Gli uomini sanno empatizzare
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Gli uomini sanno empatizzare

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  1. silverback
     
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    CITAZIONE (COSMOS1 @ 10/11/2008, 18:11)
    Argento Dietro, xkè posti questi avvenimenti?

    Perché, non dovrei?

    CITAZIONE
    xkè la lite tra uu dimostra la loro non empatia?

    Perché, forse la dimostra?

    COSMOS1, ma tu hai mai avuto a che fare con dei "figli di buona donna" ?


    CITAZIONE (silverback @ 8/12/2006, 19:25)
    Ogni uomo ha da raccontare una storia di quand'era ragazzo - ricordi di cameratismo - e magari un episodio di iniziazione. Può darsi che riguardino un amico, oppure il "branco", magari i tempi memorabili trascorsi insieme scorrazzando in bicicletta, giocando a pallone, andando al cinema o anche, semplicemente, "bighellonando".
    Oppure, può darsi che la sua storia non riguardi tanto gli amici quanto piuttosto un evento, un momento che oggi è intenso nella memoria come il giorno in cui accadde, anni fa.
    Queste sono le storie che agli uomini piace raccontare.

    E poi ci sono altre storie di iniziazione che gli uomini non raccontano altrettanto volentieri o non raccontano affatto, perché anche a distanza di anni il dolore emotivo legato all'esperienza continua a disturbarli profondamente come il giorno in cui l'evento accadde, quando avevano dodici o quattordici anni.
    Queste sono storie di crudeltà - di prepotenza, umiliazione, paura e tradimento - che la stragrande maggioranza delle donne non sente mai narrare e che in genere uomini e ragazzi non riescono a condividere nemmeno fra di loro.

    A partire all'incirca dai dieci anni, quando un bambino si avvicina alla pubertà, il normale sviluppo cognitivo lo rende più consapevole di se stesso e della sua posizione nel gruppo, alzando la posta in gioco in tutte quelle occasioni di competizione nelle quali i giovani maschi vanno consumandosi: chi è più forte, chi piace di più alle ragazzine, chi prende i voti migliori, chi gioca meglio a basket, chi è più ricco e ha le cose migliori, chi riesce ad avere il sopravvento nei loro scontri verbali.
    Il desiderio di autonomia di un ragazzo, il fatto che ora sia sottoposto a una minor supervisione degli insegnanti e il suo desiderio di svincolarsi dall'influenza dei genitori, ne fa una recluta volontaria nella cultura del gruppo dei suoi coetanei.

    Allo stesso tempo, il gruppo pretende da lui un'adesione completa, e lo metterà in ridicolo ogni qualvolta egli non si conformerà. Non importa se si tratta dei programmi televisivi che guarda, dei libri che legge, delle scarpe che porta, del colore delle calze, della lunghezza dei calzoncini, del taglio dei capelli, del suono della risata o altro: qualsiasi cosa un ragazzo faccia o dica di diverso dal suo gruppo può essere, e di fatto sarà, usata contro di lui.
    I cambiamenti fisici di questa età - l'altezza, la muscolatura, la voce e la comparsa dei peli sul viso, per esempio - non fanno che aumentare l'imbarazzo di un adolescente.

    Quasi tutti i ragazzi nascondono la propria sofferenza, perché ammetterla sembra una debolezza. E tutti cercano, se appena è possibile, di giocare d'anticipo, spostando l'attenzione sugli altri per distorgliela da sé. In questa guerra psicologica nessuno è al sicuro, né ci sono veri "vincitori". Quando si inoltrano in questa età così incerta, i giovani maschi hanno un disperato bisogno di modelli di ruolo, e nella maggioranza dei casi l'immagine dominante della maschilità (o "mascolinità", come dicono "gli esperti"...) richiede sempre forza e stoicismo.
    Fra di loro i ragazzi si impegnano in una continua guerra psicologica. I più grandi tormentano i più piccoli - sopraffacendoli grazie alla superiorità fisica - e i più piccoli li imitano, creando un ambiente che contrappone il forte e il debole, il simpatico e l'antipatico, chi ha il potere e chi non ce l'ha, il "branco" ispirato alla conformità e il ragazzino che in un modo o nell'altro non riesce ad adeguarsi alle aspettative del gruppo.

