderio sessuale. Si ritrova poca o addirittura nessuna attrazione sessuale, egli notò, tra individui che sono cresciuti assieme. Darwiniano fervente, Westermarck propose che questo fosse un meccanismo evolutivo sviluppatosi per prevenire le deleterie conseguenze della promiscuità.
    Nello studio più ampio portato a termine finora sull'argomento, Arthur P. Wolf, antropologo alla Stanford University, ha preso in esame la storia coniugale di 14.400 donne, in un "esperimento naturale" compiuto a Taiwan. Le famiglie di questa regione erano solite adottare e allevare le future nuore, il che significava che i futuri marito e moglie crescevano insieme fin dalla più tenera infanzia.
    Wolf confrontò questi matrimoni con quelli organizzati fra un uomo e una donna che non si erano incontrati fino al matrimonio. Utilizzando le percentuali di divorzio e fecondità come indicatori rispettivamente di armonia coniugale e di attività sessuale, si ottennero dati che confermavano l'effetto Westermarck: la convivenza nei primi anni di vita sembrava compromettere la riuscita del matrimonio. I primati non umani sottostanno allo stesso meccanismo; molti impediscono che accadano episodi di promiscuità mediante la migrazione di un sesso o dell'altro all'epoca della pubertà. Il sesso che migra incontra partner nuovi con cui non ha rapporti di parentela, mentre il sesso che rimane acquisisce variabilità genetica dall'esterno. Ma gli individui strettamente imparentati che non si allontanano dal gruppo evitano a loro volta gli incontri sessuali.
    K. Tokuda osservò per primo questo comportamento negli anni cinquanta, in un gruppo di macachi giapponesi allo zoo di Kyoto. Un giovane maschio adulto che aveva raggiunto il rango socialmente più elevato faceva ampio uso dei suoi privilegi sessuali, accoppiandosi di frequente con tutte le femmine tranne una: sua madre. Non era un caso isolato: in tutte le comunità di primati gli accoppiamenti madre-figlio sono fortemente inibiti. Persino fra i bonobo - probabilmente i primati più attivi sessualmente sulla faccia della Terra - questa è l'unica relazione in cui il sesso è estremamente raro o assente. Il rifiuto dell'incesto è stato ora dimostrato in modo convincente in molti primati, e si pensa che il meccanismo responsabile di tale comportamento sia l'intimità che si crea nei primi anni di vita.



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  8. silverback
     
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    L'effetto Westermarck è un valido esempio di approccio darwiniano al comportamento umano, poiché si basa su una combinazione di natura ed educazione. Esso comprende una componente legata allo sviluppo (l'acquisizione dell'avversione sessuale), una componente culturale (alcune culture allevano assieme i figli non imparentati fra loro, altre allevano separatamente i figli dei due sessi, ma la maggior parte ha un'organizzazione familiare che porta automaticamente a un'inibizione sessuale fra parenti), una ragione chiaramente evolutiva (la soppressione dell'accoppiamento fra consanguinei) e parallelismi diretti con il comportamento animale. Al vertice c'è il tabù culturale, tipico della nostra specie. Ciò che possiamo chiederci è se il tabù dell'incesto serve solo a formalizzare e a rafforzare l'effetto Westermarck o se aggiunge una dimensione sostanzialmente diversa. La fecondità dei programmi di ricerca che integrino approcci di sviluppo, genetici, evolutivi e culturali con fenomeni ben circoscritti dimostra l'utilità di abbattere le vecchie barriere fra discipline. Verosimilmente, nel prossimo millennio lo studio evolutivo del comportamento umano diventerà sempre più sofisticato, poiché terrà conto della flessibilità culturale: la tradizionale dicotomia tra apprendimento e istinto verrà sostituita da una prospettiva basata su una maggiore integrazione. Nel frattempo, gli studiosi di comportamento animale saranno più interessati agli effetti ambientali sul comportamento e specialmente alla possibilità di una trasmissione culturale di informazioni e abitudini. Per esempio, alcune comunità di scimpanzé utilizzano pietre per rompere le noci, mentre altre, che hanno a disposizione le stesse noci e le stesse pietre, non ne fanno uso.
    Sono differenze che non possono essere spiegate dalla variabilità genetica. Questi due percorsi di sviluppo indeboliranno le dicotomie oggi popolari, fino a eliminarle. Piuttosto che considerare la natura in antitesi alla cultura, acquisiremo una comprensione più profonda del comportamento umano e finalmente seppelliremo senza rimpianti il vecchio dibattito tra natura e cultura.
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    L'autore, FRANS B. M. DE WAAL, è nato nei Paesi Bassi dove si è laureato in zoologia ed etologia.
    Si è trasferito negli Stati Uniti nel 1981 e attualmente è direttore del Living Links Center presso lo Yerkes Regional Primate Research Center di Atlanta, e docente di comportamento dei primati presso il Dipartimento di psicologia della Emory University.
    Le sue ricerche riguardano le interazioni tra i primati, ma anche le radici della moralità e della giustizia nella società umana.

