nuovi padri e figli senza padre

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  1. fsda
     
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    Lunedì 1 Giugno 2009
    intervista sul quotidiano nazionale L'Avvenire

    cari amici,
    segnalo questa interessante riflessione
    dello psicologo saggista prof. Paolo Ferliga

    http://www.paternita.info/downloads/giorna...1-avvenire.html

    fabio
     
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  2. Zonan
     
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    Accozzaglia di argomentazioni superate e pretestuose, soltanto in Italia sono ancora in grado di riscuotere consensi maggioritari... Pardon se non entro nei dettagli.
     
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  3. ilmarmocchio
     
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    Certo Zonan, i padri sono superati le donne battono gli uomini nello sport, 2 + 2 = 5, ecc...

    Dimenticavo : 10.49 e 9.69 nei 100m. piani sono quasi uguali e Federer, se ha la diarrea, se il suo gatto e' morto, se sua moglie e' stata sorpresa in atti di sodomia con l'amante, se i banchieri del Fondo Mondiale vengono condannati per bancarotta, ecc ecc..., verra' finalmente battuto da u na donna .
     
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  4. Milo Riano
     
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    CITAZIONE (Zonan @ 1/6/2009, 17:30)
    Accozzaglia di argomentazioni superate e pretestuose, soltanto in Italia sono ancora in grado di riscuotere consensi maggioritari... Pardon se non entro nei dettagli.

    Zonan, senza malizia, credimi: mi fai leggere qualcosa sul modello di famiglia che approvi? Consigli su articoli, libri... i ruoli, eccetera?
     
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  5. Scienziato apocrifo
     
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    QUOTE (Zonan @ 1/6/2009, 17:30)
    Accozzaglia di argomentazioni superate e pretestuose, soltanto in Italia sono ancora in grado di riscuotere consensi maggioritari... Pardon se non entro nei dettagli.

    Io invece ti invito ad entrare nei dettagli e se non ne sei in grado o non ti va di farlo, la prossima volta evita pure di intervenire. Credimi, ci fai una piu' bella figura, ..perche' le critiche senza argomentazioni sono solo sintomo di ignoranza o di diesiderio di discredito (senza tra l'altro averne le capacita').
     
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  6. fsda
     
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    Paolo Ferliga è uno dei saggisti ma anche degli uomini più colti, autorevoli, umani (e anche simpatici) che conosco.

    L'unico superato qui sei tu Zonan

     
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  7. silverback
     
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    CITAZIONE (Zonan @ 1/6/2009, 17:30)
    Accozzaglia di argomentazioni superate e pretestuose, Pardon se non entro nei dettagli.

    http://questionemaschile.forumfree.net/?t=19432407
    SPOILER (click to view)
    Dati scientifici sempre più numerosi indicano che i padri interessati - specialmente quelli che si rendono emotivamente disponibili per i figli - danno un contributo unico al benessere dei figli.
    I padri possono influenzare i figli in modi preclusi alle madri, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i compagni e i risultati scolastici. Le ricerche indicano ad esempio che i ragazzi con padri assenti se la cavano peggio nel trovare un equilibrio tra la capacità maschile di affermarsi e il sapersi tenere a freno. Di conseguenza, per loro è più difficile imparare l'autocontrollo e rimandare la gratificazione, capacità che diventano sempre più importanti quando i ragazzi crescono e cercano di conquistare amicizie, successo scolastico e risultati professionali. Una positiva presenza del padre può essere un fattore significativo anche per i risultati scolastici e professionali di una ragazza, benché in questo caso gli indizi siano meno chiari. E' tuttavia evidente che le ragazze con padri presenti e coinvolti nella loro vita hanno minore probabilità di abbandonarsi alla promiscuità sessuale in giovane età e, divenute adulte, è più facile che costruiscano con gli uomini rapporti sani.

    Che cosa manca ai figli quando i loro padri sono assenti, distanti o distratti dalle loro preoccupazioni?
    La ricerca nello sviluppo infantile ci dice che ai figli viene a mancare molto più che una "vicemamma".
    I padri in genere entrano in rapporto con i figli in maniera diversa dalle madri e questo significa che il loro
    coinvolgimento conduce a sviluppare diverse abilità, particolarmente nel campo delle relazioni sociali.
    L'influsso del padre inizia in età molto tenera. Per esempio un'indagine condotta anni fa negli Usa ha scoperto che i bambini di cinque mesi, che hanno molti contatti con i padri, sono più a loro agio con gli adulti estranei alla famiglia. Questi bambini piccoli si esprimono a voce maggiormente con gli estranei e si dimostrano più propensi a farsi prendere in braccio da loro rispetto ai bimbi con padri meno coinvolti.
    Un altro studio ha mostrato che i bambini di un anno piangono di meno quando vengono lasciati soli con un estraneo se hanno avuto più contatti con il loro papà.
    Molti ricercatori ritengono che i padri influiscano sui figli soprattutto mediante il gioco.
    Non solo i padri trascorrono in genere una quota maggiore del proprio tempo con i figli in attività ludiche
    di quanto non facciano le mamme, ma si impegnano anche in giochi di carattere più fisico ed eccitante rispetto alle interazioni materne. Osservando il rapporto tra genitori e neonati, Michael Yogman e T. Berry Brazelton hanno scoperto che i padri parlavano di meno con i bimbi, ma li toccavano di più.
    I padri avevano maggiore propensione a fare rumori ritmati e tambureggianti per attirare l'attenzione dei piccoli. Inoltre il loro modo di giocare assumeva la forma di una sorta di ottovolante emotivo, nel senso che passava da attività che suscitavano un interesse minimo ad altre che eccitavano molto i bambini. Al contrario, le madri mantenevano il gioco e le emozioni dei bimbi su un piano più uniforme.