    In proposito riporto dei fatti accaduti negli anni Novanta negli USA; fatti che, comunque, accadono dappertutto.

    Un pomeriggio era capitato un episodio significativo nella sala di ritrovo di una scuola della East Coast; un alunno di prima media, spalleggiato da alcuni amici dall'aria contrita, finse di essere sconvolto per la morte del padre. Un altro ragazzino lo avvicinò per consolarlo, credendo sinceramente che l'altro si trovasse nella più triste delle circostanze.
    Dopo aver preso in giro il suo premuroso compagno per diversi minuti, l'altro confessò l'inganno - i suoi genitori erano vivi e vegeti - e una volta trionfalmente rivelato lo scherzo, lui e i suoi amici si fecero una gran risata.
    Il ragazzo compassionevole, che si sentiva stupido e rabbioso per essere caduto nella trappola, diventò lo zimbello degli altri. E imparò la lezione: la prossima volta, non sarebbe stato tanto lesto a mostrare compassione.

    E ancora:
    Al compleanno di un bambino che non riscuoteva le loro simpatie, un gruppo di ragazzi cantò per lui la tradizionale canzoncina, ma finse di essersi dimenticato il suo nome. Quando l'imbarazzo del festeggiato fu palese, essi si scusarono e poi tirarono fuori la torta: un blocco di ghiaccio ricoperto di glassa.
    Negli spogliatoi della palestra, alcuni ragazzi urinarono sui vestiti dei compagni e nelle bottiglie del loro shampoo. Ci furono casi di "strizzamento dei capezzoli", dolorosi e umilianti per la vittima. I ragazzi facevano gli svenevoli e si strofinavano contro i compagni bersagliati dalle molestie. A volte mettevano dei preservativi usati o della spazzatura fra i loro vestiti o nei loro armadietti.

    In genere, né la vittima né i suoi amici riportavano questi incidenti agli insegnanti, soprattutto perché sapevano che gli atti erano di natura talmente intima e così chiaramente dolorosi che qualsiasi adulto, insegnante o genitore, li avrebbe disapprovati; ci sarebbero stati dei castighi e le ripercussioni avrebbero potuto essere peggiori dell'incidente originale.
    Come se non bastasse, mostrare il proprio dolore sarebbe equivalso a un'ammissione di sconfitta e non avrebbe fatto che aumentare la vulnerabilità della vittima di fronte a nuove ondate di derisione e di attacchi. Chiunque sa che è così.

    Perché mai un ragazzo dovrebbe starsene seduto a disagio in classe preferendo trattenersi per un intero pomeriggio di lezioni piuttosto che mettere piede in bagno e liberarsi? Perché una fila di orinatoi aperti è un invito all'umiliazione. Tutto quel che ci vuole è una rapida spinta da dietro, e il ragazzo che perde l'equilibrio resta con i calzoni bagnati, ridicolizzato all'infinito. Non solo l'aggressore lo tormenterà; qualsiasi altro ragazzo abbia assistito all'episodio, o ne abbia anche solo sentito parlare, rincarerà la dose. Lo prenderanno in giro, e continueranno a mormorare e ridacchiare per l'accaduto finché qualcun altro, ancora più umiliato, non prenderà il suo posto.

    Altro caso accaduto sempre in una scuola americana:
    I membri della squadra di lacrosse portavano regolarmente in un campo due allievi di prima, dei tipi mingherlini, e li costringevano a battersi l'uno contro l'altro. Se avessero opposto resistenza il resto della squadra li avrebbe picchiati comunque.
    E così questi ragazzi più piccoli si battevano, mentre gli altri li videoregistravano per poi mostrare il filmato a tutta la scuola.