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    Per saperne di più:
    WILSON EDWARD O., Sociobiologia. La nuova sintesi, Zanichelli, Bologna, 1979.
    WOLF ARTHUR P., Sexual Attraction and Childhood Association: A Chinese Brief for Edward Westermarck, Stanford University Press, 1995.
    GOULD STEPHEN JAY, The Mismeasure of Man, W. W. Norton, 1996.
    LUIGI LUCA CAVALLI SFORZA, L'evoluzione della cultura, Codice edizioni, Torino, 2004.

    CITAZIONE (ventiluglio @ 25/7/2006, 13:41)
    Grazie dunque delle - sempre chiare e documentate, come al tuo solito - informazioni che ci stai portando.


    Lorenzo

    Grazie a te per gli apprezzamenti, Lorenzo.
     
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    Ex pugile del web

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    Quanti salamalecchi! <_<

    CITAZIONE
    Siamo lontani come non mai da una comprensione profonda delle interazioni fra geni e ambiente.

    Con una certa malizia mi verrebbe da dire che in queste parole vi è l'essenza di tutto questo bellissimo topic a "puntate". Ma da "profano" mi permetto di asserire che la strada intrapresa da de Waal sia ottima.

    CITAZIONE
    L'effetto Westermarck è un valido esempio di approccio darwiniano al comportamento umano, poiché si basa su una combinazione di natura ed educazione. Esso comprende una componente legata allo sviluppo (l'acquisizione dell'avversione sessuale), una componente culturale (alcune culture allevano assieme i figli non imparentati fra loro, altre allevano separatamente i figli dei due sessi, ma la maggior parte ha un'organizzazione familiare che porta automaticamente a un'inibizione sessuale fra parenti), una ragione chiaramente evolutiva (la soppressione dell'accoppiamento fra consanguinei) e parallelismi diretti con il comportamento animale. Al vertice c'è il tabù culturale, tipico della nostra specie. Ciò che possiamo chiederci è se il tabù dell'incesto serve solo a formalizzare e a rafforzare l'effetto Westermarck o se aggiunge una dimensione sostanzialmente diversa. La fecondità dei programmi di ricerca che integrino approcci di sviluppo, genetici, evolutivi e culturali con fenomeni ben circoscritti dimostra l'utilità di abbattere le vecchie barriere fra discipline. Verosimilmente, nel prossimo millennio lo studio evolutivo del comportamento umano diventerà sempre più sofisticato, poiché terrà conto della flessibilità culturale: la tradizionale dicotomia tra apprendimento e istinto verrà sostituita da una prospettiva basata su una maggiore integrazione. Nel frattempo, gli studiosi di comportamento animale saranno più interessati agli effetti ambientali sul comportamento e specialmente alla possibilità di una trasmissione culturale di informazioni e abitudini. Per esempio, alcune comunità di scimpanzé utilizzano pietre per rompere le noci, mentre altre, che hanno a disposizione le stesse noci e le stesse pietre, non ne fanno uso.
    Sono differenze che non possono essere spiegate dalla variabilità genetica. Questi due percorsi di sviluppo indeboliranno le dicotomie oggi popolari, fino a eliminarle. Piuttosto che considerare la natura in antitesi alla cultura, acquisiremo una comprensione più profonda del comportamento umano e finalmente seppelliremo senza rimpianti il vecchio dibattito tra natura e cultura.

    Massimo rispetto per questo esimio studioso, però io non ho mai negato tutto questo. Quando faccio notare che l'uomo ha un buon grado di "plasmabilità" (termine bruttino ma che rende l'idea) dovuto al fatto che è un animale sociale è questo che intendo dire, non certo negare che vi siano strutture psichiche innate. Sarebbe assurdo ritenere l'essere umano una tabula rasa senza alcuna struttura mentale innata, tutto ciò che siamo adesso non si spiegherebbe.