    Tali differenze si prolungano durante l'infanzia, quando i padri coinvolgono i loro figli in attività più scomposte, che comprendono sollevare il bimbo, farlo rimbalzare sui cuscini e fargli il solletico.
    In genere il papà inventa giochi insoliti e particolari, mentre è più probabile che la mamma si dedichi a pratiche consolidate come i giochi tradizionali, la lettura di un libro, lo smontare e rimontare i giocattoli e il comporre un puzzle.
    Numerosi psicologi sono del parere che lo stile chiassoso e scatenato del papà apre ai figli una strada importante per imparare a conoscere le emozioni. Immaginate il padre che si finge un "orso pauroso" e
    dà la caccia nel giardino al figlio che trotterella pieno di gioia; oppure che lo solleva e lo fa ruotare
    sopra la testa per un "volo in aeroplano". Giochi simili consentono al bambino di sperimentare l'eccitazione dovuta al fatto di sentirsi appena un po' spaventato, ma divertito e stimolato allo stesso tempo. Il bimbo impara a osservare e a reagire ai segnali di papà per fare insieme un'esperienza positiva. Per esempio scopre che quando strilla o ride, papà si diverte e perciò prolunga il gioco. Inoltre osserva papà per cogliere i segnali che il gioco sta per finire ("Va bene, per ora basta")
    e impara a riprendersi dall'eccitazione e a ritornare calmo.
    Queste capacità servono al bambino quando si avventura fuori di casa, nel vasto mondo dei compagni di gioco. Essendosi azzuffato con papà, è in grado di riconoscere i segnali inviati dagli altri quando i sentimenti si accendono. Egli sa come creare un gioco eccitante e sa come reagire agli altri in modi né troppo pacati né incontrollati. Sa come mantenere le emozioni a un livello ottimale per un gioco che sia
    pieno di divertimento.
    Studi su bambini di tre e quattro anni, condotti da Ross Parke e Kevin MacDonald, attestano questo legame tra il gioco fisico con il padre e il modo in cui i bambini vanno d'accordo con i coetanei.
    Osservando alcuni bambini che giocavano con il padre per periodi di venti minuti, i ricercatori hanno
    riscontrato che quei ragazzi, i cui padri praticavano alti livelli di gioco fisico, erano i più benvoluti tra i
    compagni. In questo studio è emersa però una caratteristica interessante e significativa: i ragazzi con padri molto dediti al gioco fisico erano benvoluti solo quando i loro padri avevano giocato con loro in maniera non direttiva e non coercitiva. I bambini, che avevano padri molto amanti del gioco fisico ma altrettanto autoritari, erano giudicati tra i più antipatici.
    Altri studi hanno offerto indicazioni analoghe. I ricercatori hanno riscontrato che i bambini sembrano sviluppare le migliori abilità sociali quando i padri interagiscono con loro in maniera positiva e consentono loro di dirigere in parte lo sviluppo del gioco.
    Quello che è importante è che il padre eviti la critica sprezzante, l'umiliazione e l'eccessiva invadenza nei confronti dei figli.

    Per concludere (ma il discorso sarebbe lungo): anche se numerosi studi - fra i quali quelli di John Gottman* - hanno mostrato che i rapporti madre-figlio sono anch'essi importanti (ovviamente), è stato riscontrato che, a paragone con le reazioni paterne, la qualità del contatto con la madre non è un indice predittivo altrettanto forte del futuro successo o fallimento del figlio a scuola e con gli amici.
    Questa scoperta è stata indubbiamente sorprendente, soprattutto perché le madri in genere trascorrono più tempo con i figli di quanto non facciano i padri.
    I ricercatori ritengono che la ragione per cui i padri hanno questa influenza estrema sui figli è perché il rapporto padre-figlio suscita nei bambini emozioni più potenti.
    ___________________________________________

    *Psicologo americano specializzato in consulenza matrimoniale e in psicologia dello sviluppo.
    Insegna presso l'Università di Washington.

    CITAZIONE
    soltanto in Italia sono ancora in grado di riscuotere consensi maggioritari...

    Non mi pare proprio, visto e considerato che quella italiana è la società mammista per antonomasia.


    CITAZIONE
    Pardon se non entro nei dettagli.

    Entraci pure.
     
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  8. digilando
     
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    Sì, sì, entraci pure.
    Ti aspettiamo... :D
     
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  9. silverback
     
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    CITAZIONE (Zonan @ 1/6/2009, 17:30)
    Accozzaglia di argomentazioni superate e pretestuose, soltanto in Italia sono ancora in grado di riscuotere consensi maggioritari... Pardon se non entro nei dettagli.

    Zonan, cosa ne pensi di questo articolo?
    http://www.gianniroghi.it/Testi/l%27europeo/6639%20.htm
    CITAZIONE
    Questa inchiesta affronta per la prima volta un problema scottante: il rapporto tra madre e figlio, tra madre e figlia. Gli psicologi affermano che particolarmente in questi anni esso si è fatto acuto e preoccupante, e che appare come un fenomeno tipicamente italiano, anche se verrà quasi sicuramente superato dalla prossima generazione di madri. Vediamone le origini