    Nonostante le apparenze, tutti i ragazzi vivono con paura in questa cultura della crudeltà.
    Essi inoltre aderiscono al suo codice e sono fedeli ai suoi princìpi anche se molto spesso non li sentono propri, perché lo considerano un inevitabile banco di prova della loro virilità.*
    (*O il "Grande Impossibile", come la definiscono le popolazioni Fox, degli Altopiani Orientali di Papua Nuova Guinea.)
    In ognuna di queste lezioni di prepotenza, paura e tradimento, un ragazzo è trascinato lontano dalla fiducia, dall'empatia e dal legame con gli altri.
    Questo è quanto i giovani maschi - che successivamente saranno uomini - hanno da perdere abbracciando la cultura della crudeltà.
    Ciò che invece imparano da essa è un comportamento emotivamente circospetto, quel fare guardingo col quale tantissimi uomini (troppi) si accostano alle relazioni umane per il resto della loro vita.




    Per concludere:
    Solitamente, in terapia, le femmine adolescenti combattono contro un eccesso di sentimento. Si concentrano troppo sulle reazioni emotive proprie e altrui.
    Nel caso degli adolescenti maschi vale invece esattamente l'opposto.
    Le ragazze tendono a sentirsi a proprio agio nel parlare dei propri alti e bassi emotivi con le amiche; i ragazzi, in genere, evitano di discutere i propri sentimenti con chiunque.
    Lottano da soli; e questo ha sovente conseguenze tragiche.

    Spessissimo, uomini e ragazzi si identificano in un'immagine romantica dell'isolamento.
    Al cinema, i bambini vedono il gelido rifugio artico di Superman: la sua remota, straordinaria, cristallina Fortezza della Solitudine. Quando la pressione che gli deriva dal vivere fra i mortali diventa eccessiva - con tutte quelle incessanti lotte fra il bene e il male, per non parlare delle complicazioni sentimentali - Superman scompare nella sua fortezza per starsene in pace con i propri pensieri.
    Batman, tormentato dal fatto di aver perso i genitori in tenera età, si dedica a un'incessante lotta contro il male, ritirandosi, fra un episodio e l'altro, nella sua buia e desolata "Bat Cave", un rifugio sotterraneo pieno di marchingegni, tecnologie computerizzate e una serie di straordinari meccanismi, ma assolutamente privo di conforto emotivo.

    Questi eroi dei fumetti vanno e vengono dalle loro fortezze senza problemi.
    Ma quando i ragazzi sono tagliati fuori dai legami realmente significativi con i genitori, gli amici e i coetanei, si ritrovano ad affrontare le pressioni sociali dell'adolescenza da soli.
    Senza aiuti esterni, e male equipaggiati per scoprire una via che li porti fuori dal loro nascondiglio, molti ragazzini finiscono per arenarsi, sprofondando sempre più nell'isolamento emotivo ed edificando mura sempre più alte e robuste intorno alle proprie emozioni, fino a cancellare completamente ogni traccia di sé.

    La chiusura in se stessi è uno dei segni più comuni di sofferenza emotiva fra i maschi nella prima fase dell'adolescenza e può lasciar presagire un'ulteriore discesa nella depressione e, molto spesso, l'adozione di comportamenti autodistruttivi.
    Un ragazzo che non abbia autentiche interazioni sul piano emotivo perde l'opportunità di una significativa crescita in quell'ambito.
    Per tutti noi, lo sviluppo psicologico e personale si realizza nel momento in cui riusciamo a guardare in faccia ciò che ci disturba, lo comprendiamo e sappiamo escogitare un modo positivo di reagire.

    Di fronte a una causa di turbamento, un ragazzo emotivamente isolato reagirà invece cercando un capro espiatorio e dando la colpa dei propri problemi agli altri o alle circostanze.
    Ciò che né lui, né i suoi genitori realizzano è che questo suo sforzo di tagliarsi fuori dalla famiglia, dalle emozioni e da qualsiasi riflessione sul proprio stato mentale è un'operazione logorante.
    Quando i ragazzi riescono a metterla a segno, non fanno altro che rendersi ancora più infelici (purtroppo).

     
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