    Tra l'altro, sempre da "profano", non mi sembra di aver detto cose diverse in questo post del mio blog: http://giubizza.blogspot.com/2007/08/il-di...-e-cultura.html

    Purtroppo sembra che ciò che scrivo sia frutto di miei pensieri e riflessioni arbitrarie perché ho sempre avuto il vizio di documentarmi su vari testi senza annotare le fonti.

    Edited by Giubizza - 12/3/2009, 14:54
     
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    Lupus in fabula

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    Va anche detto che è in ogni caso difficile capire il funzionamento dell'essere umano senza avere idea di come è strutturato l'apparato preposto alle funzioni neurologiche, (il cervello, in ultimo), sarebbe come voler comprendere la fisiologia senza conoscere l'anatomia.
    Se ad es. si nega l'esistenza di una mente non razionale che ha (enorme) importanza nella vita di ognuno, vorrei sapere come si può ammettere l'esistenza di un'influenza genetica.
    L'unica speigazione a quel punto potrebbe essere di tipo religioso, ovvero i geni agiscono attraverso Dio, che in quanto tale è inconoscibile nella sua interezza.
     
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  11. Quinzio2
     
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    CITAZIONE
    L'unica speigazione a quel punto potrebbe essere di tipo religioso, ovvero i geni agiscono attraverso Dio, che in quanto tale è inconoscibile nella sua interezza.

    La sua interezza ?
    Io mi accontenterei anche di un pezzettino, di una briciola, ma manco quella mi e' arrivata.

    Poi che dio operi attraverso i geni, ci puo' stare, del resto tutto diventa possibile quando entra in scena lui.
     
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    Lupus in fabula

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    Ecco.
    ..Se invece dico che esiste una mente inconscia, che sta al di sotto di quanto posso avvertire consciamente (fatto peraltro ultra-ultra assodato e certificato), posso spiegare tante cose senza far ricorso a Dio.
     
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  13. Evilclown
     
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    lunedì 14 aprile 2008
    Darwin vs. Lamarck
    Ciao,

    sicuramente tu come me, sai chi

    è Charls Darwin... perché lo abbiamo

    studiato entrambi a scuola.


    Darwin può essere tranquillamente

    annoverato fra le menti illuminate del '900...


    insieme a personaggi del calibro di:

    Einstein, Heisenberg, Freud, Erickson... ecc...


    Sul mio libro delle superiori avevo

    una buffa immagine di una giraffa che,

    allungando il collo per prendere il cibo dagli alberi...


    modificava il proprio patrimonio genetico,

    facendo nascere una prole con il collo più lungo...




    Questo "disegnino" serviva per ricordare una

    delle prime teorie sull'evluzione... cioè quella di Lamarck...


    Secondo il quale: la tensione dell'organismo a

    migliorare per sopravvivere...viene trasmessa

    direttamente alla prole (ai tuoi figli), per

    aumentarne la possibilità di sopravvivenza.





    Non appena Darwin sviluppò la propria teoria,

    che successivamente fu avvalorata dal noto

    "Mendel dei piselli ;-)"... Lamarck fu completamente accantonato.





    Infatti secondo Darwin, il mix di DNA, che

    permetteva la "conservazione della specie"

    avveniva in modo (più o meno) casuale...


    Se abitavi in una zona malarica e non nascevi

    microcitemico (anemica mediterranea) rischiavi

    di non sopravvivere.





    Ma la malaria, in una percentuale del mondo è

    sparita, e chi oggi è microcitemico ha, meno

    possibilità di sopravvivere…e questo

    è casuale secondo Darwin.





    Ma la differenza più importante è che, queste

    modificazioni, avvenivano nell'arco di intere

    generazioni..


    Per dirla..terra..terra..non è che la scimmia

    si è un giorno risvegliata homo sapiens:-)


    I moderni studi sulla genetica e sulla fisica

    quantistica... stanno ri-abbracciando il concetto

    lamarckiano di evoluzione.





    Questo è sicuramente uno scossone accademico

    che alza continuamente enormi discussioni...

    perchè?


    Perchè...oggi...l'intera biologia è fondata su

    un dogma...quello che Bruce Lipton chiama

    "il dogma centrale".


    Cioè...tutto l'essere deriva dai geni...