    GLI ERRORI DELLE MADRI ITALIANE NELLA EDUCAZIONE DEI FIGLI



    “La mamma è una sola”, diceva il tema d’italiano in quella classe di seconda media. Gli scolari compilavano ormai da un’ora le solite frasi, quando l’insegnante s’accorse che Pierino, chiamiamolo così, non aveva ancora scritto una riga e se ne stava ingrugnato sul foglio bianco. Pierino era figlio unico di una famiglia borghese modello, l’insegnante conosceva bene sua madre, piacente quarantenne, volitiva e per sua propria definizione “moderna”, che di suo figlio si occupava con appassionata sollecitudine. Pierino, disse la maestra, perché non scrivi niente? Possibile che l’idea della Mamma non ti suggerisca nemmeno una frase, un concetto, un ricordo? “Questo tema”, rispose Pierino, “l’ho già fatto due volte alle elementari e una l’anno scorso”. L’anno scorso, rimbeccò la maestra, era diverso. Infatti era stato il seguente: “Cuore di Mamma”. Pierino ammutolì. La maestra, Mamma anch’essa, rimase afflitta e sconcertata, pensando al voto che avrebbe dovuto dare al foglio bianco di Pierino. Ma quando Pierino lo consegnò, una frase c’era, che rispondeva direttamente al titolo in cima: “A me ne basterebbe metà”. I protagonisti finirono dallo psicologo, con la mamma di Pierino in lagrime.

    È un fatto avvenuto una decina di anni fa. Oggi i temi sulla Mamma sono drasticamente diminuiti: molti insegnanti hanno capito che, nella maggioranza dei casi, e nella migliore delle ipotesi, non rappresentano che un invito a esercitazioni compiacenti. “La verità”, dice lo psicologo, “vi risulta quasi sempre accuratamente nascosta”. Ma sono diminuiti forse anche per una ragione più sottile: “meglio non toccare tasti scabrosi”. Infatti il problema della Mamma, problema nazionale italico, è in fase acuta. Gli psicologi è gli psichiatri italiani vi si dibattono coraggiosamente, ma la marea sale, mentre in altri paesi simili al nostro per configurazione sociale (i paesi “civili”) il fenomeno va sensibilmente attenuandosi, e in parecchi (Europa del Nord) è praticamente scomparso, rimanendo confinato nell’ambito della patologia.

    L’Italia è sempre stata, per antonomasia, il paese della Mamma. Soltanto in italiano esiste un curioso termine popolare: “mammismo”, che ormai è entrato nel linguaggio dei nostri psicologi per definire in fretta concetti tecnici più precisi, come “iperprotettività materna” e simili. I1 perché di questo singolare dato di fatto è ancora in buona parte misterioso. Sul fenomeno del mammismo italico non esistono purtroppo studi psicologici e sociologici, la bibliografia scientifica è nulla, mentre straricca, esorbitante e per vari aspetti sbalorditiva è la casistica che riempie le cartelle mediche dei nostri neurologi, psichiatri e psicologi. È una materia che deve ancora essere filtrata, identificata ed esplorata non soltanto nei suoi modi ma nelle sue ragioni. È una specie di virus di cui si vedono ovunque gli effetti, ma la cui eziopatologia è tuttora avvolta ufficialmente nella nebbia. Alcuni psicologi mi hanno fatto rilevare che l’Italia è anche il paese in cui massimo culto viene tributato alla “madre religiosa”, il culto mariano. Da Jacopone da Todi a oggi la Vergine Madre è al vertice della devozione degli italiani (e degli spagnoli), ciò che non ha mancato di colpire gli etnologi anglosassoni. Ma è difficile stabilire se è questo culto che ha suggerito per riflesso il culto della madre, o se sia invece la predisposizione degli italiani verso il culto della madre che ha sviluppato e sempre più rinvigorito il culto mariano religioso. Più identificabili sono invece alcune ragioni sociologiche: ce le ha indicate il professor Dino Origlia, direttore dell’Istituto di psicologia dell’università di Parma, studioso che si occupa in modo particolare di questo complicato e spinosissimo problema.

    “Spinosissimo”, dice, “poiché lei in Italia può toccare qualsiasi problema, persino il sesso, ma se tocca la madre, apriti cielo. L’affetto materno è sacro, inviolabile, indiscutibile. Soltanto in Italia, io credo, quando si apre un conflitto tra lo psichiatra e la figura della madre, chi vince è sempre la madre. Lei vuole scrivere sul mammismo? Si farà dei nemici e delle nemiche mortali”.

    Cerchiamo anzitutto di definire che cosa s’intende per mammismo, o meglio per iperprotettività materna. Come dice il termine, si tratta di un eccesso di senso protettivo nei confronti del figlio (specialmente se maschio), e di un condizionamento del figlio a questa protezione. La questione puramente affettiva non è in gioco: non è l’affetto anche profondissimo che provoca i guai, bensì il modo con cui si esprime nella vita, nella convivenza quotidiana, nelle diverse stagioni dell’infanzia e soprattutto dell’adolescenza dei figli.

    I guai cominciano, e arrivano talvolta a farsi drammatici, quando l’affetto materno si risolve in un rapporto che tende ad assorbire egoisticamente il figlio nella propria sfera, a mantenerlo piccolo, “piccolo di mamma”, e perciò costantemente immaturo e protetto. La regola insegna che quasi mai la madre, e solo raramente il figlio, si rendono conto della situazione e dei suoi inevitabili sviluppi. La madre iperprotettiva è spesso quella che dichiara di lasciare suo figlio “perfettamente libero”, che si atteggia a “moderna”, che addirittura lo spinge, quando ha superato i diciotto o vent’anni, a “cercarsi delle ragazze” (però mai una moglie). È la madre che si stupisce e s’indigna se lo psicologo le rivela i motivi egoistici del suo comportamento, è la madre che ha sempre in bocca i propri sacrifici, la sua “rinuncia per i figli”. Non si tratta di una madre nevrotica, almeno in misura evidente: è una donna tutto sommato normale, è la madre italiana standard.