    Olpà... faccio un passo epistemologico indietro..

    cioè ripercorro al contrario su

    "che cosa si basa questa conoscenza?"


    La biologia è fondata sulla chimica che, a

    sua volta si basa sulla fisica…


    L'attuale biologia si basa sulla fisica classica,

    quella di Newton...che aihmè...è stata abbandonata

    dai fisici, quasi 75 anni fa...





    La fisica moderna...è quella quantistica...cioè

    quella che afferma che TUTTO è ENERGIA...


    Bruce Lipton nel suo best sellers

    "La Biologia delle Credenze" mostra

    in modo semplice e sobrio come, oggi...


    diversi scienziati stanno applicando la fisica

    quantistica alla biologia... scoprendo cose mai viste

    ;-)


    Primo, l'applicazione dei "quanti", smonta l'egemonia

    del DNA su tutto...infatti (ad esempio) la cellula

    sopravvive tranquillamente anche senza il proprio

    DNA...


    Sintetizzando... è l’energia “egemone” su tutto… e

    il tuo pensiero può modificare questa energia, in

    bene o in male..


    Secondo, esistono prove scientifiche che dimostrano

    che, attraverso l'apprendimento è possibile modificare

    l'espressione genica... Lipton mostra sperimentazioni

    sulle cavie nel suo libro…


    Quindi, quando trasmetti il DNA ai tuoi figli, gli

    stai passando anche quello che hai imparato

    durante la tua vita… esattamente quello che

    affermava Lamarck

    :-O


    Questo dovrebbe mettere la parola "fine" alla

    diatriba fra geni e ambiente.





    E' chiaro che, se guardi la realtà nella sua

    complessità, è inutile cercare... se è l'ambiente

    o il gene a determinare "chi sei"...


    Tuttavia è utilissimo far sapere alle persone che

    POSSONO migliorare...e non hanno bisogno di secoli

    di "selezione naturale" per farlo in modo

    efficace.


    Molte persone pensano di essere delle "bombe ad

    orologeria" che, prima o poi, esploderanno... magari

    perché gli hanno più volte ripetuto che, visto che la

    mamma ha il diabete anche tu lo

    svilupperai... ecc... ecc...


    Per concludere... oggi hai gli strumenti per fare in modo

    che, conoscenze così importanti per la nostra salute

    NON vengano tenute nascoste...


    soprattutto... possiamo iniziare a diventare

    sempre più padroni del nostro destino e delle

    nostre credenze (che lo determinano)

    magari semplicemente tenendoci

    informati.


    Prossimamente scriverò altre cose sull'argomento,

    entrando maggiormente nei dettagli... quindi resta

    collegato ed aziona le tue "antenne".


    A presto

    Genna


    Ps. In Rilassamento Dinamico ti spiego una metodologia

    per modificare da adesso la tua Mente...sviluppando le

    tue potenzialità adesso...e non fra mille anni

    ;-)

    ===========================================
    AVVISO IMPORTANTE: Lunedì 14 Aprile, alle ore 21:00... si
    terrà una teleconferenza online dedicata a Rilassamento Dinamico!

    La partecipazione è chiaramente
    gratuita ed avverrà completamente
    online: un seminario, seduto a casa tua....
    in pantofole ;-)

    Potrai fargli tutte le domande che
    vuoi sul Rilassamento Dinamico
    Gennaro sarà felice di risponderti.


    Pubblicato da Jose' - RicchezzaVera.com alle 5.16



    I polli di Lamarck e i galli di Darwin
    Gallus gallus allo stato brado

    Su PLoS One, uno dei mensili della Public Library of Science, Per Jensen e i suoi colleghi dell’università svedese di Linkoping raccontano l’effetto delle condizioni ambientali su successive generazioni di polli d’allevamento e di galli rossi (i Gallus gallus selvatici dai quali discendono le razze domestiche, in India ce ne sono ancora allo stato brado). La prima generazione è stata divisa in due gruppi: galli e polli coccolati e galli e polli stressati con la luce, accesa a caso da 3 a 24 ore al giorno. Dopo quel trattamento, solo negli stressati domestici diminuiva la memoria, ma tutti quanti competevano più aggressivamente per il cibo.

    La cosa curiosa è che soltanto i pulcini nati da genitori stressati domestici erano anch’essi aggressivi nel procurarsi il cibo, nonostante fosse distribuito in abbondanza a tutti e l’ospitalità decisamente da nababbi. La cosa ancora più curiosa è che nelle uova delle galline domestiche stressate, c’era la stessa quantità di ormoni da stress che in quelli delle coccolate. Quindi l’aggressività di quei pulcini non era indotta dallo stato di salute della madre. Jensen ne deduce che gli ormoni da stress abbiano cambiato l’espressione dei geni che si esprimono nel cervello degli stressati e che sono queste modificazioni genetiche a trasmettersi alla discendenza.

    Qua, non ho capito bene come i cambiamenti genetici passino dalle cellule del cervello ai gameti. Questi non sono esattamente contigui. E non dovrebbero essere “blindati”?

    A parte questo, ho capito che nei polli d’allevamento - ottenuti per selezione innaturale - i figli ereditano i caratteri acquisiti dai genitori durante la propria vita, come diceva Lamarck (e Lysenko, ahinoi). Nei galli selvatici, il patrimonio genetico non risente delle esperienze dei genitori e valgono ancora le regole della selezione naturale come voleva Darwin. Il quale però era anche un po’ lamarckista e la ricerca di Jensen sembra dare ragione ad entrambi, e al buon senso. Separare caratteri epigenetici e genetici è un buon modo, riduzionista, per fare ricerca, nella vita non funziona.

    Fa pensare no? Non sono sicura di darne l’interpretazione giusta, quindi vi riferisco anche quella dell’Economist, meno scettico di me sulle deduzioni di Jensen: ”la domesticazione pare proprio rendere gli animali stupidi.”

    L’articolo è il primo in alto su www.plosone.org

    P.S. Il secondo articolo di PLoS One riguarda la cosiddetta “suscettibilità genetica” di alcune popolazioni alla mortalità per infarto e altri incidenti cardiovascolari, quella che negli Stati Uniti fa tanto discutere perché evoca stereotipi razziali e razzisti. E alcune aziende farmaceutiche ne approfittano per prolungare i brevetti destinando farmaci vecchi a nuovi utenti…

    Sian Henderson e gli altri autori hanno analizzato i dati sanitari di circa 140 mila uomini e donne tra il 1993-1996 e il 2003. Dicono che quella ”suscettibilità” è ampiamente spiegata dai fattori socio-economici e ambientali. Aggiungono che resta ancora da capire come mai la mortalità sia più alta nelle donne afro-americane e di uomini e donne hawaiane. Normalmente non mi occupo di medicina, ma ve lo segnalo per l’onestà e le belle statistiche.