    Qui trascureremo le eccezioni patologiche, cioè madri e figli clamorosamente nevrotici, così come diamo per scontata l’esistenza anche in Italia di tante madri esemplarmente equilibrate e coscienti della delicatezza del proprio mestiere. Cercheremo di guardare la media comune.



    Una teoria giusta ma per i neonati

    “La situazione”, dice lo psicologo, “è in fase acuta. I1 problema dell’iperprotettività materna è attualmente in Italia uno dei più preoccupanti della psicologia patologica”. Per lo psicologo o lo psichiatra non importa se un fenomeno pernicioso sia tanto diffuso, in una determinata società, da costituire la norma: per lui è sempre patologico. Un’epidemia è patologica. Si deve così concludere che l’Italia delle Mamme sta attraversando un periodo patologico.

    “Ma è spiegabile”, dice lo specialista.

    Le spiegazioni più evidenti sono tre. La prima si riconduce a un motivo scientifico. Nell’immediato dopoguerra ha ottenuto universale successo la teoria secondo cui un novanta per cento delle nevrosi negli adulti deriva dai cosiddetti traumi dell’infanzia. Massimo trauma: la carenza di affetto materno. Ampi studi, che affondavano le radici persino nella psicologia animale (secondo esperienze eseguite prevalentemente su scimmie antropoidi), dimostravano che soprattutto nelle primissime fasi della vita il bambino ha un bisogno fondamentale del “calore materno”. Queste osservazioni rimangono valide ancor oggi per quanto riguarda il neonato, ma da una decina d’anni si è cominciato a discutere e addirittura a negare questa assoluta necessità della protezione materna per il bambino ormai cresciuto, il bambino che ha acquisito l’uso della parola. “Una delle prove che si portava comunemente”, dice lo psicologo, “era la differenza di maturità psichica rilevabile tra bambini allevati dalla madre in condizioni normali, e bambini del brefotrofio. La relativa tardività di questi ultimi veniva spiegata con la mancanza della madre. Adesso si è cominciato a capire che il difetto non stava tanto nell’assenza del calore materno, quanto nel modo con cui sono fatti e funzionano i brefotrofi, nel modo in cui un bambino è costretto a vivere, a giocare, a maturare in un brefotrofio”.





    Basta pernici voglio pane e salame

    Codesta teoria, ampiamente diffusa anche a livelli popolari, era arrivata a sentenze estremiste: il ragazzo di coppie separate, il bambino senza famiglia e senza madre veniva considerato immancabile vittima d’irreversibili complicazioni nevrotiche. “Poi si è visto”, dice lo psicologo, “che la stragrande maggioranza di questi ragazzi, purché non fossero finiti in cupi brefotrofi o in ambienti comunque depressivi, non diventavano affatto nevrotici, ma anzi maturavano prima degli altri, crescevano con un invidiabile spirito critico, affrontavano la vita senza remore, in perfetto equilibrio con se stessi e col mondo. È soltanto da breve tempo che si comincia a capire che la carenza affettiva, specialmente la carenza affettiva materna, conta ben poco per l’adolescente, mentre il vero pericolo è rappresentato dal suo opposto, cioè dall’affetto smodato. Per il bambino, e tanto più per l’adolescente, è assai meglio crescere a pane e salame che non a continue pernici. Perché è più salutare ambire la pernice e cercare di conquistarsela per conto proprio (l’affetto della moglie), che non doversi mettere a un certo punto a gridare: basta pernici, datemi pane e salame”. Dunque la psicologia sta oggi abbandonando questo mito della necessità delle cure materne. Ma questo mito, convalidato recentemente dalla scienza in modo improprio, ha offerto una spalla in più al mammismo nazionale.

    La seconda spiegazione sta nella condizione sociale di una determinata generazione di madri cittadine e borghesi: quelle che hanno un’età, grosso modo, fra i trentacinque e i cinquant’anni. Lo psicologo le definisce “le casalinghe frustrate”. Sono donne che assistono all’emancipazione femminile di questi anni, ma per lo più dalla finestra. Avvertono il fenomeno, lo seguono, lo discutono, ma ne sono tagliate fuori, non possono prendervi parte. La loro cultura è superata, al massimo hanno fatto il liceo, oppure, in casi rari, si sono laureate ma non hanno esercitato alcuna professione. Di cosa possono occuparsi? Una volta le madri casalinghe si dedicavano alle opere di bene: oggi ci sono le assistenti sociali, uffici assistenziali, enti di prevenzione, l’opera pia è diventata un affare tecnicizzato. “Signora”, diceva uno psichiatra a una casalinga frustrata, responsabile della nevrosi del figlio, “non si occupi così accanitamente della famiglia, vada fuori, esca, vada incontro alla vita”. “Già”, rispose la signora, “ma dove?”.

    In Germania è stato da qualche tempo istituito il lavoro fisso pomeridiano: dalle due alle quattro ore al giorno. La novità ha incontrato uno straordinario favore non solo presso le casalinghe di media età, ma anche presso le stesse aziende commerciali e persino industriali. Le casalinghe, a quanto risulta, si impegnano nel lavoro con un entusiasmo senza pari, rendono il doppio dei dipendenti a giornata piena. In Italia mancano completamente strumenti sociali analoghi per strappare questi milioni di madri dall’inedia psicologica, che rischia sempre di trasformarsi in accidia. Il mondo cammina senza di loro, sui giornali e ovunque leggono e vedono che la donna va conquistando traguardi eccitanti, lavoro, amicizie fuori della famiglia, viaggi, prestigio, condizione sociale, denaro “proprio”, libertà, interessi diversi, ed esse si sentono ancora giovani, ricche di possibilità potenziali. “Vedono la mela”, dice lo psicologo, “ma non possono mangiarla”. E il marito? Il marito sfugge, sta fuori casa la massima parte della giornata, di sera c’è la televisione, i week-end si passano fuori, in macchina, con amici, oppure si va a trovare la mamma (di lui). “Oggi i litigi coniugali sono drasticamente diminuiti, diciamo da cinque a uno. Marito e moglie non hanno più tempo né modo di litigare. Se la moglie aggredisce il marito quando rincasa dal lavoro, quasi di regola lui non reagisce, ma scantona, scivola via: la cena in fretta e poi, liberatore, il video. Così la donna ha perso anche questo sfogo salutare. Le rimane il figlio. Sul figlio riversa interamente se stessa. E il figlio finisce col trovarsi spesso sotto un Niagara”.



    Papa e mamma in concorrenza

    La spiegazione numero tre riguarda la funzione del padre. Fino a pochi decenni fa il padre rappresentava e recitava una figura ben precisa, stereotipata, che oggi ci sembra un po’ comica. Virilissimo, solenne, severo, lontano, supremo giudice, superiore alle faccende domestiche, estraneo alle frivolezze degli affetti. Il padre lasciava il figlio alla madre (come avviene tuttora nelle società primitive) fino all’età giudicata matura per il suo autorevole intervento: a questo punto si sentiva investito del sacro ufficio di “insegnargli a essere uomo”. Casuale e superficiale rimaneva invece il suo rapporto con la figlia, che si limitava a gratificare di illuminati consigli matrimoniali. In queste condizioni, la madre aveva libero gioco, la sua funzione educatrice era insostituibile, perdurava nel tempo, investiva ogni campo.

    Ma oggi il padre si è tagliato i baffoni. In generale è più giovane, i suoi rapporti con i figli sono enormemente più spontanei e diretti: li fa giocare fin da piccoli, li porta alla partita di calcio, all’autodromo, a pescare, gli insegna a nuotare e a sciare, gli parla e ne è buon amico da quando vanno alle elementari. I figli amano tremendamente questo tipo di padre, lo preferiscono quasi sempre alla madre, anche se “la mamma è la mamma”, come ha detto, in tono sbrigativo, un ragazzino allo psicologo che l’interrogava. “Così, ancora una volta questa povera casalinga si vede messa nell’angolo: in questo caso, anzi, le viene tolta l’ultima possibilità di dare una ragione alla propria vita, un senso alle proprie giornate.

    “Le madri in gamba riescono a mantenere l’equilibrio, a trovare il giusto canale per le proprie funzioni educative e il proprio rapporto affettivo, ma un gran numero di esse perde completamente la bussola. Conosco una quantità di questo tipo di mamme”, dice lo psicologo, “che tentano con ogni mezzo di allontanare il figlio dal padre. La manovra è subconscia, ma tenacissima. Dicono, per giustificarsi, che il padre non li capisce, che è troppo severo o troppo condiscendente, che non ha psicologia, oppure che impone loro la sua personalità, che usa violenza al loro “spirito ancora infantile”, che li impedisce di scegliersi la propria strada, che il figliolo cresce condizionato e che senza saperlo ne soffre. In realtà ne soffrono esse stesse, e la gelosia le acceca. Sono madri irriducibili: la loro facoltà critica è completamente soffocata”.



    Le scene edipiche nell’album di famiglia

    Dunque il mammismo è una specie di malattia epidemica attualmente in fase acuta, ma destinata a regressione. La nuova generazione di prossime madri sembra già al riparo. Recenti sondaggi d’opinione pubblica fra le giovani dai sedici ai vent’anni, in grande prevalenza borghesi, cittadine, e perciò studentesse, hanno rilevato che in cima ai loro problemi non sta il matrimonio, la famiglia, i figli, bensì il lavoro. I1 matrimonio compare in seconda posizione. I1 rivolgimento è importante: ancora trent’anni fa, e forse meno, la ragazza di buona famiglia non vedeva, nel proprio futuro, che il problema di trovare marito, un buon marito, e attraverso di lui una buona situazione economica e sociale. Determinante era il lavoro di lui, non il proprio. “Le prossime madri”, dice lo psicologo, “fruiranno realmente dell’emancipazione anche se poi faranno le casalinghe: saranno più colte, più preparate, viaggeranno di più, avranno maggior peso in famiglia, maggiore autonomia, saranno a contatto più diretto con il mondo del lavoro, il mondo che produce, insomma con la società. Così cresceranno i figli senza soffocarli, perché avranno un sacco di altre cose per la testa. Saranno ottime madri, e il mito nazionale andrà scomparendo piuttosto rapidamente”. La società italiana è sempre alla retroguardia, ma presto o tardi finisce con l’adeguarsi, magari con penosi sforzi, al passo svelto degli altri. Diagnosticare queste nostre pene, secondo gli psicologi, significa”razionalizzarle”, cioè riconoscerle, per cui riesce più facile liberarsene. È lo scopo di questa inchiesta.

    Le vittime del mammismo non sono le madri, ma i figli, le nuore e i nipoti. Come e perché? Lo psicologo ha coniato diversi termini: c’è l’Edipo furioso, l’Edipo felice, la Madre sanitaria eccetera. Ci occuperemo di questi personaggi uno alla volta nei prossimi articoli, facendoli parlare direttamente: la madre, il figlio, la nuora, oppure la madre e la figlia. La tentazione di riferire i casi al limite del patologico è forte: per chi sta fuori, sono anche troppo divertenti. Ma il patologico è di là della norma, e noi dobbiamo invece stare al fenomeno comune.

    Esempio? Ecco qua un “Edipo furioso” e sua madre.