    L'ORNITORINCO SCONFIGGE DARWIN di Massimo Piattelli Palmarini
    14/05/2008


    L' ornitorinco è la dimostrazione che perfino il Padreterno ha un sense of humour. Tra tutte le strane creature che si incontrano in natura, questo mammifero australiano semiacquatico, palmato, potentemente velenoso, con il becco, che depone uova, ma poi allatta i piccoli, e che ha una temperatura corporea piuttosto bassa, è forse la più strana di tutte. È sintomatico che, quando il capitano John Hunter inviò alla Royal Society di Londra, nel 1798, una pelliccia di ornitorinco e un disegno accurato dell' intera bestia, gli scienziati pensarono si trattasse di uno scherzo. Non a caso, sia il filosofo americano Jerry Fodor che Umberto Eco, in un suo magistrale saggio (Kant e l'Ornitorinco), sostengono che, in un mondo in cui esiste tale creatura, forse tutto è possibile. Adesso, interi laboratori di biologi australiani, tedeschi ed americani ne hanno sequenziato il genoma ed è di questi giorni la pubblicazione congiunta su Nature e su Genome Research di una serie di scoperte microscopiche non meno sbalorditive di quelle macroscopiche, quelle date dalla semplice, superficiale vista dell'animale intero. I mammiferi normali, come è noto, hanno una coppia di cromosomi sessuali, XX nelle femmine, XY nei maschi. Ebbene l'ornitorinco ha ben 10 cromosomi sessuali, cinque paia di X nelle femmine, cinque X e cinque Y nei maschi. E ha in tutto la bellezza di 52 cromosomi, contro i nostri 46. Anche al livello genetico fine, si identifica un misto di discendenze, da altri mammiferi, certo, ma anche dai rettili e dagli uccelli. I cromosomi sessuali, per esempio, sono derivati evolutivamente dagli uccelli, mentre il feroce veleno dell'ornitorinco, iniettato da due speroni posti dietro ai gomiti posteriori, contro il quale non esistono per ora antidoti, replica l'evoluzione del veleno dei serpenti. Derivati entrambi originariamente da sostanze anti-batteriche, questi veleni offrono un caso esemplare di evoluzione convergente, cioè di come rami divergenti dell'albero evolutivo abbiano trovato, per così dire, una stessa soluzione dopo essersi separati. Scendendo veramente all'interno dei geni, fino a pescare delle importanti molecole di regolazione fine dell'attività dei geni (chiamate micro-Rna), Gregory Hannon dei laboratori di Cold Spring Harbor (Stato di New York) e Jurgen Schmidtz dell' Università di Münster (Germania) hanno scoperto strette somiglianze con i mammiferi, ma anche con i rettili e con gli uccelli. Inoltre, mentre nei mammiferi una particolare varietà di queste molecole regolatrici resta prigioniera nel nucleo delle cellule, nell'ornitorinco migra e si moltiplica fino a quarantamila volte. Questi scienziati non esitano a parlare di «una biologia diversa» da quella fino ad adesso nota. Sembrerà strano che i pediatri di Stanford si siano interessati da presso all'ornitorinco, ma bisogna pensare che circa un terzo dei bimbi maschi che nascono prematuramente hanno il difetto che i loro testicoli non scendono normalmente nello scroto. Ebbene, l'ornitorinco ha permesso di individuare due geni responsabili di questa discesa, tipica dei mammiferi, ma assente negli uccelli e nei rettili e, potevate scommetterci, nell'ornitorinco. L'esperto delle malattie del sistema riproduttivo, Sheau Yu Teddy Hsu, di Stanford, autore di uno degli studi appena pubblicati su Genome Research, ha dichiarato che l' ornitorinco è un eccellente «ponte» tra i mammiferi, gli uccelli e i rettili. Le peripezie dei testicoli e i geni che le pilotano non hanno adesso più segreti, perché i geni «rilassinici» responsabili sono stati sequenziati in varie specie. Una considerazione su questo punto ci interessa tutti, però, perché depone contro l'idea darwiniana classica che l'evoluzione biologica proceda sempre e solo per piccoli cambiamenti cumulativi. Hsu ha, infatti, scoperto, che il gene ancestrale della famiglia dei «rilassinici» si è scisso in due famiglie distinte, una famiglia presiede alla discesa dei testicoli nei maschi, mentre l'altra famiglia presiede alla formazione della placenta, delle mammelle, delle ghiandole lattee e dei capezzoli nelle femmine. Questi tessuti molli, ovviamente, non lasciano testimonianze fossili, ma la ricostruzione dei geni ha rivelato che c'è stato, milioni di anni fa, uno sdoppiamento: una famiglia di geni, d'un tratto, ha prodotto due famiglie di geni che potevano pilotare due tipi di eventi. In sostanza, potevano permettere la comparsa dei mammiferi dotati di placenta. L'ornitorinco, mammifero privo di placenta e di mammelle, ma con la femmina dotata di latte che viene secreto attraverso la pelle, era l'anello mancante, il ponte evolutivo che adesso connette tutti questi remoti e subitanei eventi evolutivi. Hsu dichiara testualmente: «È difficile immaginare che processi fisiologici tanto complessi e tra loro intimamente compenetrati (discesa dei testicoli nei maschi, placenta, mammelle, capezzoli e ghiandole lattee nelle femmine) possano avere avuto un'evoluzione per piccoli passi, attraverso molti cambiamenti scoordinati». Come dire, ma questo Hsu non lo dice in queste parole: ornitorinco uno, Darwin zero. Ma allarghiamo l'orizzonte oltre l'Australia e l'ornitorinco. Da molti anni ormai i genetisti e gli studiosi dell'evoluzione dei sistemi genetici hanno scoperto svariati casi di moltiplicazione dei geni, cioè si constata che, mentre in un remoto antenato esiste una copia di un gene, o di una famiglia di geni, nelle specie più recenti se ne hanno due copie, poi quattro. Una regoletta generale facile facile, che ha le sue eccezioni, dice uno, due, quattro. Queste moltiplicazioni genetiche sono, sulla lunghissima scala dell'evoluzione, eventi subitanei. Pilotati dai meccanismi microscopici che presiedono alla replicazione dei geni, avvengono per conto loro, prima che i loro effetti sbattano la faccia contro la selezione naturale, e non procedono per piccoli passi. Non si hanno due copie e mezzo, o tre copie e un decimo. Il gradualismo, cioè i piccoli passi fatti a casaccio, uno dopo l'altro, della teoria darwiniana classica vanno a farsi benedire. Il macchinario genetico fa i suoi salti, e poi altri fattori di sviluppo decidono quali di questi salti producono una specie capace di sopravvivere e moltiplicarsi. Tra queste e solo tra queste, la selezione naturale porterà ulteriori cambiamenti. Ma sono dettagli, non il motore della produzione di specie nuove. L'ornitorinco fa parte di una piccolissima famiglia, quella dei monotremi (un solo canale per escrementi e deposizione delle uova). Il compianto Stephen Jay Gould fece notare, giustamente, che differenti ordini di animali hanno un potenziale interno molto diverso di produrre specie nuove. Ottocentomila specie di scarafaggi, qualche decina di specie di fringuelli, poche specie di ippopotami, elefanti, monotremi e, sì, ammettiamolo, di scimmie antropomorfe come noi. Sono tutti «ottimi» animali, cioè sono tutte ottime riuscite dei processi biologici, ma per alcune soluzioni la porta è aperta a tante varianti, a tante specie, per altri, invece, no. Il segreto, ancora largamente misterioso, risiede senz'altro in proprietà interne, nell'organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale. La selezione naturale della teoria darwiniana classica può agire solo su quello che le complesse interazioni della fisica, la chimica, l'organizzazione interna dei sistemi genetici e le leggi dello sviluppo corporeo possono offrire. Perfino in un mondo in cui esiste l' ornitorinco non proprio tutto è possibile.