    La signora G. L., milanese, entra nello studio dello psichiatra, brevi convenevoli. La signora è sui quarantacinque, abiti, modo e linguaggio la classificano nella media borghesia. Ha sottobraccio un album. Non sto a raccontarle niente, dice secca al professore, le ho portato soltanto questo album, guardi, guardi pure. Il professore apre, sfoglia. Sono fotografie, una ventina. In ogni fotografia si vede un giovane sedicenne che aggredisce in vari modi la medesima signora: qui le sta sopra con un candelabro, qui le punta contro un coltello, qui sembra che stia per calarle un fendente sul cranio con una bottiglia. I1 professore chiude adagio l’album. Domanda: cosa è, un gioco alle figurine? No no, dice la signora, sono cose vere, è cronaca, mio figlio mi minacciava sul serio, e continua a farlo. Ah, dice il professore. E le fotografie? Chi ha fatto queste fotografie? Mio marito, dice la signora. Come? Era sempre pronto? Sì, dice la signora, quando mio marito sente che io e mio figlio discutiamo, comincia a prepararsi. Sa, ha l’hobby della fotografia. Viene lì zitto zitto col flash e aspetta. Dopo un po’ mio figlio dà i numeri e prende il candelabro, il coltello eccetera, e mio marito zac, scatta la foto. Poi se ne va tutto contento. I1 professore ci pensa su un momento, poi chiede: suo figlio, signora, è normale con gli altri, si comporta bene a scuola, con gli amici, in società? Perfettamente, dice la signora: con gli altri è un vero gentleman, normalissimo, cortese, un modello. Dunque solo con lei?... Sì, solo con me, e pensare che lo adoro. I1 professore dice: signora, non sto a chiederle ciò che è avvenuto dopo lo scatto delle fotografie, poiché lei è ancora qui, sana e vegeta, quindi non è successo niente di grave. Ma vorrei dare a suo marito un suggerimento: invece dell’hobby della fotografia, dovrebbe passare a quello per la cinematografia. Perché io ho bisogno di vedere e sapere quello che è successo “prima”. Allora vedrà che anche il coltello si spiega. E la cura la cominceremo, se non le spiace, da lei.

    Una storia paradossale, certo, anche se autentica. La realtà, dice lo psicologo, in questo campo supera ogni immaginazione: nei rapporti tra madri e figli la fantasia del reale non ha limiti. Ma di fronte a queste esacerbazioni chiunque può dire: sono cose da matti, che non mi toccano. Parleremo dunque di quelle che toccano. Le differenze sono soltanto di forma.



    Il problema fondamentale della maglietta

    L’errore di base, s’è detto, è la iperprotettività. Che cosa s’intende esattamente con questo brutto termine? S’intende una pressione psicologica sul figlio, quasi sempre inconsapevole, che tende a mortificarne il naturale processo di maturazione psichica. La madre riconosce che il figlio cresce, si dimostra perfettamente consapevole, a parole, delle sue nuove esigenze, della sua personalità in evoluzione, ma tiene ben fermo il suo atteggiamento “materno”, visto e sentito come impegno protettivo.

    Nella sostanza, l’adolescente è trattato dalla madre come quando succhiava il latte. “I1 mio bambino” diventa “il mio bambinone”. Infinite spie guidano lo psicologo a riconoscere a colpo sicuro la sostanza dei fatti. Ce ne sono di classiche: per esempio la pretesa della madre di lavare la schiena del figlio adolescente. Il lavaggio della schiena è un rito (e lasciamo pur stare Freud). Gli psicologi chiamano la schiena “l’area materna”. Altro indizio tipico: la maglietta. Il problema della maglietta sta alla radice di un numero sbalorditivo di curiose e anche divertenti forme nevrotiche. Gente che si è presa la bronchite perché “finalmente si è tolta la maglietta”. Molto più spesso di quanto lei immagini, mi dice uno psichiatra, io riconosco un “Edipo” da questo classico atto: a un certo punto del suo discorrere mi spiega che lui e forte, sano, sportivo, vigoroso, mai un raffreddore, e apre tra due bottoni la camicia: vede, dice con finta noncuranza, io non porto nemmeno la maglietta.

    Una madre iperprotettiva porta generalmente i propri figli a una crisi, che comincia a verificarsi intorno ai tredici-quattordici anni. La crisi può assumere aspetti opposti, con una infinita gamma di forme intermedie. I1 figlio “Edipo furioso” e il figlio “Edipo felice” rappresentano i due estremi per il sesso maschile. L’esempio che abbiamo riportato prima del giovinetto che inseguiva la madre con candelabri e coltelli, è un estremo già patologico dell’Edipo furioso, ma appena un gradino di sotto troviamo una selva di casi analoghi. L’Edipo furioso è il ragazzo fra i tredici e i quattordici anni che rivela improvvisamente un atteggiamento feroce contro la madre. Nei casi comuni questa avversione si rivela attraverso una totale mancanza di confidenza con le rispostacce , le insofferenze, gli insulti, il chiudersi in camera, la richiesta perentoria di “non essere disturbati”, lo scrollare di spalle ai consigli, i “musi” eccetera. Poi si sale la scala. L’Edipo furioso chiede alla mamma di preparargli un uovo fritto prima di andare a scuola, la mamma glielo prepara con amore, lui prende il tegamino e lo rovescia nell’acquaio. L’Edipo furioso graffia le braccia e le mani della madre quando lei gli porta la colazione, poi mangia tranquillo. Sono tutti casi reali, intendiamoci. La donna mostra i graffi allo psicologo: cosa vuole, dice, bisogna che mi rassegni, altrimenti non mangia. Tipico, tra parentesi, il masochismo caratteristico di queste madri: “Oh, non m’importa se mi uccide, sono sua madre, mi uccida pure’”. L’Edipo furioso si rinchiude in camera e si barrica, guai avvicinarsi: va via! Urla, non ti voglio vedere. Oppure prende il fioretto e lo passa con violenza attraverso la serratura. La madre mostra la ferita ricevuta all’avambraccio, piange, fa la voce drammatica. Lo psicologo le chiede perché mai si sia tanto avvicinata, perché abbia tentato di acchiappare la lama: tanto, dice, lei sa che questi furori sono passeggeri. Risponde la madre: “Ma lui poteva ferirsi!”.