     
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    Lupus in fabula

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    Io penso però che manipolando informazioni frammentarie sia possibile arrivare a qualunque conclusione. Che però, essendo basate appunto su info frammentarie e troppo variegate, hanno alte probabilità di essere errate.

    Io penso che sia necessario semplificare facendo ricorso alle infos certe di cui disponiamo.

    La teoria di Darwin è abbastanza accreditata e ci si può basare.
    La fisica e tutto il resto, utilizzate per spiegare fenomeni psicologici, sono del tutto superflue.

    Sulla falsariga, potrei citare la teoria dell'universo olografico, che dice che altro non siamo che il prodotto di quanto crediamo (immaginiamo) di vedere e provare. Un universo che si disegna come sulla tela del pittore.
    Chissà, sarà pure vero, ma è una spiegazione poco probabile, per di più superflua.

    Quel tale Gennaro qua sopra, fa ricorso alla fisica quantistica per spiegare quello che la psicologia conosce da secoli.
     
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    CITAZIONE (Reduan @ 8/3/2009, 10:48)
    La teoria di Darwin è abbastanza accreditata e ci si può basare.

    Concordo.
    In merito, su LE SCIENZE del mese scorso, sono stati pubblicati i seguenti articoli:
    L'EREDITA' DI DARWIN, pag. 38-43, di Gary Stix;
    LA GENETICA DELL'EVOLUZIONE, pag. 44-50, di Edoardo Boncinelli;
    DAGLI ATOMI AI CARATTERI, pag. 52-59, di David Kingsley;
    IL PEDIGREE DEGLI ESSERI UMANI, pag. 60-63, di Kate Wong, illustrazioni di Viktor Deak;
    QUESTO VECCHIO, VECCHIO CORPO, pag. 64-67, di Neil H. Shubin;
    CHE NE SARA' DI HOMO SAPIENS, pag. 68-73, di Peter Ward;
    QUATTRO ERRORI SULLA MENTE, pag. 74-81, di David J. Buller;
    EVOLUZIONE E TECNOLOGIA, pag. 82-89, di David P. Mindell;
    DARWIN, L'ITALIA E GLI ITALIANI, pag. 90-95, di Telmo Pievani;
    IL NUOVO VOLTO DEL CREAZIONISMO, pag. 96-103, di Glenn Branch ed Eugene C. Scott;
    DARWIN 1809-2009, pag. 104-105, di Giovanni Spataro.


    LE SCIENZE, edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICAN, febbraio 2009 - Numero speciale: L'EVOLUZIONE DELL'EVOLUZIONE - A 150 anni dalla pubblicazione dell'origine della specie e a 200 dalla nascita del grande naturalista, la teoria di Darwin è più attuale che mai.


     
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26 replies since 24/7/2006, 19:21   852 views
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