    Quando la madre veglia in attesa

    L’Edipo furioso, come si è ripetuto, non è per niente un matto, anche nei casi più gravi (tipo quelli del candelabro). Non è destinato al manicomio. Ma semplicemente non ne può più di sua madre. La ama, questo sì, ne riconosce i meriti, i famosi sacrifici (il discorso sui sacrifici è però meglio non farglielo, dice lo psicologo, perché è come gettare benzina sul fuoco), ma vuole, furiosamente vuole staccarsene. Non importa se sua madre è “infelice” (“so che è infelice, ma io cosa posso farci se non va d’accordo con suo marito?”: così ha detto un ragazzo di quindici anni): il ragazzo sente che non riuscirà mai a maturare pienamente, non potrà mai realizzare se stesso finche si troverà sotto la tutela materna. Maturare significa superare l’infanzia, e il problema, per quanto grosso, per un ragazzo è fatto di piccole cose, lavarsi da solo, prendersi il raffreddore senza la maglietta, giocare al calcio anche se piove, saltare la colazione, non fare la merenda, e così via. Le esigenze cambiano con l’età. “Una cosa che mi fa andare in bestia”, dice un diciottenne allo psicologo, “è che il sabato sera, quando andiamo fuori con amici e si rincasa a mezzanotte, all’una, mia madre è sveglia, mi aspetta. Magari con una scusa qualsiasi. Ma è lì, in vestaglia. Non mi rimprovera perché ho fatto tardi, mi chiede se mi sono divertito. Ma fa la faccia da vittima. Io la picchierei, e si capisce, faccio apposta a tornare più tardi, magari rimango sotto il portone. Sì, mi pento, mi spiace, perché le voglio bene, ma è possibile che mi consideri ancora un bebé?”. Così, l’Edipo furioso che sente la necessita di staccarsi dalla tutela di mamma, e non può farlo materialmente, tenta di farlo sul piano affettivo. Ecco una frase illuminante, di un ragazzo sedicenne: “I1 giorno che mia madre mi odierà, mi sentirò finalmente libero. E allora le vorrò più bene”. Che “libertà” desiderava questo ragazzo? Non lo sapeva: la libertà, diceva. E lo psicologo spiega con un sorriso: la semplice libertà di essere se stesso, di sentirsi per la prima volta responsabile, di sentirsi Uomo.



    Delizioso l’Edipo felice ma micidiale come marito

    Un discorso tutto diverso per l’Edipo felice. Costui rappresenta il vero “mammista”, ed è perniciosissimo per la sua futura famiglia. A tutti gli Edipi felici, dice Dino Origlia, io imporrei una targhetta da portare sul bavero: “Sono un Edipo felice”, di modo che le possibili fidanzate possano fuggirlo in tempo, evitando così la iattura di un matrimonio sicuramente disastroso. Gli Edipi felici, in Italia, sono legioni.

    Quello che succede all’Edipo felice quando si sposa, lo apprenderemo la prossima volta per bocca degli interessati. Oggi ci basterà catalogarlo. È il figliolone che a un certo punto, per sue particolari inclinazioni, trova comoda la iperprotezione materna e vi si adagia. Non se ne libererà mai più: anzi, non darà più segno di volersene liberare. I1 condizionamento lo accompagnerà per tutta la vita, con massimo trionfo della madre. Il rapporto è di simbiosi. L’idillio è perfetto, viene citato a esempio, suscita commozione. Il rispettivo padre e marito non conta più niente, anzi spesso è il “nemico”. “Nella mia famiglia, con quei due”, dice uno di questi sfortunati, “io sono un estraneo. Quando parlo, vedo che si danno occhiate furtive, occhiate d’intesa. Allora sto zitto e me ne vado”.

    Nella quasi totalità dei casi, dice lo psicologo, non c’è niente da fare: madre e figlio costituiscono un’alleanza infrangibile. Ciò non darebbe fastidio a nessuno, se non ci fosse la probabilità che l’Edipo felice si sposi. Per noi psichiatri e psicologi è un vero dovere sociale salvare dal matrimonio le possibili mogli di questi individui terribili. Perché tra l’altro sono in apparenza mariti ideali: gentili, premurosi, lievemente femminei come piace alle donne, delicati, fedelissimi, lavoratori, precisi, puntuali, eleganti, accurati, competenti in moda femminile, ricercati nei modi. Un poco vicini, dice lo psicologo, alla figura dell’invertito, che infatti è per lo più dotata di un particolare fascino, cui proprio la donna è particolarmente sensibile. Gli Edipi felici sono mariti ambitissimi. Ma l’inferno comincia il giorno dopo del “si” micidiale.

    I maschi coccolati finiscono dunque a reazioni opposte, secondo i diversi caratteri. Curabili, dice lo specialista, gli Edipi furiosi: basta l’età, del resto, a sistemare quasi sempre le cose, a riequilibrare i rapporti. Incurabili, abbiamo già detto, gli Edipi felici. Ma le ragazze? Il problema è più complicato, od è fatto soprattutto di vari stadi d’incomprensione. L’iperprotezione o mammismo riguarda quasi solamente i maschi. Con la figlia l’errore più frequente è quello di sbagliare il proprio comportamento nei confronti del mondo. La figlia adolescente sta diventando donna, sua madre è il modello di donna più vicino: un modello che viene perciò accuratamente osservato, studiato, spiato, imitato. “Non ho ancora capito che cosa mia figlia voglia da me”, dice una madre quarantenne, piacente, della media borghesia. “Se mi vesto elegantemente, con ricercatezza, se mi trucco un briciolo di più del solito, magari per uscire di sera, mi critica volgarmente. Se sono dimessa, senza trucco, semplice, mi sgrida che sono brutta e vecchia. Non è mica facile capire come mi vuole: in ogni caso se la piglia sempre con me e con quello che faccio o non faccio, è una vera persecuzione”. L’equilibrio è difficile: la signora quarantenne sta combattendo per suo conto ben altre battaglie che non quelle materne. La figlia è generalmente impietosa, non ammette che le proprie esigenze: il problema sessuale della madre le è perfettamente indifferente, o al massimo se lo figura come secondario e fastidioso, mentre per la madre può essere in realtà drammatico. Ma anche qui, la radice storta affonda in un terreno vecchio, anche qui è la madre che paga un vecchio conto: la figlia è la spettatrice della recitazione materna, la figlia sta in poltrona a guardare. È la madre che deve sapere recitare bene, fin dagli inizi. Per quale ragione la figlia può mettersi d’un tratto a fischiare ferocemente? Cercheremo di farcelo dire.

     
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  10. LOL WUT
     
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    CITAZIONE (silverback @ 2/6/2009, 09:53)
    Non mi pare proprio, visto e considerato che quella italiana è la società mammista per antonomasia.

    Quoto in pieno.
    E mi sono anche letto l'articolo che hai citato. Ringrazio il cielo di non avere mai avuto problemi di attaccamento materno.

    Spero che la situazione si risolva davvero con il ricambio generazionale, come descritto lì.
     
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  11. Zonan
     
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    CITAZIONE (silverback @ 2/6/2009, 11:47)
    Zonan, cosa ne pensi di questo articolo?
    [URL=http://www.gianniroghi.it/Testi/l%27europeo/6639%20.htm]

    Te lo farò sapere se e quando avrò il tempo di leggerla, visto che la lunghezza rende poco corretta la tua richiesta,
    per il resto vale ciò che ho detto più volte, cioè che non ritengo di dover ogni volta spiegare tutto su tutto,
    (come la mia opinione stessa, che non è quella che mi viene insinuata e cioè che i padri sono superati: è che non hanno quelle peculiari funzioni, rivendicarle è pretestuoso ed è un boomerang, tranne forse - per l'appunto - in paesi degradati come il nostro, dove il mammismo è proprio un indicatore del degrado, è un falso femminismo),
    perlopiù citando fonti che da tempo ho smesso di annotare (ma chiunque le può trovare da una breve ricerca, certo non fatta coi paraocchi), in caso la prossima volta farò come dite e cioè eviterò d'intervenire,
     
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  12. Milo Riano
     
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    Io, invece, sono mosso da sincera curiosità. Se ti chiedo di farmi leggere qualcosa, Zonan, è perché penso che condividendo quel pensiero avrai già fatto una selezione, e questo avrebbe potuto aiutarmi. Sì, posso cercare da solo, ma allora che comunità è, questa? E' chiaro che non sono contento quando vedo che ogniqualvolta si parla di ruolo del padre, tu te n'esca con "ciarpame senza pudore" e STOP. Me ne farò una ragione. Quanto all' oggettività delle ricerche più "moderne" e "attendibili" che tu sostieni, mi viene da dire che l' argomento è roba da psico-socio-qualcosa-logia, e non di fisica (tra 1000 anni gli oggetti cadranno ancora verso il basso, sicuro!). Come a dire che al più so' tutti partigiani, o sbaglio?
     
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  13. Tex6969
     
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    Zonan
    CITAZIONE
    cioè che non ritengo di dover ogni volta spiegare tutto su tutto,

    Associandomi a ciò che ha affermato Scienziato Apocrifo ti faccio presente che non è corretto criticare senza darne una motivazione.

    CITAZIONE
    in caso la prossima volta farò come dite e cioè eviterò d'intervenire,

    Grazie, credo sia un'ottima soluzione.
     
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  14. Guit
     
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    Credo come ha già detto la maggior parte di noi, che il forum serva per argomentare e non per lanciare frecciatine.

     
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  15. Zonan
     
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    CITAZIONE (Milo Riano @ 2/6/2009, 19:24)
    quando vedo che ogniqualvolta si parla di ruolo del padre, tu te n'esca con "ciarpame senza pudore" e STOP. Me ne farò una ragione. Quanto all' oggettività delle ricerche più "moderne" e "attendibili" che tu sostieni, mi viene da dire che l' argomento è roba da psico-socio-qualcosa-logia, e non di fisica (tra 1000 anni gli oggetti cadranno ancora verso il basso, sicuro!).

    Nelle mie uscite ci sono aggettivi più qualificativi e ricchi di contenuto, come "superato", che per il ruolo del padre sottintende cose emerse da ricerche fatte ad esempio sui bambini cresciuti genitori dello stesso sesso, e se non annoto le fonti è perché per me (e non soltanto per me, fuori da questo paese degradato) quelle cose sono realtà lampanti come lo è tanta storia documentata dei vari paesi, che quindi non ritengo di dover ridocumentare ogni volta citando i nomi dei testi di storia (magari scolastici) e via dicendo... Se a te viene da dire roba da psico-socio-qualcosa-logia, di sicuro non stai parlando del ruolo del padre, perché il ruolo del padre certo tutto è fuorché fisica.
     
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32 replies since 1/6/2009, 14:15   897 views
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